Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL, 30, 5)

martedì 30 ottobre 2018

IL CAMMINO VERSO L’UNITA’ DELLA FAMIGLIA UMANA


LA FATICA DELLA PACE
Francesco: «Per fare la pace e l’unità tra noi occorre: umiltà, dolcezza e magnanimità»

 
di Antonino Legname

«Il mondo oggi ha bisogno di pace, noi abbiamo bisogno di pace, le nostre famiglie hanno bisogno di pace, la nostra società ha bisogno di pace», ha detto Papa Francesco nella Meditazione della Messa a Casa di Santa Marta, il 26 ottobre 2018. Oggi, purtroppo, ci stiamo abituando a «respirare l’aria dei conflitti» - ha evidenziato il Pontefice. Ogni giorno basta guardare i telegiornali o leggere i quotidiani, per capire che viviamo in un mondo di ostilità, di piccole o grandi guerre, e che il nostro mondo è senza pace e senza unità, gli uni contro gli altri. Il Vescovo di Roma condanna la facilità con la quale oggi, per favorire interessi di parte e nazionalistici, si annullano i patti che sono stati firmati dalle nazioni negli anni passati, per fermare i conflitti. Francesco cita un saggio che diceva: “I patti si fanno per disfarli dopo”. E infatti, oggi si preferisce fare nuovi accordi per il commercio delle armi e per preparare nuove guerre. Purtroppo, annota il Papa, le grandi Istituzioni mondiali, create con la migliore volontà di aiutare l’unità e la pace dell’umanità, si sentono incapaci di trovare un accordo: «c’è un veto di qui, un interesse di là... E fanno fatica a trovare degli accordi di pace». Perché nell’uomo prevale questa tendenza alla distruzione, alla guerra e alla disunione? Francesco non ha dubbi: è il diavolo il vero nemico che semina nel cuore degli uomini il seme della divisione e dell’odio per distrugge l’unità della famiglia umana. Cosa fare per camminare verso la pace che porta all’unità? Francesco propone l’insegnamento di San Paolo: bisogna aprire il cuore e «comportarsi con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità». In pratica significa sopportarsi a vicenda nell’amore. Ma non è facile sopportarsi perché c’è sempre la tentazione di esprimere giudizi sugli altri e di condannare le persone che ci danno fastidio. È sempre in agguato la tendenza a creare distanza con le persone che non sopportiamo, e questo succede anche in famiglia, tra marito e moglie. Il Pontefice consiglia di spegnere i contrasti sul nascere, perché «non è difficile trovare un accordo all’inizio del conflitto». Per esempio, quando gli sposi litigano e a volte «volano i piatti, e c’è aria di tempesta a casa», il consiglio del Papa è: «non finire la giornata senza fare la pace». E per fare la pace non c’è bisogno di chiamare le Nazione Unite, ma basta un bacio, un abbraccio, una carezza e tutto si risolve. È bene che si faccia subito la pace. Perché? «Perché la guerra fredda il giorno dopo è pericolosissima». E allora cosa aspetti a metterti subito d’accordo e a fare la pace all’inizio, quando nasce il conflitto: «questa è umiltà, questa è dolcezza, questa è magnanimità».

venerdì 19 ottobre 2018

PER ESSERE PRETE DEL POPOLO SENZA RIGIDITA’ E SENZA CARRIERISMO


LA CROCE DEL DUBBIO
Francesco: «Nella Messa ci vuole festa, ci vuole musica, ci vuole preghiera, ci vuole silenzio»


di Antonino Legname

«Il dubbio è una croce, ma feconda. Io non ho fiducia nelle persone che non dubitano mai», ha detto Papa Francesco ai Seminaristi della Lombardia, ricevuti in Udienza il 16 ottobre 2018. È vero che «il dubbio ci mette in crisi» - ha evidenziato il Papa – ma «è una ricchezza». Ovviamente, Francesco sta parlando del dubbio “normale”, - come lo chiama Lui - di quel dubbio salutare e stimolante, e non del dubbio che diventa scrupolo. Il dubbio può far soffrire, e può diventare una croce; ma «ti avvicina a Gesù e ti mette in crisi». In fondo il dubbio – spiega il Papa - «è un invito a cercare la verità, a cercare l’incontro con Gesù Cristo». Ai futuri sacerdoti, il Papa ha chiesto di formarsi bene per essere «preti del popolo di Dio, cioè pastori di popoli, pastore della gente, e non “chierici di Stato”». Ancora una volta il Pontefice lancia il suo anatema contro il «clericalismo» che è una vera «perversione della Chiesa». E senza mezzi termini il Vescovo di Roma avverte: «quando si vede un giovane prete tutto centrato su sé stesso, che pensa a fare carriera, questo è più dalla parte dei farisei e sadducei che dalla parte di Gesù». Dopo aver parlato delle quattro colonne della formazione dei futuri sacerdoti [studio, preghiera, attività pastorale e vita comunitaria], il Papa ha messo l’accento sulla virtù dell’umiltà che deve caratterizzare la vita del sacerdote, il quale mai deve dimenticare le sue origini e quelle della sua vocazione e soprattutto deve ricordare che tutto quello che ha ricevuto è solo dono e grazia di Dio. E allora «non gonfiarti di vanità, di superbia, di autosufficienza» - ammonisce il Papa. Anche sull’Omelia, Francesco ha voluto ribadire che non dovrebbe durare più di otto minuti e che deve essere ben preparata. In che modo? Il Papa consiglia: «con un’idea chiara, un sentimento chiaro e un’immagine chiara». E a chi pensa che la celebrazione della Messa sia solo fare festa e fare rumore, il Vescovo di Roma lancia un monito: «ci vuole festa, ci vuole musica, ci vuole preghiera, ci vuole silenzio». E in ogni caso occorre evitare che la celebrazione dell’Eucaristia diventi solo una specie di «usanza sociale» per riempire alcuni eventi e tappe della vita. Anche il Papa ammette che «oggi la celebrazione eucaristica è in crisi», nonostante i buoni passi che si sono fatti. Ed esorta: «Tu non puoi andare a celebrare l’Eucaristia di fretta, “toccata e fuga”». Un altro tema delicato che il Pontefice ha voluto toccare è quello dello «scandalo», e in modo specifico «lo scandalo del prete al popolo di Dio». Ci sono scandali che il popolo di Dio non perdona al prete, specialmente quando «maltratta la gente» o  è «attaccato ai soldi». E a proposito dei criteri di discernimento per capire se un giovane è chiamato a fare il prete, Papa Francesco ritiene che la «rigidità» mentale che porta al clericalismo è un segno sicuro per dire che quel giovane non è adatto a fare il prete: «Oggi la rigidità è un impedimento all’ordinazione». E l’altro criterio sicuro per impedire a qualcuno di essere ordinato sacerdote è la mancanza di umorismo: «Se vedi un altro che prende tutte le cose sul serio e non ha il senso dell’umorismo, mandalo a lavorare al circo per un po’!, poi quando torna, dopo due anni, vedremo come vanno le cose». Per essere buoni Pastori nella Chiesa occorre una buona dose di umorismo per non diventare rigidi. Perché – come dice Francesco - «Dietro ogni rigidità ci sono brutti problemi». E infine, è bene guardarsi dai cosiddetti «arrampicatori» ecclesiastici. Se c’è un seminarista che manifesta segni evidenti di «carrierismo» bisogna correggerlo altrimenti, se ordinato prete, farà tanto male alla Chiesa. Papa Francesco racconta di aver sentito dire da un vescovo di esperienza: “L’arrampicatore vuole il massimo, ma se tu gli offri la diocesi più piccola, la prenderà, perché fa un passo in avanti: adesso è vescovo. Ma invece di guidare la diocesi, guarderà l’altra, quella del vicino e – diceva quel vescovo – questo è adulterio episcopale: guardare la sposa dell’altro».

