Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL, 30, 5)

sabato 27 maggio 2017

PER RECUPERARE IL SENSO DELLA FRATERNITA' SACERDOTALE

I PRETI CORVI «SPELLANO» 
E DISTRUGGONO IL PRESBITERIO
Francesco: “Quando non c’è fraternità sacerdotale c’è tradimento


di Antonino Legname


Durante la visita pastorale a Genova, il 27 maggio 2017, Papa Francesco ha incontrato nella Cattedrale i sacerdoti, i consacrati e i seminaristi, e ha parlato, tra l'altro, della «fraternità sacerdotale». Francesco ha detto che la fraternità “è una bella parola, ma non si quota nella borsa dei valori”. Non c'è dubbio che la fraternità tra i sacerdoti sia "tanto difficile". A volte l'approccio e il dialogo tra i preti diventa difficile perché c'è sempre qualcuno che crede di sapere tutto e di non avere bisogno di quello che gli altri confratelli gli possano dire. Il Papa, usando il linguaggio mediatico, ha definito il prete tuttologo, che sa tutto: «prete google o wikipedia». Quando un prete ha la presunzione di sapere tutto rischia «l'autosufficienza», che è un male contro lo spirito di fraternità. È bello incontrarsi tra preti e ascoltarsi! Purché l'incontro non diventi un'occasione per fare cortile, per sparlare degli altri confratelli. Papa Francesco, per fare comprendere meglio il carattere distruttivo delle chiacchiere, scende nella concretezza: “Hai sentito cosa ha detto quello scemo? Hai sentito che idea stravagante?”. Questa è la mala erba della mormorazione, è lo “spellarsi” l’un l’altro, è la rivalità. Francesco non ha peli sulla lingua e ha voluto confidare quello che a volte succede anche per la nomina dei nuovi vescovi. E spiega: “Voi sapete che per fare la nomina di un vescovo si chiedono informazioni ai sacerdoti e anche ai fedeli, alle consacrate su questo sacerdote, e lì, nel questionario che manda il nunzio, si dice: «questo è segreto». Non si può dire a nessuno, ma questo sacerdote è un possibile candidato a diventare vescovo. E si chiedono informazioni. Alcune volte si trovano vere calunnie o opinioni che, senza essere calunnie gravi, svalutano la persona del prete; e si capisce subito che dietro c’è rivalità, gelosia, invidia … Quando non c’è fraternità sacerdotale, c’è – è dura la parola – c’è tradimento: si tradisce il fratello. Si vende il fratello. Per andare su io. Si «spella» il fratello”. È quanto mai necessario “recuperare il senso della fraternità”; bisogna imparare l'ascesi della fraternità sacerdotale, che è alimentata, non solo dalla preghiera comune ma anche da momenti di amichevole goliardia; consiglia il Papa: “un buon pranzetto insieme, fare festa insieme … per i preti giovani, una partita di calcio insieme … Questo fa bene!”. Il Vescovo di Roma invita i preti a fare un esame di coscienza su questa cattiva abitudine delle chiacchiere: “quante volte ho parlato bene, ho ascoltato bene, in una riunione, fratelli sacerdoti che la pensano diversamente o che non mi piacciono? Quante volte, appena hanno incominciato a parlare, ho chiuso le orecchie? E quante volte li ho criticati, “spiumati”, “spellati” di nascosto?”. Il Pontefice ribadisce che le mormorazioni per invidia e per gelosia sono “il nemico grande contro la fratellanza sacerdotale”; anche i giudizi negativi verso gli altri fratelli sono un «male di clausura» - ha detto il Papa - nel senso che “più siamo chiusi nei nostri interessi, tanto più critichiamo gli altri”. E cosa fare quando un sacerdote sbaglia e si ammala moralmente? Prego per lui? Cerco di avvicinarmi per dargli una mano, oppure vado subito da un altro per informarlo su quello che ho saputo, amplificando il racconto con tanti particolari e aggiunte fino al punto da sporcare ancora di più il fratello che vive una situazione di malessere? Francesco ammonisce: “Ma se quel poveretto è caduto vittima di Satana, anche tu vuoi schiacciarlo? Queste cose non sono favole: questo accade, questo succede”. Purtroppo, lamenta il Papa, tante brutte abitudini si possono prendere durante il periodo di formazione in Seminario, e consiglia ai superiori dei seminari, ai formatori e ai padri spirituali: “se voi vedete un seminarista bravo, intelligente, che sembra bravo, è bravo ma è un chiacchierone [pettegolo], cacciatelo via. Perché dopo, questa sarà un’ipoteca per la fraternità presbiterale. Se non si corregge, cacciatelo via. Dall’inizio. C’è un detto, non so come si dice in italiano: «Alleva corvi e ti mangeranno gli occhi». Se nel seminario tu allevi «corvi» che «chiacchierano», distruggeranno qualsiasi presbiterio, qualsiasi fraternità nel presbiterio”.

