UBI PETRUS

Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL,30,5)

18 maggio 2025

COSTRUIRE L’UNITA’ NELLA DIVERSITA’

 

«TUTTI UNITI IN UN’UNICA FAMIGLIA»

«Questa è l’ora dell’amore! La carità di Dio che ci rende fratelli tra di noi è il cuore del Vangelo!»


di Antonino Legname

«Vengo a voi come un fratello … camminando con voi sulla via dell’amore di Dio, che ci vuole tutti uniti in un’unica famiglia» - ha detto Papa Leone XIV nell’Omelia della Messa per l’inizio del suo Ministero Petrino, Domenica 18 maggio 2025. In una Piazza San Pietro gremita di fedeli, e in mondovisione, il nuovo Vescovo di Roma, ricordando la sua elezione, dice: «sono stato scelto senza alcun merito e, con timore e tremore, vengo a voi come un fratello che vuole farsi servo della vostra fede e della vostra gioia». Il nuovo successore di Pietro è chiamato ad essere «un pastore capace di custodire il ricco patrimonio della fede cristiana e, al contempo, di gettare lo sguardo lontano, per andare incontro alle domande, alle inquietudini e alle sfide di oggi». Papa Leone XIV affida il suo ministero petrino, di essere segno visibile di unità, «all’opera dello Spirito Santo, che ha saputo accordare i diversi strumenti musicali, facendo vibrare le corde del nostro cuore in un’unica melodia». Ovviamente, per fare agire lo Spirito Santo occorre evitare due rischi: da una parte la chiusura nei particolarismi e negli esclusivismi di gruppo, che portano alla divisione; e dall’altra parte, la pretesa di costruire l’unità secondo progetti e calcoli umani, con il rischio dell’uniformità e dell’omologazione. Non dobbiamo «chiuderci nel nostro piccolo gruppo né sentirci superiori al mondo - ha detto Papa Leone - siamo chiamati a offrire a tutti l’amore di Dio, perché si realizzi quell’unità che non annulla le differenze, ma valorizza la storia personale di ciascuno e la cultura sociale e religiosa di ogni popolo». Papa Francesco, in uno dei suoi Discorsi, aveva detto che «la Chiesa non è mai uniformità, ma diversità che si armonizzano nell’unità e questo vale in ogni realtà ecclesiale». Non c’è dubbio che senza la presenza e l’opera dello Spirito Santo ci sarebbe una grande Babele anche nella Chiesa cattolica. Anche se con parole diverse, Papa Leone XIV ha ribadito quanto insegnato dai suoi due ultimi predecessori, e cioè che la Chiesa nella sua spinta missionaria non si impone con il proselitismo ma cresce per attrazione grazie alla testimonianza coerente e alla gioia di coloro che hanno incontrato e sperimentato l’amore di Gesù nella loro vita. Dice Papa Leone: «Non si tratta mai di catturare gli altri con la sopraffazione, con la propaganda religiosa o con i mezzi del potere, ma si tratta sempre e solo di amare come ha fatto Gesù». Il Vescovo di Roma ci ricorda che «in questo nostro tempo, vediamo ancora troppa discordia, troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri». Cosa fare? Come Chiesa siamo chiamati «a costruire l’edificio di Dio nella comunione fraterna, nell’armonia dello Spirito, nella convivenza delle diversità». Le radici della spiritualità agostiniana sono evidenti nell’omelia di Papa Leone, soprattutto quando parla di “inquietudine” in riferimento al cuore che si agita fino a quando non trova il suo riposo e la sua pace in Dio. E come Pastore della Chiesa universale, il Pontefice esorta tutti gli uomini di buona volontà ad ascoltare la proposta d’amore del Signore «per diventare la sua unica famiglia: nell’unico Cristo noi siamo uno. E questa è la strada da fare insieme, tra di noi ma anche con le Chiese cristiane sorelle, con coloro che percorrono altri cammini religiosi, con chi coltiva l’inquietudine della ricerca di Dio, con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per costruire un mondo nuovo in cui regni la pace». Ecco ben tracciato in sintesi il programma pastorale di Papa Leone XIV, che vogliamo affidare alla protezione di Maria, Madre del Buon Consiglio.  