martedì 16 ottobre 2018

ATTENTI AI FORMALISTI, “INAMIDATI” E RIGIDI


GLI IPOCRITI SI TRUCCANO L’ANIMA
Papa Francesco: «State attenti davanti ai rigidi. State attenti davanti ai cristiani — siano laici, preti, vescovi — che si presentano così “perfetti”, rigidi. State attenti».



di Antonino Legname

Nell’Omelia della Messa a Casa Santa Marta, il 16 ottobre 2018, Papa Francesco – ricalcando le parole di Gesù - usa toni molto forti nei confronti degli ipocriti, di coloro che sono solo preoccupati di apparire e di «truccarsi l’anima»: «“Tu sei un ipocrita”, perché dall’esterno tu sembri così pulito, perfetto, ma la tua anima è un’anima rugosa, grinzosa, sporca, piena di putredine, “di avidità”». Un’anima così – dice il Papa - è anche «capace di uccidere» e di pagare per «calunniare». Sappiamo, infatti, che quei dottori della legge si ergevano a giudici e scrutavano Gesù «con la lente d’ingrandimento per vedere dove potevano prenderlo in qualche sbaglio, in qualche scivolata, in qualcosa che non fosse la vera dottrina: la loro». Come si fa a seguire il Signore avendo nel cuore cattive intenzioni? Questa gente ipocrita, dice il Papa, odiava Gesù. Davanti al popolo apparivano come i «puri» perché erano i custodi delle «formalità della legge, della religione, della liturgia». Erano visti dall’esterno come «un modello di formalità»; ma dentro erano come morti, irrigiditi e “inamidati”. Inoltre, non erano interessati alla gente, ma a loro importava solo di conoscere «la legge, le prescrizioni, le rubriche».  Gesù li paragone ai «sepolcri imbiancati» che da fuori sono «belli, tutti perfetti… tutti perfettivi ... ma dentro pieni di putredine, quindi di avidità, di cattiveria». E cosa fa Gesù di fronte a questi «dottori delle apparenze», a questi laureati di formalismo e di incoerenza? Li «smaschera». Anche oggi ci sono tanti cristiani «rigidi», che nascondono i loro veri problemi dietro il muro del formalismo. Francesco ha evidenziato che «sempre, sotto o dentro una rigidità, ci sono dei problemi. Gravi problemi. Sempre dietro le apparenze finte di gente buona, ci sono dei problemi»,  ci sono delle frustrazioni. E capita che improvvisamente quella cattiveria, che hanno accumulato dentro, esce e si manifesta in maniera diabolica facendo tanto male agli altri con l’intento di distruggerli.

venerdì 12 ottobre 2018

GUARDATI DAL DEMONIO "EDUCATO" CHE HAI DENTRO PERCHÉ VUOLE DISTRUGGERE L’OPERA DI DIO


LA LOTTA INTERIORE CONTRO IL DIAVOLO
Francesco: «Il demonio, quando prende possesso del cuore di una persona, rimane lì, come a casa sua e non vuole uscirne»




di Antonino Legname

«L’essenza del demonio è distruggere». Purtroppo, ci sono quelli che minimizzano il problema della presenza del maligno e dicono: “no, ma non è così, sono invenzioni dei preti, no, non è vero”». “Sono finiti i tempi del medioevo”, potrebbe obiettare qualcuno. Questa è la grande astuzia del demonio, far credere che non esista. Papa Francesco ritorna a parlare dell’opera del diavolo nella vita del cristiano e nella vita della Chiesa. E trae lo spunto dal Vangelo della Messa celebrata a Casa Santa Marta, il 12 ottobre 2018. Non bisogna sottovalutare la forza del demonio, che «quando prende possesso del cuore di una persona, rimane lì, come a casa sua e non vuole uscirne». Francesco spiega che Gesù scaccia i demoni perché «questi cercano di rovinare la persona, di fare del male, anche fisicamente». È proprio vero che quando il demonio prende dimora nel cuore dell’uomo, ci sta bene e con comodità; per questo «non vuole uscire da noi quando è dentro. Non vuole uscire» - ha ribadito il Pontefice. Se un nemico dobbiamo temere, quello è il diavolo. I demoni erano i veri nemici di Gesù e devono essere anche i nostri nemici, dai quali dobbiamo guardarci e difenderci con i mezzi che il Signore ha messo a nostra disposizione, soprattutto la preghiera e la penitenza. Nel cuore dell’uomo si combatte una vera «lotta tra il bene e il male». Non dobbiamo abbassare la guardia pensando che si tratti di una lotta troppo astratta; fin dall’inizio Dio ha dovuto lottare contro il «serpente antico» e Gesù ha lottato con il diavolo, specialmente quando veniva tentato nel deserto, o quando doveva scacciarlo da qualcuno che ne era posseduto. A volte non ci rendiamo conto che «siamo in lotta» dentro di noi e che da soli è veramente difficile vincere il demonio, che a tutti i costi vuole la nostra rovina. Il Papa dice che «il compito del demonio è distruggere. Questa è la sua vocazione: distruggere l’opera di Dio». Francesco fa notare che a volte noi ci comportiamo in maniera superficiale e immatura quando crediamo che il diavolo non esista e pensiamo che sia una invenzione della Chiesa. Il Vescovo di Roma ci avverte che il diavolo è molto astuto, «è più furbo di una volpe» e quando non riesce a distruggere una persona perché c’è lo scudo della forza di Dio, allora «cerca il modo di riprendere possesso di quella casa, di quell’anima, di quella persona». E in che modo lo fa? Usando una diabolica strategia: «fa “l’educato”: va, vede, cerca una bella cricca, bussa alla porta — “permesso? posso entrare?” — suona il campanello e questi demoni educati sono peggiori dei primi, perché tu non ti accorgi che li hai a casa». Si, è proprio vero che i diavoli si possono avere in casa propria senza che uno se ne accorga. E poi, quando meno te l’aspetti ti colpiscono e fanno di tutto per annientarti. Papa Francesco dice che questo è «lo spirito mondano» e spiega che «il demonio o distrugge direttamente con i vizi, con le guerre, con le ingiustizie, o distrugge educatamente, diplomaticamente». In che modo? Questo tipo di demoni tessono la tua distruzione senza fare troppo rumore: «si fanno amici, ti persuadono — “No, va, non fa tanto, no, ma fino a qui sta bene” — e ti portano sulla strada delle mediocrità, ti fanno un “tiepido” sulla strada della mondanità». Francesco avverte che non sempre è facile rendersi conto di avere in casa propria il nemico; è come «quando tu vai a letto, e fra le lenzuola c’è lo scorpione” — “Ma è uno scorpione amico, non fa del male”». Stiamo attenti! Perché così facendo «noi cadiamo in questa mediocrità spirituale, in questo spirito del mondo che ci rovina, ci corrompe da dentro». Il Pontefice non esita a dire che ha più paura di questo tipo di «demoni educati» e abili nell’arte dell’adulazione per farti credere che non sono tuoi nemici, piuttosto che di quelli che l’esorcista scaccia quando una persona viene posseduta dal diavolo. A questo punto Francesco si domanda cosa sia peggiore nella vita di una persona: «un peccato chiaro o vivere nello spirito del mondo, della mondanità?». «Che il demonio ti butti su un peccato — anche, non uno, venti, trenta peccati, ma chiari, che tu ti vergogni — o che il demonio sia a tavola con te e viva, abiti con te ed è tutto normale, ma lì, ti dà le insinuazioni e ti possiede con lo spirito della mondanità?». A questo punto, il Papa ripropone la preghiera di Gesù nell’ultima cena: “Padre, io ti chiedo per questi, difendili dallo spirito del mondo”». E «lo spirito della mondanità è questo – ripete Francesco -  quello che portano i demoni educati … che vogliono entrare per la porta di casa come invitati a nozze»; di fronte a questi demoni ci vuole: “vigilanza e calma”.