giovedì 25 maggio 2017

DALLA DELUSIONE ALLA SPERANZA

LA TERAPIA DELLA SPERANZA

Francesco: “Anche nei momenti più dolorosi, anche nei momenti più brutti, anche nei momenti della sconfitta: lì c’è il Signore”.




di Antonino Legname

Durante la Catechesi del Mercoledì, 24 maggio 2017, Papa Francesco ha voluto soffermarsi sull'esperienza dei due discepoli di Emmaus. Quello che emerge dal racconto evangelico è la delusione e la tristezza di questi due uomini, ormai «convinti di lasciare alle spalle l’amarezza di una vicenda finita male». Tutte le loro attese umane erano andate in fumo. «Quella croce issata sul Calvario era il segno più eloquente di una sconfitta che non avevano pronosticato. Se davvero quel Gesù era secondo il cuore di Dio, dovevano concludere che Dio era inerme, indifeso nelle mani dei violenti, incapace di opporre resistenza al male». Perché Dio, l'Onnipotente ha permesso la morte in croce del suo Figlio innocente? La morte degli innocenti continua ad essere un forte grido contro Dio e la roccia dell'ateismo. Quei due discepoli vogliono rimuovere tutti i ricordi che ancora bruciano dentro. Sono molto tristi e solo l'incontro con Gesù trasforma la loro tristezza in gioia. All'inizio i loro occhi non furono in grado di riconoscere il Signore. «E allora Gesù incomincia la sua “terapia della speranza”». Ciò che succede su quella strada è una terapia della speranza». Il dialogo tra Gesù e i due discepoli è rispettoso; Gesù non è invadente; ha pazienza e aspetta la maturazione della fede, che spesso passa attraverso le delusioni e le amarezze della vita. «Quante tristezze, quante sconfitte, quanti fallimenti ci sono nella vita di ogni persona! - annota il Papa - In fondo siamo un po’ tutti quanti come quei due discepoli. Quante volte nella vita abbiamo sperato, quante volte ci siamo sentiti a un passo dalla felicità, e poi ci siamo ritrovati a terra delusi». Ma abbiamo la certezza che «Gesù cammina con tutte le persone sfiduciate che procedono a testa bassa. E camminando con loro, in maniera discreta, riesce a ridare speranza». Anzitutto, infonde fiducia attraverso le Sacre Scritture, dove non troviamo mai una «speranza a poco prezzo»; perché la speranza passa attraverso le sconfitte. Ed è solo nel gesto-cardine dello spezzare il Pane che riconoscono Gesù. In questo incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus «c'è tutto il destino della Chiesa» - ha detto il Papa; di quella Chiesa che non rimane chiusa nella cittadella fortificata, ma sa uscire per incontrare le persone «con le loro speranze e le loro delusioni». E con rispetto e tenerezza la madre «Chiesa ascolta le storie di tutti, come emergono dallo scrigno della coscienza personale; per poi offrire la Parola di vita, la testimonianza dell’amore, amore fedele fino alla fine. E allora il cuore delle persone torna ad ardere di speranza». Ed è bella la conclusione di Papa Francesco, che incarna nella vita di oggi il racconto dei discepoli di Emmaus: «Tutti noi, nella nostra vita, abbiamo avuto momenti difficili, bui; momenti nei quali camminavamo tristi, pensierosi, senza orizzonti, soltanto un muro davanti. E Gesù sempre è accanto a noi per darci la speranza, per riscaldarci il cuore e dire: “Vai avanti, io sono con te. Vai avanti”. Il Vescovo di Roma ci ricorda che il segreto per non perdere la speranza è di continuare a credere che Dio, anche attraverso le apparenze contrarie, continua a camminare con noi e ad amarci sempre: «anche nei momenti più dolorosi, anche nei momenti più brutti, anche nei momenti della sconfitta: lì c’è il Signore. E questa è la nostra speranza. Andiamo avanti con questa speranza! Perché Lui è accanto a noi e cammina con noi, sempre!».