10 maggio 2025

Annuntio vobis gaudium magnum; habemus Papam: Eminentissimum ac Reverendissimum Dominum, Dominum Robertum Franciscum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalem Prevost qui sibi nomen imposuit LEONEM XIV

 BENEDIZIONE APOSTOLICA "URBI ET ORBI"

PRIMO SALUTO DEL SANTO PADRE LEONE XIV

Loggia centrale della Basilica di San Pietro
Giovedì, 8 maggio 2025




 «La pace sia con tutti voi!... Vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra... Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti». 






6 maggio 2025

ASPETTANDO IL NUOVO PAPA (PARTE IV)


IL PAPA NON È UN “SUPERUOMO”

LA FORZA DELLA CHIESA È L'AMORE



di Antonino Legname

Il Papa non è un "superuomo", ma deve essere "super nell'amore" verso Dio e verso gli uomini. La forza della Chiesa è l'amore che lo Spirito Santo ha riversato nei nostri cuori! Noi crediamo la Chiesa Santa! Ma ogni cristiano potrebbe dire: «la Chiesa è santa anche se ci siamo dentro tutti noi che siamo peccatori». Ricordo che in una delle prime interviste a Papa Francesco, il 19 agosto 2013, quando gli fu chiesto Chi è Jorge Mario Bergoglio? Il Papa rispose: «Non so quale possa essere la definizione più giusta […] Io sono un peccatore. Questa è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario […] Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato». È vero che tutti siamo peccatori, ma viviamo dentro una Chiesa Santa perché Cristo la santifica ogni giorno con i Sacramenti, soprattutto con il suo Sacrificio Eucaristico. Pertanto, la grandezza della Chiesa è nel riconoscere la sua umana piccolezza. La Chiesa è forza nella debolezza, un misto di fallimenti umani e di misericordia divina. La Chiesa è pura e santa in quanto Sposa di Cristo ed è peccatrice nei suoi figli; riconoscere i peccati dei suoi figli non significa sconfessare la santità e la purezza della madre, perché la santità della Madre Chiesa è più forte dei peccati dei suoi figli. Purtroppo, la nostra società è ancora dominata dal mito del “superuomo” e dalla “volontà di potenza” di nietzschiana memoria. Basta vedere i comportamenti, il linguaggio e gli atteggiamenti di certi uomini di governo nel panorama mondiale. Nel nostro mondo malato di potere ci sono coloro che si credono “onnipotenti” e non sarebbero dispiaciuti di poter prendere il posto di Dio. Al contrario, San Paolo diceva: “mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo […] Infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2 Cor 12, 9-10). Neppure Pietro era un “superuomo” e, nonostante il suo triplice rinnegamento, Gesù gli affidò le Chiavi del Regno. Perché? “E allora Pietro, uscito fuori, pianse amaramente” (Lc 22,62). Quello di Pietro è il pianto dell’uomo che riconosce la propria colpa e si pente. Gesù accolse il sincero pentimento di Pietro e cancellò quel grave peccato lavato nelle lacrime. Il nuovo Papa non sarà un “superuomo”, non sarà uno che non ha sbagliato mai o non sbaglierà mai; ma sarà un uomo, preso tra gli uomini, al quale il Signore ha chiesto un "di più" di amore: “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Il nuovo Papa dovrà essere anzitutto un uomo dal cuore grande, esperto nelle cose divine e nelle cose umane; un uomo capace di abbracciare tutti con tenerezza e misericordia. Quale grande responsabilità! I Pastori della Chiesa, specialmente coloro che sono chiamati a compiti e ad uffici assai gravosi, dovrebbero avere la stessa trepidazione e preoccupazione di Sant’Agostino, che pianse durante la sua ordinazione sacerdotale per le difficoltà e i pericoli che vedeva in tale ufficio! Agostino era assillato dalla consapevolezza del grande peso che gli era stato caricato e avvertiva il senso della sua inadeguatezza di fronte ad una missione così alta. Dovremmo evitare di vedere la Chiesa in senso “puritano”, come se fosse una Chiesa fatta di santi. Non bisogna offrire al mondo un’immagine distorta e falsata di Chiesa “pura” nei suoi membri, perché un eccesso di false aspettative condurrebbe inevitabilmente ad un eccesso di forti delusioni. L’allora cardinale Ratzinger scrisse che «nella Chiesa l’atmosfera diventa angusta e soffocante, se i portatori del ministero dimenticano che il sacramento non è una spartizione di potere, ma è invece espropriazione di me stesso in favore di Colui, nella persona del quale io devo parlare e agire». E papa Albino Luciani, Giovanni Paolo I, metteva in guardia dal pericolo dell’ambizione perché può degenerare in grave malattia quando «per andare avanti, calpestiamo gli altri a colpi di ingiustizie e di denigrazioni». Purtroppo, quando diminuisce la fede nell’aldilà, aumenta l’interesse per l'aldiquà, per gli affari di questo mondo. Come insegna Sant’Agostino “tutta la storia dell’uomo è una lotta tra due amori: l’amore di sé stesso spinto fino al disprezzo di Dio e l’amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé”. A proposito della superbia e dell'ambizione che, come virus, attaccano anche la vita degli ecclesiastici, papa Giovanni Paolo I ebbe a confidare: «la verità è che cento volte ho fatto i funerali alla mia superbia, illudendomi di averla messa due metri sottoterra, con tanto di requiescat, e cento volte l’ho vista tornare su, più vispa di prima: ho sentito che le critiche mi spiacevano ancora, che le lodi, viceversa, mi piacevano, che mi preoccupava il giudizio degli altri su di me». Anche papa Francesco considerava la superbia un peccato ripugnante: «credersi chissà chi. Quando mi è capitato di essere io a credermi chissà chi ho provato una grande vergogna interiore e ho chiesto perdono a Dio» e ricordava il consiglio di suo padre: «saluta la gente mentre sali perché la incontrerai di nuovo quando scendi. Non essere presuntuoso».