giovedì 11 ottobre 2018

RIVOLGERSI A DIO CON CORAGGIO E INSISTENZA


LA PREGHIERA DEVE ESSERE ANCHE «INVADENTE»

Francesco: «La preghiera non è come una bacchetta magica: preghiamo, e… pum! Si fa la grazia»



di Antonino Legname
 

Una bella lezione sulla preghiera, ci ha regalato Papa Francesco nella Meditazione della Messa a Casa Santa Marta, l’11 ottobre 2018: «Bisogna essere coraggiosi quando si chiede qualcosa al Signore – ha detto il Pontefice - Dio è l'amico che ci può dare quello che ci occorre». Non è così facile pregare e Gesù insegna ai suoi discepoli come bisogna pregare. Lo fa raccontando di quell’uomo che, a mezzanotte, bussa a casa di un suo amico per chiedergli qualcosa da mangiare. È spinto dal bisogno e ha fiducia nell’amico perché sa che può dargli quello che chiede. Ma l'amico inizialmente non è disposto e risponde che quello non è il momento opportuno, è già a letto e non vuole essere disturbato; ma alla fine, dopo tanta insistenza è costretto ad alzarsi per accontentare l’amico importuno. In un certo senso quell’uomo che era nel bisogno non si fa scrupoli e insiste, si fa «invadente» e finalmente ottiene quello che chiede. Questo è il modo giusto di pregare e Gesù stesso ci insegna che bisogna chiedere senza stancarsi, perché «a chi chiede sarà dato» e «a chi bussa verrà aperto». Ovviamente, mette in guardia il Papa, la preghiera non può essere scambiata per una «bacchetta magica»; non c’è automatismo: «appena noi chiediamo otteniamo». Non basta dire un paio di “Padre Nostro” e tutto è sistemato. La preghiera – spiega il Pontefice - è un lavoro: un lavoro che ci chiede volontà, ci chiede costanza, ci chiede di essere determinati, senza vergogna. Perché? Perché io sto bussando alla porta del mio amico. Dio è amico, e con un amico io posso fare questo. Una preghiera costante, invadente». E uno degli esempi più belli di preghiera fiduciosa e perseverante è quella di Santa Monica, la madre di S. Agostino: «quanti anni ha pregato così, anche con le lacrime, per la conversione del suo figlio. Il Signore alla fine ha aperto la porta». A Papa Francesco è rimasto impresso l’esempio di un uomo di Buenos Aires, da lui stesso ha conosciuto e anche ammirato per la preghiera fatta con fede e con insistenza. Di che si tratta? Il Pontefice racconta che «un uomo, un operaio, aveva una figlia in fin di vita, i medici non avevano dato alcuna speranza e lui ha percorso 70 chilometri per andare fino al Santuario della Madonna di Luján. É arrivato che era notte e il Santuario chiuso, ma lui ha pregato fuori tutta la notte implorando la Madonna: “Io voglio mia figlia, io voglio mia figlia. Tu puoi darmela”. E quando la mattina dopo è tornato all’ospedale ha trovato la moglie che gli ha detto: “Sai, i medici l’hanno portata per fare un altro esame, non si spiegano perché si è svegliata e ha chiesto da mangiare, e non c’è nulla, sta bene, è fuori pericolo”». Quell’uomo, conclude Francesco, sapeva come si prega. E se ancora fossero rimasti dubbi sulla necessità di pregare senza stancarsi fino ad essere importuni ed «invadenti», Francesco porta l’esempio dei bambini capricciosi che quando si mettono in testa di ottenere qualcosa, incominciano a gridare e a piangere fino ad esasperare i genitori, costretti alla fine a cedere. Qualcuno giustamente ha detto che la preghiera è la forza dell’uomo e la debolezza di Dio. Nel senso che alla fine Dio cede di fronte alla preghiera perseverante fatta con fede. É Gesù stesso che ci assicura che saremo ascoltati ed esauditi:  “Se voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono”. Un vero amico è disposto a darti ciò che è bene, ti aiuta a risolvere i problemi e se questo amico è Dio, «Lui ti dà anche lo Spirito Santo». Non bisogna dimenticare, però, che la preghiera deve essere fatta con il cuore e non biascicata e ripetuta «come un pappagallo» - ha precisato il Papa – E alla fine, dopo aver «lottato con Dio» nella preghiera, Lui ti darà «quello di cui hai bisogno se è giusto». In sintesi, come bisogna pregare? Anzitutto con coraggio, con perseveranza, anche con «invadenza», senza arrendersi mai; la vera preghiera richiede fede, forza e tanta determinazione. In un certo senso devo essere già sicuro di ottenere. Non facciamo l’errore di quella gente che, dopo un lungo periodo di siccità, andò in chiesa a pregare per chiedere al Signore la pioggia. Il parroco si rivolse alla sua gente con queste semplici parole: “cari fedeli siete venuti in chiesa così numerosi per pregare Dio, affinché faccia piovere. Ma, ditemi, dove sono i vostri ombrelli?”.

mercoledì 10 ottobre 2018

INTERROMPERE VOLONTARIAMENTE LA GRAVIDANZA È UCCIDERE


UNA MURAGLIA A DIFESA DELLA VITA
Papa Francesco a chi è giovane: «Non sottovalutarti, non disprezzarti con le dipendenze che ti rovineranno e ti porteranno alla morte!»