martedì 23 maggio 2017

«IL CATTIVO SPIRITO SEMPRE ENTRA DALLE TASCHE»


I PROFETI PERSEGUITATI IERI E OGGI

Francesco: “Una Chiesa senza martiri dà sfiducia




di Antonino legname

Nell'Omelia della Messa del 23 maggio 2017 nella Casa “Santa Marta”, Papa Francesco ha voluto sottolineare il ruolo dei Profeti nella storia della salvezza. Il Signore li inviava in mezzo al popolo dalla dura cervice, che aveva deviato dalla retta via e che preferiva vivere nel tepore della mondanità servendo gli idoli. “Ai profeti – dice il Papa – è accaduto lo stesso di Paolo: erano perseguitati, bastonati”. Perché?  - si domanda il Pontefice. La risposta è: “perché scomodavano”. I profeti da sempre sono persone scomode. E’ una dinamica sempre attuale anche nella Chiesa di oggi – ha evidenziato il Papa – “quando qualcuno denuncia tanti modi di mondanità è guardato con occhi storti, questo non va, meglio che si allontani”. E ha voluto ricordare che nella sua terra, “tanti, tanti uomini e donne, consacrati buoni, non ideologi, ma che dicevano: <No, la Chiesa di Gesù è così...>, di costoro hanno detto: <Questo è comunista, fuori!>, e li cacciavano via, li perseguitavano. Pensiamo al beato Romero”. E ciò è capitato a “tanti, tanti nella storia della Chiesa, anche qui in Europa”. Francesco ha individuato la causa dell’incomprensione e della persecuzione dei profeti: è il <cattivo spirito> che “preferisce una Chiesa tranquilla senza rischi, una Chiesa degli affari, una Chiesa comoda, nella comodità del tepore, tiepida”. Il Vescovo di Roma ribadisce con forza che «il cattivo spirito sempre entra dalle tasche»; i soldi e gli affari sono un potente anestetico per quella Chiesa che preferisce diventare tiepida, vivere tranquilla, essere ben organizzata e senza problemi. La vera Chiesa, invece, va avanti grazie ai suoi testimoni e ai suoi martiri; “una Chiesa senza martiri dà sfiducia”. Senza mezzi termini il Pontefice dice che una Chiesa che ha paura di annunciare Gesù Cristo e che non caccia gli idoli, specialmente quel signore che è il denaro, “non è la Chiesa di Gesù”. Francesco chiede a tutti di pregare affinché si realizzi “una rinnovata giovinezza, una conversione dal modo di vivere tiepido all’annuncio gioioso che Gesù è il Signore”.