4 maggio 2025

ASPETTANDO IL NUOVO PAPA (PARTE III)

UNA CHIESA SEMPRE GIOVANE
PER VIVERE LA BELLEZZA E LA GIOIA DEL VANGELO

TUTTI CHIAMATI A PARTECIPARE SPIRITUALMENTE AL CONCLAVE



di Antonino Legname

Il 7 maggio 2025 inizia il Conclave per eleggere il 267° Papa della Chiesa cattolica. È un evento ecclesiale di grande spiritualità e di grande portata storica. Tutto il popolo di Dio è chiamato ad entrare spiritualmente nella Cappella Sistina, invocando lo Spirito Santo, affinché conceda alla Chiesa un Papa che sia Pastore secondo il cuore di Dio. Non dimentichiamo che lo Spirito Santo è Colui che armonizza la diversità, la pluralità, la molteplicità dei carismi e dei doni che ci sono nella Chiesa; Egli è il motore che spinge la Chiesa all'unità. La Chiesa deve essere "Casa dell'armonia"; così come in una sinfonia si accordano e si armonizzano diversi strumenti musicali che suonano insieme armoniosamente, grazie alla bravura del direttore d'orchestra, così anche nella Chiesa, è lo Spirito Santo che dirige e armonizza la varietà dei carismi. L'uniformità uccide la vita della Chiesa perché paralizza la varietà dei doni dello Spirito. L'uniformità va di pari passo con la rigidità: ma grazie a Dio - diceva papa Francesco - non siamo tutti uguali, "altrimenti sarebbe un inferno!". La discussione, la dialettica intra ecclesiale c'è sempre stata nella Chiesa e tutti devono sentirsi liberi di esprimere il loro pensiero. Ma nella Chiesa non si può ragionare in termini di maggioranza e di minoranza e non si possono applicare ad essa i criteri presi in prestito dalla politica o dalle democrazie moderne. Senza nostalgie e “indietrismi” - come li chiamava papa Francesco - la Chiesa va avanti e avanza, anche se lentamente, sulle strade della storia verso il futuro escatologico. Come ben sappiamo i tempi bimillenari della Chiesa sono lenti, festina lente (“affrettati lentamente”) – recita un antico adagio latino. Ma indietro non si torna! Si può essere fedeli alla Tradizione della Chiesa senza per questo essere tradizionalisti, cioè senza essere attaccati a certe forme esterne anacronistiche e obsolete. Nello stesso tempo, a chi guarda avanti è bene ricordare che occorre considerare con fiducia l'immenso e ricco bagaglio di esperienza di fede che ci viene tramandato dalla lunga storia della Chiesa. Benedetto XVI ebbe a dire: «La fede si evolve. Ogni generazione riscopre nuove dimensioni, suggerite dal contesto esistenziale in cui si trova a vivere e fino a quel momento rimaste ignote anche alla Chiesa». Fino a quando la Chiesa è in cammino sulle strade della storia ha sempre bisogno di adattare le sue strutture ai tempi e di “purificarsi” nei suoi membri. Ovviamente, come ha ricordato Papa Francesco, «la Chiesa non deve essere ideologizzata». In merito all’evoluzione e all’aggiornamento della Chiesa occorre evitare i due estremismi contrapposti: da una parte l’apertura indiscriminata e arbitraria a tutte le novità del mondo moderno, dall’altra la chiusura e l’immobilismo che mortificano e frenano la dimensione profetica della Chiesa. Occorre saper leggere i "segni dei tempi" per poter fare una saggia sintesi tra questi due atteggiamenti antitetici: bisogna imparare a “sentire con la Chiesa” per conciliare “novità e continuità con la tradizione”, tra “coraggio profetico e fedeltà alla istituzione ecclesiastica” e per non cadere nell’arbitrio pericoloso di volere una Chiesa a propria immagine e somiglianza. Ci vuole equilibrio tra coloro che vogliono frenare il cammino delle riforme nella Chiesa e coloro che vogliono accelerare le riforme fino al punto da voler adattare la Chiesa agli schemi sociali, culturali e politici del mondo moderno, tanto da rendere il cristianesimo annacquato e appannaggio sentimentale e filantropico dell’umanesimo contemporaneo. È un bene spingere la Chiesa a prendere il largo, lontana dai particolarismi e dalle beghe interne dei diversi schieramenti ideologizzati. Da che Chiesa è Chiesa non sono mancate le posizioni a favore o contro alcune scelte ecclesiali e pastorali dei Papi. Per esempio: Paolo VI per certe scelte fu combattuto da destra e da sinistra; considerato da alcuni un conservatore che ha impedito una piena riforma nella Chiesa; combattuto da altri come se fosse un rivoluzionario che ha alterato il volto secolare della Sposa di Cristo. In realtà Paolo VI è stato semplicemente lo strumento di Dio per realizzare il programma che Papa Giovanni XXIII aveva affidato al Concilio Vaticano II, che si riassume nella necessità di sapere leggere i "segni dei tempi" per annunciare la bellezza e la gioia del Vangelo in maniera aggiornata, in un mondo che cambia velocemente. Mi piace citare anche Giovanni Paolo I, il quale prima di diventare Papa, nel suo libro “Illustrissimi” faceva questa interessante riflessione: «È in atto nella Chiesa un rinnovamento interno e un dialogo con le forze esterne. Si incontrano però delle difficoltà […]. Da destra si grida all’empietà e al sacrilegio ogni volta che si abbandona un rito vecchio per uno nuovo. Ci sono cristiani e teologi ancora oggi convinti che il Concilio Ecumenico Vaticano II abbia rovinato la Chiesa e pensano di essere i nuovi difensori della verità, chiamati dal Signore per riportare la Chiesa sulla via della verità preconciliare. A sinistra, viceversa, si attua indiscriminatamente la novità per la novità, si smantella allegramente tutto l’edificio passato, si mandano in soffitta quadri e statue, si vede idolatria e superstizione dappertutto, si arriva a dire che, per salvare la dignità di Dio, occorre parlare di Dio in termini sceltissimi o tacere addirittura». Anche Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno avuto incomprensioni e anche forti opposizioni durante il loro pontificato. Ricordiamoci che a Pietro e ai suoi Successori, Gesù di Nazaret ha consegnato le chiavi del Regno, “traditio clavium”. Gli Apostoli (i Vescovi) insieme a Pietro (il Papa) e tutta la Chiesa (cioè tutto il popolo dei battezzati) custodiscono il “deposito della fede” - ciascuno con il proprio carisma - contenuto nella Sacra Scrittura, nella Sacra Tradizione e nel Magistero della Chiesa. Pertanto, tutti i battezzati abbiamo la grande responsabilità di non disperdere questo “patrimonio di verità” che ci è stato trasmesso e di renderlo accessibile e appetibile all’uomo d’oggi, anche con i mezzi moderni della tecnologia, con gli strumenti della comunicazione sociale che Paolo VI non esitò a chiamare il “pulpito moderno”. Affidiamo il Conclave alla protezione di Maria, Madre della Chiesa e Salus Populi Romani.