Papa Francesco durante l'Udienza Generale in Piazza S. Pietro il 10 ottobre 2018


di Antonino Legname

«Il quinto comandamento: non uccidere … si erge come una muraglia a difesa del valore della vita», fin dal concepimento. Per questo «non si può, non è giusto “fare fuori” un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema», ha detto Papa Francesco nella Catechesi dell’Udienza Generale di Mercoledì 10 ottobre 2018. Purtroppo, nel mondo di oggi è troppo evidente il «disprezzo per la vita». Basti pensare alle guerre e a tutte quelle organizzazioni malavitose che sfruttano l’uomo. I Giornali e i Telegiornali ogni giorno ci bombardano di notizie di sangue e di trattamento indegno delle persone e di sfruttamento selvaggio del creato. Nella nostra società si afferma sempre più la «cultura dello scarto» e quella legge spietata che sottomette la vita umana «a calcoli di opportunità» e tante persone sono costrette a vivere in maniera scandalosa ai limiti della sopravvivenza, «in uno stato indegno dell’uomo. Questo è disprezzare la vita, cioè, in qualche modo, uccidere» - ha denunciato il Pontefice. E senza mezzi termini, Francesco ha ribadito con forza che l’aborto è omicidio: «”interrompere la gravidanza” significa “fare fuori uno”, direttamente». È disumano sopprimere una vita umana innocente e indifesa – come è quella del bambino nel seno della madre - per difendere i diritti individuali. «É come affittare un sicario per risolvere un problema». Ci possono essere delle paure, specialmente quando «si scopre che una vita nascente è portatrice di disabilità, anche grave». Cosa fare in queste situazioni drammatiche? Purtroppo, a volte i genitori ricevono consigli frettolosi per interrompere la gravidanza. Ma la soluzione non è l’aborto. Papa Francesco chiede più vicinanza e più solidarietà ai genitori quando si presentano questi casi drammatici. Anch’io nel mio ministero sacerdotale ho avuto modo di salvare diversi bambini, non solo con la vicinanza alla famiglia ma con i consigli “pro vita”, offerti al momento giusto a quei genitori che, comprensibilmente confusi, vivevano in quel momento il dramma, se portare avanti la gravidanza, nonostante i fondati rischi, anche per l’età avanzata della madre, oppure interromperla. La parola giusta al momento giusto può fare miracoli. Quanti bambini meravigliosi sono oggi in vita per un atto di coraggio e di amore alla vita da parte dei loro genitori, che hanno saputo vincere la paura, si sono affidati a Dio, "amante della vita", e hanno sperato contro ogni speranza. E quanti genitori hanno accolto i loro bimbi nati malati, non come un problema, ma come «un dono di Dio che può tirarmi fuori dall’egocentrismo e farmi crescere nell’amore»! Il Vescovo di Roma si domanda: «che cosa conduce l’uomo a rifiutare la vita?». La risposta più immediata è legata agli idoli di questo mondo, specialmente il denaro, il potere e il successo: «meglio togliere di mezzo questo, perché costerà». Non sono questi i parametri per misurare il valore della vita. «L’unica misura è l’amore; l’amore con cui Dio la ama!». E allora «non disprezzare la vita», essa è un dono di Dio e «ogni uomo vale il sangue di Cristo stesso», ha concluso Francesco, invitando i giovani a non sciupare la loro esistenza. Al giovane che vive un momento difficile della sua vita, il Papa consiglia: «Non sottovalutarti, non disprezzarti con le dipendenze che ti rovineranno e ti porteranno alla morte!».

martedì 9 ottobre 2018

«ORA ET LABORA»


«L’INDAFFARATISMO» DEGLI «INDAFFARATISTI»
Papa Francesco: «Contemplazione e servizio: questa è la strada nostra della vita»
 
Opera di Giorgio Vasari: Gesù in casa di Marta e Maria


di Antonino Legname

Papa Francesco di tanto in tanto crea dei neologismi. Nella Meditazione della Messa a Santa Marta, il 9 ottobre 2018, ha coniato le parole «indaffaratismo» e «indaffaratisti» per dire che si può essere cultori della religione dell’attivismo, cioè del fare e del troppo fare, senza trovare il tempo per fermarsi e per entrare nella contemplazione. Ci vuole equilibrio tra la contemplazione e il servizio attivo e pratico. Le qualità di Marta e Maria, sorelle di Lazzaro di Betania – così come vengono descritte nel Vangelo – devono essere coniugate insieme, nella vita del cristiano. Marta è una donna forte e determinata, con i piedi per terra, «capace anche di rimproverare il Signore per non essere stato presente alla morte del fratello Lazzaro». Il suo attivismo la distrae fino al punto da renderla incapace di «perdere il tempo guardando il Signore». A Marta manca la dimensione contemplativa della vita. E da questa donna, il Papa prende lo spunto per dire che ci sono tanti cristiani che si limitano ad andare a Messa la domenica, ma usciti dalla chiesa si immergono a capofitto negli affari della vita: «sono indaffarati, sempre. Non hanno tempo né per i figli, neppure per giocare con i figli». L’attivismo esagerato, o «l’indaffaratismo» - come lo chiama Francesco -  può diventare una specie di religione, un Moloch a cui sacrificare tempo e affetti. Anche i preti e le persone consacrate possono diventare devoti di questo idolo e far parte di quel «gruppo degli “indaffaratisti”». Si dedica tanto tempo alle “attività del Signore” e ci si dimentica del “Signore delle attività”. A volte la troppa occupazione diventa preoccupazione. Occorre fermarsi, per riflettere, per meditare e contemplare alla luce della Parola del Signore. Non è bene far lavorare sempre le mani, per produrre e possedere di più, anche per fare del bene, ma – come consiglia il Papa – bisogna aprire il cuore alla contemplazione. Non si tratta di alienarsi dalla realtà per rifugiarsi nell’intimismo spirituale. La contemplazione non è un «dolce far niente», spiega Francesco, ma è un catalizzatore importante per non disperdersi nell’attivismo e per raccogliere energie e motivazioni per poter lavorare meglio. 
Era questa la regola di San Benedetto «Ora et labora», «Prega e lavora». Neppure le monache di clausura passano tutta la giornata a «guardare il cielo», ma «pregano e lavorano». L’Apostolo Paolo è l’esempio di questa armoniosa unità tra la preghiera e l’apostolato. Egli era innamorato del Signore e faceva tutto con spirito di contemplazione. Dalla contemplazione vera, non astratta, attingeva tutta la forza per annunciare coraggiosamente il Vangelo. Il Pontefice fa un esempio pratico: «É come quando una marito torna a casa dal lavoro e trova sua moglie ad accoglierlo: quella che è veramente innamorata non lo fa accomodare e poi continua a sbrigare le faccende di casa, ma “prende il tempo per stare con lui”». In conclusione: «Contemplazione e servizio: questa è la strada nostra della vita».