domenica 21 maggio 2017

OMELIA DI PAPA FRANCESCO SUL LINGUAGGIO DELLA DOLCEZZA E DEL RISPETTO

QUELLA LINGUA BIFORCUTA DEL SERPENTE
Francesco: «Le chiacchiere sono il carnevale del diavolo che si diverte»





di Antonino Legname


Domenica 21 maggio 2017, durante l'Omelia della Messa, in occasione della visita pastorale nella parrocchia romana San Pier Damiani ai Monti di San Paolo, Papa Francesco è tornato a parlare delle chiacchiere che distruggono l'unità, e le ha paragonate alla lingua del diavolo. Francesco, riferisce che all'inizio della Messa, mentre incensava la statua della Madonna ha abbassato lo sguardo e ha visto «il serpente che la Madonna schiaccia, il serpente con la bocca aperta e la lingua che esce». Forse qualcuno potrebbe domandarsi perché il Papa parla troppo spesso di questo argomento del «chiacchiericcio». Francesco risponde: «A me piace tornare su questo argomento sempre, perché vi dico – vi dico con tutta chiarezza! – che questo è il peccato più comune delle nostre comunità cristiane». Chi non parla con dolcezza e con rispetto vuol dire che non custodisce lo Spirito Santo, «dolce ospite dell'anima» e preferisce imitare la lingua del diavolo. Francesco ha raccontato quello che una volta un parroco gli ha riferito: «nella mia parrocchia ci sono alcuni che possono fare la comunione dalla porta: con la lingua che hanno, arrivano all'altare». Il Pontefice consiglia: «quando andate a salutare la Madonna, guardare un po’ in giù e vedere quella lingua [del serpente] e dite alla Madonna: “Madonna, salvami: così non voglio essere. Io voglio custodire lo Spirito Santo come tu lo hai custodito”. Le chiacchiere, ha ricordato Francesco - sono come le pietre che ci buttiamo l'uno contro l'altro. E non ci rendiamo conto che «il diavolo si diverte: è un carnevale per il diavolo, questo!». Il linguaggio dei cristiani non è il parlare in latino - ha spiegato il Papa - ma è «il linguaggio della dolcezza e del rispetto». Solo questo tipo di linguaggio attira gli altri e avvicina la gente alla Chiesa. Al contrario, quando in una comunità parrocchiale ci sono «le chiacchiere, le maldicenze, le competizioni, le concorrenze, uno contro l’altro…»; allora gli altri si allontanano e dicono .“Se questi sono cristiani, preferisco rimanere pagano”.  Quando nella comunità cristiana c'è ambizione, invidia, gelosia, viene alimentata la divisione e la gente si allontana scandalizzata. Il consiglio del Papa è: «lasciamo che il lavoro che fa lo Spirito Santo, di attrarre la gente, continui»; ed esorta a chiedere al Signore la grazia di custodire lo Spirito Santo che è in noi e di non rattristarlo».

giovedì 18 maggio 2017

LA MISSIONE CRISTIANA: "OBBEDISCI E DA' GIOIA ALLA GENTE"

PER VIVERE I COMANDAMENTI

Francesco: «La misura dell’amore è amare senza misura»