Icona della "Salus Populi Romani" nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma

2 maggio 2025

ASPETTANDO IL NUOVO PAPA (PARTE II)

"PONTEFICE" 

PER COSTRUIRE PONTI DI DIALOGO



di Antonino Legname

La Chiesa non è una bottega di principi dottrinali o una stazione di servizi in cui ciascuno sceglie quello che più gli piace, con la pretesa di imporre agli altri gli stessi gusti. La Chiesa, da una parte non può essere staccata dalla sua visibilità storica, dall'altra non può essere identificata con la sua manifestazione storica ed empirica. Sant'Agostino sosteneva che può succedere che coloro che empiricamente sono dentro la Chiesa potrebbero essere spiritualmente fuori di essa, e viceversa. La vera riforma nella Chiesa, pertanto, non consiste nel rimodellare o inventare una nuova Chiesa, secondo i nostri personali desideri o le sensibilità teologiche e sociologiche dei Pastori. È vero che “ecclesia semper reformanda” «la Chiesa sempre si deve riformare», ma senza tradire la sua vera natura e senza svendere la sua Dottrina al miglior offerente. In questo particolare momento storico ed ecclesiale, alcune domande sono d’obbligo: Cosa deve cambiare nella Chiesa d'oggi? Cosa deve fare la Chiesa per riacquistare fiducia e credibilità nel nostro mondo secolarizzato e per avvicinare i lontani, senza trascurare i vicini, per raggiungere i giovani e tutti coloro che sono alla ricerca di Dio? Cosa deve fare la Chiesa per adattare ai tempi moderni le sue strutture, i suoi uffici ecclesiastici e i suoi linguaggi? A domande più o meno come queste Benedetto XVI aveva risposto con un aneddoto: quando una volta fu chiesto a Madre Teresa di Calcutta quale fosse per lei la prima cosa da cambiare nella Chiesa, la sua risposta fu “Lei ed io!”. Lo stesso aneddoto lo raccontò Papa Francesco ai giovani in occasione della 28.ma GMG di Rio de Janeiro: “anche io oggi rubo la parola a Madre Teresa e ti dico: Iniziamo? Da dove? Da te e da me!”. Il cambiamento nella Chiesa deve coinvolgere alla radice ogni battezzato e ogni comunità di credenti. Non si tratta di un rinnovamento di facciata, come voler ristrutturare una casa o tinteggiare le pareti di uno stabile; il nuovo Papa - sulla scia dei suoi Predecessori - dovrà riprendere con determinazione e coraggio la rotta segnata dal Concilio Vaticano II, che spinge la Chiesa sulla strada della missione verso tutte le periferie geografiche ed esistenziali. Ma non dimentichiamo che la vera e profonda riforma della Chiesa deve essere anzitutto un “rinnovamento spirituale interiore”. E allora, quale Pontefice ci aspettiamo per la Chiesa del nostro tempo? Nel suo primo incontro con il Corpo Diplomatico, accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco ricordava che il titolo di «Pontefice», con cui viene chiamato il Vescovo di Roma, è da intendersi come “colui che costruisce ponti con Dio e tra gli uomini” ed esortava a costruire ponti tra tutti gli uomini attraverso il dialogo, in modo tale da vedere negli altri non dei nemici da combattere, non dei concorrenti da vincere, ma dei fratelli da accogliere e abbracciare. Il dialogo deve essere chiaro, ma mite e rispettoso, altrimenti diventa inefficace e pericoloso e porta ai conflitti e alle guerre. Questo dialogo aperto e sincero deve esserci non solo ad extra, cioè con coloro che sono lontani dalla Chiesa, ma anche ad intra, cioè dentro la stessa Chiesa, con le tante sensibilità teologiche, liturgiche, sociologiche, ecc., che convivono dentro la Chiesa. Papa Francesco sosteneva: «Oggi, o si scommette sul dialogo, o si scommette sulla cultura dell’incontro, o tutti perdiamo!». Ovviamente il dialogo, per esempio quello interreligioso, non deve portare al sincretismo o al relativismo, per cui non c’è "verità" e non ci sono certezze, perché questo modo di pensare porterebbe inevitabilmente ad una “fede debole”, in analogia con il “pensiero debole” e con il "pensiero unico" della post modernità che hanno scardinato molte certezze e tanti punti fermi di riferimento. La conseguenza disastrosa del relativismo culturale ed ecclesiale è la confusione e lo smarrimento dentro una foresta di mezze o false verità a livello mediatico, politico, culturale, religioso e in certi casi anche scientifico. "La verità - ha detto Papa Francesco - non si afferra come una cosa, ma si incontra. Non è un possesso, è l'incontro con una Persona", Gesù di Nazareth. E' Lui la Verità; è Lui la porta sempre aperta a tutti, senza distinzioni, senza esclusioni, senza privilegi.