domenica 7 ottobre 2018

DAL SINODO SUI GIOVANI: LA RICERCA DEL BENE, DELLA VERITA’ E DELLA BELLEZZA


IL POPULISMO È CHIUSURA
Francesco: «Voi giovani non avete prezzo, non siete merce all’asta. Per favore, non lasciatevi comprare»




di Antonino Legname

«Fate la vostra strada. Siate giovani in cammino, che guardano gli orizzonti, non lo specchio. Sempre guardando avanti, in cammino, e non seduti sul divano». Con queste parole, Papa Francesco si è rivolto ai Giovani che ha incontrato, insieme ai Padri sinodali, in Vaticano il 6 ottobre 2018. L’immagine del «divano», per indicare una situazione statica, e quella dello «specchio», per esprimere autoreferenzialità e narcisismo, sono categorie linguistiche molto care al Papa, perché le ha usata in molte occasioni, specialmente quando ha incontrato i giovani: «Tante volte mi viene da dire questo: un giovane, un ragazzo, una ragazza, che sta sul divano, finisce in pensione a 24 anni: è brutto, questo!». I giovani non devono limitarsi a guardare il mondo dal balcone della vita, ma devono camminare e andare alla ricerca di quelle proprietà essenziali che qualificano l’uomo: «il bene, la verità e la bellezza». Un segno distintivo del vero cristiano è la «coerenza di vita». E senza mezzi termini, il Vescovo di Roma dice ai Giovani: «quando voi vedete una Chiesa incoerente, una Chiesa che ti legge le Beatitudini e poi cade nel clericalismo più principesco e scandaloso, io capisco, io capisco...». In quell’«io capisco», è racchiusa tutta l’amarezza di Francesco per le incoerenze e gli scandali che affliggono la Chiesa a tutti i livelli. L’esortazione accorata del Papa si rivolge a tutti coloro che si dicono cristiani: «prendi le Beatitudini e mettile in pratica. E se sei un uomo o una donna che hai dato la vita, l’hai consacrata; se sei un prete – anche un prete che balla [si riferisce a una testimonianza] –, se sei un prete e vuoi vivere come cristiano, segui la strada delle Beatitudini». Sul fronte della coerenza abbiamo ancora tanto cammino da fare. Il Pontefice ha parlato anche del problema delle «disuguaglianze» ed ha ribadito con forza il principio evangelico che «il vero potere è servire». Chi non usa il potere come servizio, non è una persona matura, ma è un egoista che  fa di tutto per dominare gli altri; per asservire, invece di servire. «Abbassare l’altro non lasciarlo crescere, è dominare, fare schiavi» - ha rimarcato Francesco.
E con cuore paterno, il Papa ha esortato i Giovani a non lasciarsi comprare come si fa con una «merce all’asta». Purtroppo, in una società commercializzata come la nostra, dove vige la legge del «do ut des», è facile per i giovani cedere, a volte anche la propria dignità, al miglior offerente. «Voi non avete prezzo! - Non siete merce all’asta! – ha rimarcato il Papa - Per favore, non lasciatevi comprare, non lasciatevi sedurre, non lasciatevi schiavizzare dalle colonizzazioni ideologiche che ci mettono idee nella testa e alla fine diventiamo schiavi, dipendenti, falliti nella vita». Anche il rapporto con il mondo digitale deve essere equilibrato e responsabile. È vero che tramite il web si realizza in tempo reale una «interconnessione immediata, efficace e rapida». Ma è anche vero che l’uso scorretto di questi strumenti tecnologici può raffreddare i rapporti umani e familiari e può mettere in crisi il «rapporto concreto e reale» tra persone. «Se i media, se l’uso del web ti porta fuori dalla concretezza, ti rende “liquido”, taglialo» - ha consigliato il Papa. Il discorso di Francesco si è anche focalizzato sull’«accoglienza». Anzitutto, occorre «vincere la mentalità sempre più diffusa che vede nello straniero, nel diverso, nel migrante, un pericolo, il male, il nemico da cacciare». Francesco alza la voce contro la «moda dei populismi», che favoriscono la mentalità e la cultura della chiusura, non solo delle porte, ma anche delle mani. I populismi «non hanno niente a che vedere con ciò che è popolare – spiega il Papa - Popolare è la cultura del popolo, la cultura di ognuno dei vostri popoli che si esprime nell’arte, si esprime nella cultura, si esprime nella scienza del popolo, si esprime nella festa!». E ribadisce: «il populismo è il contrario: è la chiusura». Come vincere questa mentalità della chiusura? Francesco risponde: «Si vince con l’abbraccio, con l’accoglienza, con il dialogo, con l’amore, che è la parola che apre tutte le porte». E infine, il Papa chiede ai giovani di parlare con gli anziani, con i nonni, che sono la memoria e la radice. Dai vecchi si impara molto; «loro sono le radici, le radici della vostra concretezza, le radici del vostro crescere, fiorire e portare frutto».

venerdì 5 ottobre 2018

SINODO SUI GIOVANI: IL RIDUZIONISMO SCIENTISTA E LA RICERCA DEL SENSO DELLA VITA


I GIOVANI TRA SCIENZA E FEDE

Papa Francesco: «La scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe»