di Antonino Legname

«Obbedisci e dà gioia alla gente»: è la sintesi della «missione cristiana» che Francesco ha proposto durante la messa celebrata a Santa Marta il 18 maggio 2017.  Per far comprendere meglio il senso di questo messaggio, il Papa ha raccontato di quel padre, persona semplice e umile, che volle dare un consiglio al figlio sacerdote nominato vescovo. Quell'uomo era un operaio e «non era andato all'Università, ma aveva la saggezza della vita» e consigliò al figlio: “Obbedisci e dà gioia alla gente”». Perché, ha commentato il Papa, «quest’uomo aveva capito» bene l’insegnamento delle letture della liturgia del giorno: «obbedisci all’amore del Padre, senza altri amori, obbedisci a questo dono e poi dà gioia alla gente». Di conseguenza anche «noi, cristiani, laici, sacerdoti, consacrati, vescovi, dobbiamo dare gioia alla gente». Non dimentichiamo che la gioia è una caratteristica distintiva del cristiano. Quella gioia che scaturisce dal sentirsi amati da Dio in Gesù Cristo. Da qui l'esortazione di Gesù a rimanere nel suo amore. Il Papa domanda:  ma «come si rimane» in questo amore? «Osservate i comandamenti» è la risposta: «i dieci», ovvero il decalogo che «è la base, è il fondamento». Sono i precetti, chiarisce Gesù «che io vi ho insegnato», cioè i «comandamenti della vita quotidiana, i piccoli comandamenti», i quali «più che comandamenti sono un modo di vivere cristiano». Rimanere nell'amore del Signore non è facile, anche perché nella vita ci sono tanti altri amori seducenti: «l’amore al denaro per esempio, l’amore alla vanità, pavoneggiarsi, l’amore all’orgoglio, l’amore al potere, anche facendo tante cose ingiuste per avere più potere». Quello che Gesù chiede è l'amore e non il semplice «voler bene». «Amare - spiega il Papa - è più di voler bene». E se volessimo dare una misura all'amore, dobbiamo dire paradossalmente che «la misura dell’amore è amare senza misura». E da questo amore smisurato donato scaturisce il dono della gioia. Chi riceve gratuitamente dal Signore i doni dell'amore e della gioia deve imparare a donare, senza alcun interesse e a fondo perduto, amore e gioia alla gente.

domenica 14 maggio 2017

SU MEDJUGORJE ANCORA MOLTI DUBBI


IL PAPA PREFERISCE LA MADONNA MADRE E NON CAPO-UFFICO TELEGRAFICO CHE TUTTI I GIORNI INVIA MESSAGGI A ORE STABILITE

Francesco: “Non si può negare il fatto spirituale-pastorale … gente che va lì e si converte, gente che incontra Dio, che cambia vita”



Nella Conferenza Stampa, durante il volo di ritorno dal Pellegrinaggio di Fatima, il 13 maggio 2017, Papa Francesco ha risposto alla domanda di un giornalista sui fatti di Medjugorje. Qui di seguito la risposta del Pontefice:

“Tutte le apparizioni o le presunte apparizioni appartengono alla sfera privata, non sono parte del Magistero pubblico ordinario della Chiesa. Medjugorje: è stata fatta una commissione presieduta dal Cardinale Ruini. L’ha fatta Benedetto XVI. Io, alla fine del 2013 o all’inizio del 2014, ho ricevuto dal Cardinale Ruini il risultato. Una commissione di bravi teologi, vescovi, cardinali. Bravi, bravi, bravi. Il rapporto-Ruini è molto, molto buono. Poi, c’erano alcuni dubbi nella Congregazione per la Dottrina della Fede e la Congregazione ha giudicato opportuno inviare a ognuno dei membri del congresso, di questa “feria quarta”, tutta la documentazione, anche le cose che sembravano contro il rapporto-Ruini. Io ho ricevuto la notificazione: ricordo che era un sabato sera, in tarda serata. Non mi è sembrato giusto: era come mettere all’asta – scusatemi la parola – il rapporto-Ruini, che era molto ben fatto. E domenica mattina il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede ha ricevuto una lettera da me, in cui gli chiedevo di dire che invece di inviare alla “feria quarta” inviassero a me, personalmente, le opinioni. Queste opinioni sono state studiate, e tutte sottolineano la densità del rapporto-Ruini. Sì, principalmente si devono distinguere tre cose. Sulle prime apparizioni, quando [i “veggenti”] erano ragazzi, il rapporto più o meno dice che si deve continuare a investigare. Circa le presunte apparizioni attuali, il rapporto ha i suoi dubbi. Io personalmente sono più “cattivo”: io preferisco la Madonna madre, nostra madre, e non la Madonna capo-ufficio telegrafico che tutti i giorni invia un messaggio a tale ora… questa non è la mamma di Gesù. E queste presunte apparizioni non hanno tanto valore. E questo lo dico come opinione personale. Ma chi pensa che la Madonna dica: “Venite che domani alla tale ora dirò un messaggio a quel veggente”; no. E terzo, il nocciolo vero e proprio del rapporto-Ruini: il fatto spirituale, il fatto pastorale, gente che va lì e si converte, gente che incontra Dio, che cambia vita… Per questo non c’è una bacchetta magica, e questo fatto spirituale-pastorale non si può negare. Adesso, per vedere le cose con tutti questi dati, con le risposte che mi hanno inviato i teologi, si è nominato questo Vescovo – bravo, bravo perché ha esperienza – per vedere la parte pastorale come va. E alla fine, si dirà qualche parola”.