30 aprile 2025

ASPETTANDO IL NUOVO PAPA (PARTE I)

QUALE CHIESA

TRA CONSERVATORI, MODERATI E PROGRESSISTI?



di Antonino Legname

C'è chi dice che la Chiesa sia troppo compromessa e conformata ai parametri del mondo moderno e chi al contrario ne lamenta l'arretratezza e l'insensibilità di fronte ai tanti bisogni della società di oggi. C'è chi la vuole più spirituale, più incentrata sulla dottrina cattolica e sui valori cosiddetti non negoziabili e c'è, invece, chi la vorrebbe più presente, più inclusiva e più incisiva nel tessuto sociale, specialmente a favore degli ultimi e delle fasce più deboli. Da una parte c'è chi sogna una Chiesa distaccata da ogni forma di legame mondano e spogliata del potere temporale, dall'altra parte c'è chi la vorrebbe più inserita nelle problematiche e nelle sfide della società d'oggi. Da sempre la Chiesa è stata tirata da destra e da sinistra, in avanti e indietro; nel corso dei secoli è stata forte la tentazione di suddividerla in progressisti, moderati e conservatori. Ovviamente il nuovo Papa non potrà non tener conto di tutte le sensibilità presenti nella Chiesa. Ma al giorno d'oggi, ha senso avere la nostalgia di un passato glorioso del Papato, ma di una gloria umana, forse troppo umana? Purtroppo, alcuni gesti di Papa Francesco sono stati visti dai più conservatori come una minaccia alla dignità del papato e la sua vicinanza al popolo è stata scambiata per "populismo". C'è chi invoca una "restaurazione" nella Chiesa cattolica. Ma già Benedetto XVI spiegava che, se per "restaurazione si intende un tornare indietro, allora nessuna restaurazione è possibile. La Chiesa va avanti verso il compimento della storia, guarda innanzi al Signore che viene. No: indietro non si torna né si può tornare". Ovviamente, occorre cercare un sano equilibrio per evitare aperture esagerate o sconsiderate verso quel mondo agnostico, laicista, relativista e ateo che chiede a tutti i costi lo "snaturamento" della Chiesa e il suo adeguamento indiscriminato al mondo moderno. Sono convinto che la realtà della Chiesa di oggi non può più sopportare la dicotomia tra "conservatori" e "progressisti"; abbiamo urgente bisogno di nuovi profeti, di un Papa che sia capace di andare oltre questi schieramenti di parte che sono troppo mondani e fanno tanto male alla Chiesa. Non dobbiamo pensare la Chiesa in termini di "partiti" o di "cordate". Purtroppo, la faziosità non è estranea nella vita di alcuni uomini di chiesa. E' innegabile che quest'ultimo periodo della nostra storia sia stato segnato da profondi mutamenti e turbamenti globali a livello sociale, culturale, etico, economico, sanitario e politico. La Chiesa, con Papa Francesco, si è trovata in mezzo a gravi sconvolgimenti epocali; e le guerre che attualmente insanguinano con inaudita crudeltà i popoli in diverse parti del mondo - la cosiddetta guerra mondiale a pezzi, come la chiamava Papa Francesco - responsabilizzano ancora di più i Pastori della Chiesa; e il nuovo Papa dovrà continuare a gridare con tutte le sue forze e con tutta la sua autorità morale: basta guerre! Tacciano le armi di questa inutile strage! Papa Francesco ci lascia un ricco patrimonio di gesti e di testi che dobbiamo valorizzare e