di Antonino Legname

«I giovani sono grandi cercatori di senso e tutto ciò che si mette in sintonia con la loro ricerca di dare valore alla propria vita suscita la loro attenzione e motiva il loro impegno», così si legge al n. 7 dello «Strumento di Lavoro»  del Sinodo sui Giovani, che si celebra dal 3 al 28 ottobre 2018 in Vaticano. I giovani d’oggi sono alla ricerca del senso della vita. Si può sperare in un loro «ritorno al sacro»? Oppure il cristianesimo e la religione sono da considerare un retaggio del passato? Una cosa è certa: tanti giovani vivono una certa frustrazione esistenziale e sono insoddisfatti «per una visione del mondo puramente immanente, veicolata dal consumismo e dal riduzionismo scientista» (n. 63). È possibile aprire il campo alla ricerca del senso della propria esistenza attraverso itinerari spirituali di varia natura? Dobbiamo ammettere che, nonostante una certa «religiosità liquida» e «fai da te», nel mondo giovanile «non mancano i segni di vitalità religiosa e spirituale» (ibid.). È anche vero, però, che tanti giovani d’oggi non amano la religione istituzionalizzata, preferiscono una spiritualità e una fede personale e raramente si rivolgono alla Chiesa, della quale ne avvertono le tante contraddizioni e incoerenze. Ma la Chiesa vuole entrare in sintonia con i giovani d’oggi e desidera percepire «le loro gioie e le loro speranze, le loro tristezze e le loro angosce».
In un mondo dominano dalla scienza e dalla tecnica, c’è ancora posto per Dio? I giovani d’oggi avvertono la dimensione trascendente della vita?
Per rispondere a queste domande mi avvalgo dell’aiuto di un grande scienziato, il fisico italiano Enrico Medi [1911-1974], il quale, in occasione di una conferenza a Nepi, di fronte ad una platea di giovani, disse: “Non ho ancora incontrato in tutta la mia vita, ed io ho vissuto in un mondo di atei, di nemici della fede, in campo internazionale e nazionale, non ho trovato ancora una sola persona che mi abbia dato la più piccola dimostrazione che Dio non c'è. Dicono: Dio non c'è! Perché? Ah non lo so! E quando qualcuno dice loro che Dio c'è, con ineluttabile luce d'amore, allora se ne vanno abbassando lo sguardo carico di paura. Hanno paura della luce di Dio”. Enrico Medi quando parlava ai giovani si appassionava e diceva che “la nostra è una civiltà che ha perduto il fondamento metafisico ... lo slancio della speranza. È una civiltà senza speranza. Ognuno di noi vive di contingenze, di paura, di ansie e di concorrenza. Ognuno guarda a destra e a sinistra per vedere se è ancora il primo. Vive di paura. Paura del progresso, del denaro, della politica, di sovvertimenti, paura delle bombe atomiche, di politiche avverse, paura, paura, paura. E ogni giorno questa paura incalza con la radio, la televisione, i giornali. Sarò vivo domani? Non ne sono certo, vivo perciò oggi come posso e mi arrangio”. Famose sono le tre “F” (Filosofia, Fisica, Fede) che Medi riuscì a coniugare armoniosamente nella sua vita; in un discorso alla Pontificia Università Gregoriana, confidò: “quando nel lontano 1928 mi sono iscritto alla facoltà di fisica pura […] l’ho presa proprio per questo: perché sentivo una vocazione, nella mia miseria, dell’armonia della verità tra la Filosofia, la Fisica e la Fede”.
Di fronte al meraviglioso spettacolo dell'universo, lo scienziato Enrico Medi esclamava: «Oh, voi misteriose galassie […], io vi vedo, vi calcolo, vi intendo, vi studio e vi scopro, vi penetro e vi raccolgo. Io prendo voi stelle nelle mie mani, e tremando nell’unità dell’essere mio vi alzo al di sopra di voi stesse, e in preghiera vi porgo al Creatore, che solo per mezzo mio voi stelle potete adorare». Le sue parole, cariche di stupore per le meraviglie del creato, mi ricordano quelle di Sant'Agostino: “Interroga la bellezza della terra, del mare, dell'aria rarefatta e dovunque espansa; interroga la bellezza del cielo... interroga tutte queste realtà. Tutte ti risponderanno: guardaci pure e osserva come siamo belle. La loro bellezza è come un loro inno di lode. Ora, queste creature, così belle ma pur mutevoli, chi le ha fatte se non uno che è bello in modo immutabile?”. Lo scienziato Antonino Zichichi [1929], autore di studi sulle strutture e le forze fondamentali della natura che hanno aperto nuove vie alla Fisica subnucleare, ha scritto:  
“Le conquiste della Scienza non oscurano le leggi divine, ma le rafforzano, contribuendo a risvegliare lo stupore e l’ammirazione per il meraviglioso spettacolo del Cosmo, che va dal cuore di un protone ai confini dell’universo. Nessuna scoperta scientifica ha messo in dubbio l’esistenza di Dio. La Scienza è fonte di valori che sono in comunione, non in antitesi, con l’insegnamento delle Sacre Scritture. Nessun ateo può quindi illudersi di essere più logico e scientifico di colui che crede. Chi sceglie l’Ateismo fa quindi un atto di Fede: nel Nulla”. È ancora Zichichi a sostenere che “la più grande conquista della Scienza è l’avere scoperto che una logica rigorosa regge il mondo. Questa logica nessuno sa dedurla dal Caos. Quindi deve esserci l’autore. La ricerca dipende da questa logica: se fossimo figli del Caos non potrebbero esistere i laboratori scientifici in cui si continua a decifrare il «Libro della natura» [...]. Se la Scienza smettesse di continuare a decifrare ciò che sta scritto nel libro del Creatore addio nuove invenzioni tecnologiche”. La scienza non è un sapere isolato, ma si innesta nel grande dialogo del pensiero umano che accoglie e sviluppa; anche per questo non dovrebbe chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità nel corso dei secoli. “La scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e produttivo per entrambe” - scrive Papa Francesco al n. 62 della Laudato si'. Anche Enrico Medi era fermamente convinto che “Scienza e fede sono due luci emanati dalla medesima Fonte, mai in contraddizione fra loro, distinte ma non opposte, che per vie diverse raggiungono la creatura umana, completandosi e armonizzandosi”. Non si riesce a capire perché alcune persone ritengano insanabile il rapporto tra scienza e fede. Da cosa dipende? Medi risponde: “Ciò forse è dovuto a conoscenze parziali, a cattiva disposizione di cuori distolti da una malcelata passionalità, alla paura che hanno occhi malati di ricevere troppa luce”.