giovedì 11 maggio 2017

LETTERA DI PAPA FRANCESCO AL CELAM - SECONDA PARTE



Seconda Parte
«DOBBIAMO IMPARARE DALLA FEDE DELLA NOSTRA GENTE!»

Francesco: «Nella misura in cui noi ci coinvolgeremo nella vita del nostro Popolo fedele e avvertiamo la profondità delle sue ferite, potremo guardare “senza filtri clericali” il volto di Cristo»



di Antonino Legname
 
La riflessione di Papa Francesco, nella Lettera ai partecipanti alla XXXVI Assemblea Generale del Consiglio Episcopale Latinoamericano, si fa ancora più concreta quando invita i pastori della Chiesa ad imparare a guardare il Popolo di Dio, ad ascoltarlo e a conoscerlo, a dargli importanza e spazio. «Non in maniera concettuale, organizzativa, nominale o funzionale  - precisa Francesco - Sebbene oggigiorno c'è una maggiore partecipazione dei fedeli laici, molte volte li abbiamo impegnati solo dentro il contesto ecclesiale senza stimolarli a permeare, con la forza del Vangelo, gli ambienti sociali, politici, economici, universitari». Cosa significa ascoltare il Popolo di Dio? Francesco spiega:  «significa “scalzarci” dai nostri pregiudizi e dal razionalismo, dai nostri schemi funzionalisti per conoscere in che modo lo Spirito agisce nel cuore di tanti uomini e donne che con grande vigore non smettono di buttare le reti e lottano per rendere credibile il Vangelo»; significa conoscere come lo Spirito continua a muovere la fede della nostra gente; questa fede che magari non sa tanto di profitti e di successi pastorali, ma è carica di speranza. «Quanto dobbiamo imparare dalla fede della nostra gente!» - ammette Francesco. E spiega: «la fede di madri che non hanno paura  di sporcarsi per portare aventi i loro figli. Sanno che il mondo in cui vivono è pieno di ingiustizie, e che dovunque si vedono e si esperimentano le carenze e le fragilità di una società che si frammenta ogni giorno, dove l'impunità della corruzione continua a mietere vite e a destabilizzare le città». E additando l'esempio di queste madri coraggiose, il Papa si rivolge ai Pastori della Chiesa, invitandoli a non aver paura di sporcarsi per la nostra gente: «non dobbiamo avere paura del fango della storia per poter riscattare e rinnovare la speranza. Pesca soltanto colui che non ha paura di rischiare di impegnarsi per i suoi». E questo - chiarisce Francesco «non nasce dall'eroismo o dal carattere kamikaze di alcuni, e neppure da una ispirazione individuale di qualcuno che si vuole immolare. Tutta la comunità dei credenti deve andare a cercare il Suo Signore, perché solo uscendo e lasciando le sicurezze (che tante volte sono “mondane”) … solo lasciando di essere autoreferenziali siamo capaci di ri-centrarci in Colui che è fonte di Vita e di Pienezza». Il Vescovo di Roma ribadisce che per poter vivere con speranza è necessario che ci ri-centriamo in Gesù Cristo, il quale abita nel centro della nostra cultura, e nello stesso tempo ci dobbiamo centrare sul Popolo. Francesco spiega che Cristo e Popolo non sono antagonisti: «contemplare Cristo nel suo popolo è imparare a decentrarci da noi stessi per concentrarci nell'unico Pastore». In altre parole, significa avere il coraggio di andare nelle periferie del presente e del futuro, certi nella speranza che il Signore continua ad essere presente e la sua presenza sarà fonte di Vita abbondante. Da qui scaturisce la creatività e la forza per arrivare là dove si formano i nuovi paradigmi che stanno tracciando la vita dei nostri Paesi e così poter raggiungere, con la Parola di Gesù, i nuclei più profondi dell'anima delle città dove ogni giorno cresce sempre più l'esperienza di non sentirsi cittadini, ma «cittadini a metà». Il Pontefice chiede di vivere la realtà di oggi, sempre più complicata e sconcertante, come discepoli del Maestro e non come osservatori asettici e neutrali. Deve esserci il desiderio e l'impegno di impregnare le strutture della società con la Vita e con l'Amore che abbiamo conosciuto. Ma questo - avverte il Papa - «non come colonizzatori e dominatori, ma condividendo il buon odore di Cristo, che sia questo l'odore per continuare a trasformare la vita». Il Vescovo di Roma coglie l'occasione per ribadire quanto aveva già scritto nel n. 49 della Evangelii gaudium a proposito di una Chiesa in uscita, non preoccupata di essere il centro per poi finire chiusa nelle proprie umane sicurezze e in un «marasma di ossessioni e di procedimenti». Quello che deve veramente preoccupare la coscienza dei Pastori della Chiesa e santamente inquietarli è che «tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell'amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li sostiene e senza un orizzonte di significato e di vita» In conclusione, scrive il Papa, «spero che più che il timore di sbagliare ci spinga il timore di chiuderci  dentro le strutture che ci danno una falsa sicurezza e nelle norme che ci rendono giudici implacabili, e nelle abitudini che ci fanno sentire tranquilli, mentre fuori c'è una moltitudine affamata e Gesù che ci ripete senza stancarsi: “Voi date loro da mangiare”». Questo aiuterà a mostrare il volto misericordioso e materno della Chiesa che si trova tra «i fiumi e il fango della storia»; solo così ogni persona può sentirsi a casa, può sentirsi figlio amato, cercando e sperando. Questo sguardo, questo dialogo con il Popolo fedele di Dio, offre al pastore due attitudini molto belle da coltivare: il coraggio per annunciare il Vangelo e la forza per superare le difficoltà e la sgradevolezza che provoca la stessa predicazione. Nella misura in cui noi ci coinvolgeremo nella vita del nostro Popolo fedele e avvertiamo la profondità delle sue ferite, potremo guardare “senza filtri clericali” il volto di Cristo, andare al suo Vangelo per pregare, pensare, discernere e lasciarci trasformare dal suo volto in pastori di speranza. Che Maria, Nuestra Señora Aparecida, continui a portarci a suo Figlio affinché i nostri popoli in Lui abbiano la vita … e in abbondanza.
[Mia traduzione dallo spagnolo]