studiare. Non bisogna disperdere quello che ci ha insegnato sulle esigenze radicali del Vangelo e l'opzione preferenziale per gli ultimi. Forse, molti si aspettavano da questo pontificato radicali cambiamenti e riforme strutturali nella Chiesa. Francesco ha avviato tanti processi, su diversi fronti, che richiedono di essere portati avanti dal nuovo Papa; ha scelto di annunciare il Vangelo all'uomo d'oggi, non solo con le parole ma soprattutto con la testimonianza di una vita cristiana coerente, con il linguaggio dei segni, dei gesti carichi di umanità, di tenerezza, di compassione, di accoglienza di tutti nello stato di vita in cui si trovano, dando a tutti la possibilità della conversioneChi si aspettava grandi riforme strutturali da parte di Francesco forse è rimasto deluso; ma la vera riforma, o meglio la rivoluzione di  Francesco, è stata soprattutto quella della tenerezza, la cui fonte è il cuore misericordioso di Dio nei confronti dell'uomo peccatore. Papa Bergoglio ha messo i presupposti per la realizzazione di quelle riforme necessarie alla Chiesa del nostro tempo e ci ha insegnato lo stile per realizzarle, non perdendo mai di vista l'uomo con tutte le sue fragilità e miserie. I cantieri su alcuni temi più urgenti del nostro tempo sono stati aperti; il nuovo Successore dell'Apostolo Pietro, con profondo spirito di discernimento, dovrà fare alcune scelte prioritarie per rendere comprensibile e credibile l'annuncio del Vangelo in un mondo che cambia in maniera accelerata; avrà il delicato compito di continuare a lavorare per tessere sempre di più l'unità della Chiesa, armonizzando le diversità e le tante sensibilità, senza cedere al rischio dell'uniformità e dell'appiattimento. Le riforme avviate da Papa Francesco, particolarmente quelle che si riferiscono alla sinodalita', richiedono di essere sempre più capite e incarnate nella vita della Chiesa e nel vissuto di ogni cristiano. Il Cardinale Pietro Parolin, nell'omelia della Messa del 27 aprile 2025 nel sagrato della Basilica di San Pietro, ricordando Papa Francesco, ha detto: "La Sua eredità dobbiamo accoglierla e farla diventare vita vissuta, aprendoci alla misericordia di Dio e diventando anche noi misericordiosi gli uni verso gli altri. La misericordia ci riporta al cuore della fede. Ci ricorda che non dobbiamo interpretare il nostro rapporto con Dio e il nostro essere Chiesa secondo categorie umane o mondane, perché la buona notizia del Vangelo è anzitutto la scoperta di essere amati da un Dio che ha viscere di compassione e di tenerezza per ciascuno di noi a prescindere dai nostri meriti; ci ricorda, inoltre, che la nostra vita è intessuta di misericordia: noi possiamo rialzarci dopo le nostre cadute e guardare al futuro solo se abbiamo qualcuno che ci ama senza limiti e ci perdona. E, perciò, siamo chiamati all’impegno di vivere le nostre relazioni non più secondo i criteri del calcolo o accecati dall’egoismo, ma aprendoci al dialogo con l’altro, accogliendo chi incontriamo lungo il cammino e perdonando le sue debolezze e i suoi errori. Solo la misericordia guarisce e crea un mondo nuovo, spegnendo i fuochi della diffidenza, dell’odio e della violenza: questo è il grande insegnamento di Papa Francesco".




