CAPPELLA PAPALE
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Sabato, 19 novembre 2016
Sabato, 19 novembre 2016
Il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato (cfr Lc
6,27-36), molti lo hanno chiamato “il discorso della pianura”. Dopo
l’istituzione dei Dodici, Gesù discese con i suoi discepoli dove una
moltitudine lo aspettava per ascoltarlo e per farsi guarire. La chiamata
degli Apostoli è accompagnata da questo “mettersi in cammino” verso la
pianura, verso l’incontro con una moltitudine che, come dice il testo
del Vangelo, era “tormentata” (cfr v. 18). L’elezione, invece di
mantenerli in alto sulla montagna, sulla cima, li conduce al cuore della
folla, li pone in mezzo ai suoi tormenti, sul piano della loro vita. In
questo modo il Signore rivela a loro e a noi che la vera vetta si
raggiunge nella pianura, e la pianura ci ricorda che la vetta si trova
in uno sguardo e specialmente in una chiamata: «Siate misericordiosi,
come il Padre vostro è misericordioso» (v. 36).
Un invito accompagnato da quattro imperativi, potremmo dire da
quattro esortazioni che il Signore rivolge loro per plasmare la loro
vocazione nella concretezza, nella quotidianità dell’esistenza. Sono
quattro azioni che daranno forma, daranno carne e renderanno tangibile
il cammino del discepolo. Potremmo dire che sono quattro tappe della
mistagogia della misericordia: amate, fate il bene, benedite e pregate.
Penso che su questi aspetti tutti possiamo concordare e che ci
risultino anche ragionevoli. Sono quattro azioni che facilmente
realizziamo con i nostri amici, con le persone più o meno vicine, vicine
nell’affetto, nei gusti, nelle abitudini.
Il problema sorge quando Gesù ci presenta i destinatari di queste azioni, e in questo è molto chiaro, non usa giri di parole né eufemismi. Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male (cfr vv. 27-28).
E queste non sono azioni che vengono spontanee con chi sta davanti a
noi come un avversario, come un nemico. Di fronte ad essi, il nostro
atteggiamento primario e istintivo è quello di squalificarli,
screditarli, maledirli; in molti casi cerchiamo di “demonizzarli”, allo
scopo di avere una “santa” giustificazione per toglierceli di torno. Al
contrario, riguardo al nemico, a chi ti odia, ti maledice o ti diffama,
Gesù ci dice: amalo, fagli del bene, benedicilo e prega per lui.
Ci troviamo di fronte a una delle caratteristiche più proprie del
messaggio di Gesù, lì dove si nasconde la sua forza e il suo segreto; da
lì proviene la sorgente della nostra gioia, la potenza della nostra
missione e l’annuncio della Buona Notizia. Il nemico è qualcuno che devo
amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi
innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha
figli e non precisamente per toglierseli di torno. L’amore di Dio ha il
sapore della fedeltà verso le persone, perché è un amore viscerale, un
amore materno/paterno che non le lascia nell’abbandono, anche quando
hanno sbagliato. Il Nostro Padre non aspetta ad amare il mondo quando
saremo buoni, non aspetta ad amarci quando saremo meno ingiusti o
perfetti; ci ama perché ha scelto di amarci, ci ama perché ci ha dato
lo statuto di figli. Ci ha amato anche quando eravamo suoi nemici (cfr Rm
5,10). L’amore incondizionato del Padre verso tutti è stato, ed è, vera
esigenza di conversione per il nostro povero cuore che tende a
giudicare, dividere, opporre e condannare. Sapere che Dio continua ad
amare anche chi lo rifiuta è una fonte illimitata di fiducia e stimolo
per la missione. Nessuna mano sporca può impedire che Dio ponga in
quella mano la Vita che desidera regalarci.
La nostra è un’epoca caratterizzata da forti problematiche e
interrogativi su scala mondiale. Ci capita di attraversare un tempo in
cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e
l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti.
Vediamo, ad esempio, come rapidamente chi sta accanto a noi non solo
possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status
di nemico. Nemico perché viene da una terra lontana o perché ha altre
usanze. Nemico per il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua
condizione sociale, nemico perché pensa in maniera diversa e anche
perché ha un’altra fede. Nemico per… E, senza che ce ne rendiamo conto,
questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di
procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di
inimicizia. Poco a poco le differenze si trasformano in sintomi di
ostilità, minaccia e violenza. Quante ferite si allargano a causa di
questa epidemia di inimicizia e di violenza, che si imprime nella carne
di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e
ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza!
Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso
questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi,
dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il
virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di
pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo
stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore,
perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa che
possiamo toccare con mano in questo Collegio Cardinalizio. Proveniamo da
terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni
sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con
riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è
una delle nostre più grandi ricchezze.
Cari fratelli, Gesù non cessa di “scendere dal monte”, non cessa di
voler inserirci nel crocevia della nostra storia per annunciare il
Vangelo della Misericordia. Gesù continua a chiamarci e ad inviarci
nella “pianura” dei nostri popoli, continua a invitarci a
spendere la nostra vita sostenendo la speranza della nostra gente, come
segni di riconciliazione. Come Chiesa, continuiamo ad essere invitati ad
aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e
sorelle privati della loro dignità, privati nella loro dignità.
Caro fratello neo Cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella
quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e
donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra
vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è
cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di
trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione.
Caro fratello, oggi ti si chiede di custodire nel tuo cuore e in
quello della Chiesa questo invito ad essere misericordioso come il
Padre, sapendo che «se c’è qualcosa che deve santamente inquietarci e
preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza
la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo,
senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e
di vita» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49).