LETTERA DI PAPA FRANCESCO AL CELAM - PRIMA PARTE


Prima parte
TORNARE ALLE RADICI DEL VANGELO PER "UNA CHIESA POVERA PER I POVERI"

«La corruzione è come un cancro che va consumando la vita quotidiana della nostra gente»

Papa Francesco e Nostra Signora Aparecida


di Antonino Legname

Papa Francesco l'8 maggio 2017 ha inviato una Lettera in lingua spagnola ai partecipanti alla XXXVI Assemblea Generale del Consiglio Episcopale Latinoamericano (CELAM), che si svolge dal 9 al 12 maggio a San Salvador sul tema: “Una Chiesa povera per i poveri”. In questa Lettera il Pontefice, anzitutto fa memoria dei 300 anni di Nostra Signora di Aparecida, ricordando il tempo in cui un gruppo di pescatori uscì, come era d'uso, a gettare le reti. Uscirono per guadagnarsi la vita e furono sorpresi dalla scoperta di una piccola immagine tutta coperta di fango. Era Nuestra Señora de la Concepción che per 15 anni rimase nella casa di uno di quei pescatori e lì la gente si riuniva a pregare e Lei li aiutava a crescere nella fede. Il Papa annota che sebbene siano passati 300 anni, «Nostra Signora di Aparecida ci fa crescere, ci immerge nel cammino del discepolato. Aparecida è una scuola di discepolato». Francesco, nella sua Lettera evidenzia tre aspetti: il primo riguarda i pescatori, «non erano molti, un gruppetto di uomini che ogni giorno uscivano per affrontare la giornata e l'incertezza di quello che avrebbe dato il fiume. Uomini che vivevano con l'insicurezza di non sapere quale sarebbe stato il “guadagno” della giornata. Incertezza che non era facile gestire quando si tratta di portare a casa il cibo e soprattutto quando ci sono in casa bambini da sfamare». Bergoglio mette in luce le difficoltà di quei pescatori che conoscono per esperienza l'ambivalenza che c'è tra la generosità del fiume e l'aggressività dei suoi straripamenti. Sono uomini abituati ad affrontare le difficoltà con vigore e con una certa santa «testardaggine»; sono coloro che ogni giorno non smettono - perché non possono -  di gettare le reti. Questa immagine ci aiuta ad avvicinarci alla vita di tanti nostri fratelli: «vedo i volti di persone che, al mattino presto fino a tarda notte, escono per guadagnarsi  da vivere. E lo fanno con l'insicurezza di non sapere quale sarà l'esito». E ciò che fa più male - lamenta Francesco - è vedere che, quasi ordinariamente, escono e si devo scontrare con uno dei peccati più gravi che affligge oggi il nostro Continente: «la corruzione». Francesco non usa mezzi termini per condannare la corruzione che distrugge vite umane riducendole alla più estrema povertà; che distrugge intere popolazioni costringendole a vivere nella povertà. «La corruzione è come un cancro che va consumando la vita quotidiana della nostra gente». Il Papa ammira coloro che escono per lottare contro questa piaga sociale. Il secondo aspetto è la Madre: «Maria conosce in prima persona la vita dei suoi figli … È una madre che sta attenta e accompagna la vita dei suoi». La troviamo là dove non ci si aspetta. Nella storia di Aparecida la troviamo in mezzo al fiume circondata di fango. «Là aspetta i suoi figli, là sta con i suoi figli in mezzo alle lotte e alle ricerche. Non ha paura di immergersi con loro nelle vicissitudini della storia e, se necessario, insudiciarsi per rinnovare la speranza. Maria appare là dove i pescatori gettano le reti e dove gli uomini cercano di guadagnarsi da vivere». Infine, l'incontro. «Le reti non sono riempite di pesce, ma di una presenza che ha riempito la loro vita e ha dato loro la certezza che nelle loro aspirazioni, nelle loro lotte non erano soli». Il Papa annota:  «C'è stato l'incontro di questi uomini con Maria». Dopo averla pulita e restaurata la portarono in una casa dove rimase per un po' di tempo. Quella casa fu il luogo dove i pescatori della regione si riunivano con la Aparecida. E questa presenza si fece comunità, Chiesa. «Le reti non si riempirono di pesci ma si trasformarono in comunità». Ad Aparecida si trova la dinamica del Popolo credente che si confessa peccatore e salvato, un popolo solido e testardo consapevole del fatto che la loro rete, cioè la loro vita, è piena di una presenza che li incoraggia a non perdere la speranza; una presenza che si annida nella quotidianità della casa e delle famiglie. Papa Francesco tiene a precisare che «non si offrono ricette ma chiavi, criteri, piccole grandi certezze per illuminare e soprattutto per “incendiare” il desiderio di toglierci di dosso tutta quella roba non necessaria per tornare alle radici, all'essenziale, a quell'atteggiamento che piantò la fede nella Chiesa delle origini».
[Mia traduzione dallo spagnolo]

Scena del ritrovamento dell'immagine di Nostra Signora Aparecida

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