giovedì 4 ottobre 2018

DAL SINODO: LA FORZA DELLA MUSICA PER EVANGELIZZARE I GIOVANI

            CANTILLANDO LA BUONA NOVELLA 



di Antonino Legname

Se «la musica è il linguaggio fondamentale per i giovani» - come recita il n. 36 dello «Strumento di Lavoro» del Sinodo sui giovani, perché un Pastore, sacerdote o vescovo, non dovrebbe imparare ad usare questo linguaggio universale della musica per poter parlare di Gesù ai giovani d’oggi? 
S.E. Mons. Antonio Staglianò
Lo ha ben capito il Vescovo di Noto, Mons. Antonio Staglianò, promotore della «Pop Theology», cioè di quella «Teologia Popolare» veicolata dalla musica e dalle canzoni Pop. Il Vescovo in tante occasioni ha voluto incontrare migliaia di giovani, anche suonando la chitarra e cantando, o meglio, «cantillando» il motivo di alcune canzonette che si prestano a fare da sfondo a profonde riflessioni sui grandi temi della vita e della spiritualità cristiana. Per esempio, si può incominciare a parlare dell’amore, come senso della vita, «cantillando» il brano del cantante italiano Nek, «Siamo fatti per amare». E quando l’uomo non riesce ad amare veramente, lo spunto per spiegare il perché, ce lo può offrire la canzone intitolata «Gesù» di Renato Zero: «Gesù non ti somigliamo più». Ricordo che su «L’Osservatore Romano» online del 20 agosto 2016, a proposito di questa canzone, si commentava: «Si tratta di un pezzo dal titolo altamente suggestivo: «Gesù». È il Gesù di Renato Zero ma in tanti punti, forse in tutta la coinvolgente canzone, si ritrova il Gesù di una vera fede, profonda, viva e vivace. Questa canzone meriterebbe ben altra meditazione teologica, ma vale la pena, qui, ricordare alcuni stralci che ci rivelano che l’arte, oggi più che mai, desidera parlare in profondità, a partire dalle nostre radici di fede». 
E così, la musica e le canzoni possono diventare veicolo per parlare del Vangelo e dei grandi valori della vita. Molto bella la riflessione di Mons. Staglianò a partire dalle canzoni di Marco Mengoni: «Credo negli esseri umani» ed «Essenziale», o quella di Francesco Gabbani «Amen». Il Vescovo di Noto, quando parla ai giovani, si distacca da quel linguaggio convenzionale di un certo cattolicesimo da sagrestia, così distante dal gioco linguistico musicale dei giovani d’oggi, e si immerge con passione nella musica pop per annunciare «cantillando» la Buona Novella. Staglianò non è un Vescovo-cantante, ma un Pastore che vuole incarnare il Vangelo nella cultura dei giovani d’oggi, anche attraverso i testi di alcune famose canzonette italiane, come «Occidentali's Karma» di Gabbani. Da questo testo scaturiscono alcune domande esistenziali: «“sei un essere umano, o una “scimmia nuda che balla” tu? Conosci l’amore? O ti metti “in salvo dall'odore dei tuoi simili” e vai a lezioni di Nirvana?». Nel Sinodo si parlerà anche del linguaggio della musica, che la Chiesa è chiamata ad approfondire con la consapevolezza che per i giovani «costituisce la colonna sonora della loro vita, in cui sono costantemente immersi» (cfr. n. 36). Oltre agli effetti positivi della musica, - come per esempio, le emozioni, il coinvolgimento del corpo e della parte più intima dell’essere umano, i messaggi che veicolano stili di vita e valori – bisogna  mettere in conto anche i risvolti deleteri e distruttivi di certa musica alienante e anche le manipolazioni e gli influssi negativi che scaturiscono dagli immensi interessi economici della grande industria della musica. Al n. 37 dello «Strumento di Lavoro» del Sinodo si legge che «la musica e la sua condivisione attivano processi di socializzazione». Basta vedere o partecipare ai concerti, dove si radunano migliaia di giovani. La musica diventa l’occasione per incontrarsi, per fare amicizia, per stare insieme dentro spazi dove le diversità e le distanze si annullano. Ovviamente, non mancano i rischi dell’alienazione dentro il mondo virtuale di certa musica, che può diventare uno spazio di ascolto passivo «in cui l’effetto, a volte amplificato dall’uso di droghe, ha un ruolo spersonalizzante». 
La stessa musica può diventare una droga! Ma al di là dei rischi, la musica gioca un ruolo fondamentale nella vita dei giovani d’oggi, perché è strettamente «connessa con la dimensione dell’ascolto e dell’interiorità» (n. 162). Non bisogna sottovalutare l’aspetto identificativo dei giovani con un genere musicale o con un musicista o un cantante. 
Infine, occorre riflettere sul ruolo della musica e del canto nello sviluppo della spiritualità e del cammino di fede delle nostre comunità cristiane. Nella liturgia, specialmente nella Messa, occorre privilegiare quei linguaggi musicali che «favoriscono il raccoglimento e l’ascolto interiore», ma non si devono disprezzare quei linguaggi musicali più vivaci e più allegri, specialmente quando si ha una grande partecipazione di ragazzi e di giovani. 


mercoledì 3 ottobre 2018

GLI ANGELI NOSTRI PROTETTORI E COMPAGNI DI CAMMINO


ESISTE L’ANGELO CUSTODE?
Francesco: «L’angelo è la porta quotidiana alla trascendenza, all’incontro con il Padre. Ascolta la voce di questo speciale custode»




«L'esistenza degli esseri spirituali, incorporei, che la Sacra Scrittura chiama abitualmente angeli, è una verità di fede» - così recita il n. 328 del Catechismo della Chiesa Cattolica. Qual è il compito dell’Angelo custode nella vita degli uomini? Papa Francesco ha risposto a questa domanda nella Meditazione della Messa a Santa Marta, il 2 ottobre 2018, giorno in cui la Chiesa celebra la liturgia dei Santi Angeli Custodi. Nella Bibbia, nel libro dell’Esodo (23,20-23), si legge che il Signore promette di dare al suo Popolo un aiuto particolare: «Ecco, io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e farti entrare nel luogo che ho preparato». San Basilio Magno diceva che «ogni fedele ha al proprio fianco un angelo come protettore e pastore, per condurlo alla vita». E Papa Francesco assicura che gli Angeli Custodi sono i «nostri compagni di cammino, i nostri protettori nel cammino e ci custodiscono». Proprio perché la vita umana è un cammino non sempre facile e spianato, abbiamo bisogno di essere guidati e aiutati per «camminare bene» e per  evitare insidie e pericoli. Infatti, è facile che lungo il cammino si perdano le coordinate e l’orientamento; per questo è necessario avere una «bussola» che ci aiuti a guardare verso la giusta direzione. Ma ci sono dei rischi che occorre evitare – ha messo in guardia il Papa – Anzitutto, il pericolo di non camminare e di restare fermi per mancanza di coraggio. Ci sono coloro che preferiscono una vita tranquilla, in pace e senza imprevisti, illudendosi, così, di non sbagliare mai. Questa è l’ignavia di coloro che per non rischiare e non sbagliare si fermano. Con un’immagine eloquente, il Pontefice, ha detto che «chi nella vita è fermo, finisce per corrompersi. Come l’acqua: quando l’acqua è ferma lì, vengono le zanzare, mettono le uova, e tutto si corrompe». Ecco allora il compito misterioso e potente del nostro Angelo Custode: «aiutarci e spingerci a camminare». Ma ci sono coloro che si avventurano nel cammino della vita, ma, purtroppo, sbagliano strada, perché non ascoltano l’ispirazione del nostro compagno di cammino o i consigli dei fratelli e delle sorelle». L’intervento dell’Angelo è di grande conforto e di sostegno, perché ci aiuta a non sbagliare strada, «perché – ha avvertito il Papa - se tu sbagli strada, all’inizio è facile correggere, ma dopo tanti anni — tanti anni — te ne vai lontano, da un’altra parte rispetto a dove tu dovresti andare». 
Non è forse vero che a volte nella vita ci troviamo a camminare dentro un «labirinto»? Ci si illude di camminare dalla parte giusta e verso una meta sicura, ma di fatto, come succede nel labirinto, non si arriva mai alla fine e si rimane intrappolati. L’Angelo Custode ha il compito di farci uscire dal labirinto delle nostre umane sicurezze, mostrandoci la via d’uscita. Per questo – ha consigliato Francesco - «Noi dobbiamo pregarlo: “Ma aiutami”». E soprattutto dobbiamo ascoltare le sue aspirazioni, dettate sempre dallo Spirito Santo, perché Lui ha tutta l’autorità, ricevuta da Dio, per aiutarci nel cammino e per «farci vedere dove dobbiamo arrivare». È bello sapere che il nostro Angelo Custode è il «ponte quotidiano», tra noi e Dio, «dall’ora che ci alziamo all’ora che andiamo a letto»; dall’inizio della nostra vita terrena fino alla morte è Lui che ci accompagna, ci protegge e intercede per noi presso Dio; è Lui «la porta quotidiana alla trascendenza» per poter contemplare Dio Padre.



O Dio, che nella tua misteriosa provvidenza
mandi dal cielo i tuoi Angeli
a nostra custodia e protezione,
fa’ che nel cammino della vita
siamo sempre sorretti dal loro aiuto
per essere uniti con loro nella gioia eterna.
(dalla Colletta della Messa dei Santi Angeli Custodi)


martedì 2 ottobre 2018

«LA FECONDITÀ DEL SILENZIO INTERIORE E L’EROISMO DEL SILENZIO ESTERIORE»


LA “SANTA INDIFFERENZA” E LA PREGHIERA CONTRO IL DIAVOLO

Francesco: «La barca della Chiesa è investita da venti contrari e violenti»


di Antonino Legname

«Viviamo in un contesto in cui la barca della Chiesa è investita da venti contrari e violenti, a causa specialmente delle gravi colpe commesse da alcuni dei suoi membri», ha detto Papa Francesco ai Sacerdoti della Diocesi di Créteil (Francia), ricevuti in udienza il 1° ottobre 2018. Nello stesso tempo, però, «è importante non dimenticare l’umile fedeltà quotidiana al ministero che il Signore permette di vivere alla grande maggioranza di coloro che ha donato alla sua Chiesa come sacerdoti!». Purtroppo, un albero che cade fa più rumore di una foresta che cresce in silenzio. E lo scandalo di un prete fa tanto rumore a livello mediatico. Francesco ci ricorda che quanti siamo stati chiamati a seguire il Signore «non siamo stati consacrati mediante il dono dello Spirito per essere dei “supereroi”». Pertanto, mai dobbiamo dimenticare che siamo stati scelti e inviati come «uomini perdonati», e che, nonostante le nostre umane debolezze e fragilità, siamo chiamati a «testimoniare la forza della Risurrezione nelle ferite di questo mondo». E incontrando, nello stesso giorno, i Partecipanti al Capitolo Generale dei Rosminiani, Papa Francesco ha detto che «la santità è la via della vera riforma della Chiesa, che … trasforma il mondo nella misura in cui riforma sé stessa».
Lo scrittore Giuseppe Prezzolini [1882 – 1982] era un intellettuale, stimato da Paolo VI, che non faceva un mistero della sua incredulità, ma parlava e scriveva sulla Chiesa cattolica come un uomo appassionato, al quale stava a cuore la sorte di questa bimillenaria istituzione. E con rammarico constatava: «La Chiesa è una nave che fa acqua da tutte le parti. Ha persino ammutinamenti fra l'equipaggio» e fa alcuni esempi: «Un cardinale ottantenne si è pubblicamente lamentato di esser giudicato inutile alla Chiesa. La crisi dei seminari è profonda ed universale. In certe regioni si fabbricano nuovi catechismi. Un certo numero di preti vuol sposarsi. Molte suore vogliono vivere in appartamento privato […]. La Chiesa Cattolica ha visto molte altre vicende e probabilmente sorpasserà questa tempesta. Ma il capitano è messo a dura prova».  Ricordo con particolare commozione la preghiera della nona stazione, scaturita dal cuore del cardinale Ratzinger nel 2005, in occasione della Via Crucis al Colosseo: «Signore spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa […]. Salva e santifica la tua Chiesa». Nella sua ultima Udienza Generale, Benedetto XVI disse: «ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto. Questa è stata ed è una certezza, che nulla può offuscare». Oggi, nella Chiesa, occorre l’impegno di tutti per rafforzare l’unità attorno al Vicario di Cristo. «La fedeltà alla sede di Pietro – ha ricordato Papa Francesco ai Rosminiani - esprime l’unità nella diversità e la comunione ecclesiale, elemento imprescindibile per una fruttuosa missione», così come amava ripetere il Beato Antonio Rosmini: «Il cristiano dovrà nutrire in se stesso un affetto, un attaccamento, ed un rispetto senza limite alcuno per la Santa Sede del Pontefice Romano». Rosmini era un uomo con una forte «fermezza interiore», – ha evidenziato il Papa – era  «intrepido nel “tacere”. E continua ad essere di esempio anche oggi per quella «fecondità del silenzio interiore» e per «l’eroismo del silenzio esteriore». E su questa strada di santità – ha consigliato Francesco – «è importante mantenere quella “santa indifferenza” senza la quale non è possibile attuare un’autentica carità universale». Pertanto, nonostante i tanti venti contrari che oggi soffiano violenti contro la barca della Chiesa, dobbiamo mantenere la serenità interiore e sentirci sicuri dentro di essa, perché sappiamo che da duemila anni continua a navigare nel mare della storia, e a resistere a tutte le tempeste ideologiche, culturali e a tutti i tentativi di ammutinamento, anche al suo interno. La barca di Cristo procede sicura in mezzo alle tempeste perché ha ricevuto la promessa dal suo Capitano che “le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18). Il Signore ci ha chiesto di pregare per non soccombere alle tentazioni del maligno. Per questo è necessario che tutto il Popolo di Dio si mobiliti per sostenere la Chiesa, con la forza della preghiera, contro l’opera diabolica di quanti seminano la zizzania della divisione. In questi giorni Papa Francesco ha invitato i fedeli di tutto il mondo a pregare, in modo speciale il Santo Rosario durante il mese di Ottobre, e ad invocare la Madonna e San Michele Arcangelo, affinché proteggano la Chiesa dal diavolo, origine di ogni divisione.

La preghiera a Maria

La prima preghiera, “Sub tuum praesídium”, risalente al III secolo, è il più antico tropario dedicato alla madre di Dio:

“Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, santa Madre di Dio: non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova, e liberaci da ogni pericolo, o vergine gloriosa e benedetta”.

La preghiera a San Michele Arcangelo
La seconda invocazione è una preghiera a San Michele scritta da Papa Leone XIII nel 1884 per chiedere la protezione della Chiesa dagli attacchi del maligno:

“San Michele Arcangelo, difendici nella lotta, sii nostro presidio contro le malvagità e le insidie del demonio. Capo supremo delle milizie celesti, fa’ sprofondare nell’inferno, con la forza di Dio, Satana e gli altri spiriti maligni che vagano per il mondo per la perdizione delle anime. Amen”.

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