26 aprile 2025

PAPA FRANCESCO LASCIA UN TESTAMENTO SPIRITUALE PER LA CHIESA DEL FUTURO

L'EREDITA' DI FRANCESCO

«LA CHIESA NON È UN CASTELLO SITUATO IN ALTO CHE GUARDA IL MONDO... LA CHIESA CHE CAMMINA SARA' SEMPRE PIU' UNIVERSALE» 

«Il vento dello Spirito non ha smesso di soffiare. Fate buon viaggio, fratelli e sorelle»

di Antonino Legname

«Una Chiesa chiusa, spaventata, è una Chiesa morta» - ha scritto Papa Francesco nella sua autobiografia intitolata "Spera" (ed. Mondadori, Milano 2025), che doveva essere pubblicata come un lascito dopo la sua morte e che, invece - come spiega il biografo Carlo Musso – il Papa ha deciso di farla conoscere subito nell’anno giubilare dedicato alla speranza. Ed è soprattutto nell’ultimo capitolo “Io sono solo un passo” che Francesco traccia un breve profilo della Chiesa del futuro, come il suo "Testamento Spirituale".  «La Chiesa deve crescere nella creatività, nella comprensione delle sfide della contemporaneità, aprirsi al dialogo, non chiudersi nel timore.  Bisogna avere fiducia nello Spirito, che è il motore e la guida della Chiesa e che sempre fa chiasso. Basta pensare al racconto della Pentecoste sugli apostoli, che fu un baccano pazzesco: “Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano” (Cfr. At 2,2). Lo Spirito è il Paràclito, colui che sostiene e accompagna nel cammino, è soffio di vita, non un gas anestetizzante». E a proposito del rischio della rigidità nella Chiesa, Francesco ribadisce quello che ha rimarcato in tante occasioni: «La rigidità non è cristiana, perché nega questo movimento dello Spirito. La rigidità è settaria. La rigidità è autoreferenziale. La rigidità è un’eresia quotidiana. Confonde la Chiesa con una fortezza, un castello situato in alto che guarda il mondo e la vita con distanza e sufficienza, invece di abitarvi dentro». Papa Francesco esorta: «Dobbiamo uscire dalla rigidità, che non vuol dire cadere nel relativismo, ma andare avanti, scommettere. E dobbiamo sfuggire alla tentazione di controllare la fede, perché il Signore Gesù non va controllato, non ha bisogno né di badanti né di guardiani. Lo Spirito è libertà. E la libertà è anche rischio. La Chiesa che cammina sarà sempre più universale, e il suo futuro e la sua forza verranno anche dall’America Latina, dall’Asia, dall’India, dall’Africa, lo si vede già dalla ricchezza delle vocazioni». Francesco chiede «il coraggio di una conversione ecclesiale, non di una pavidità nostalgica». E ci tiene a precisare che è proprio con questo spirito che nel dicembre 2024 ha creato altri 21 nuovi cardinali dai diversi continenti: «Perché siano il volto sempre più autentico dell’universalità della Chiesa. E con l’intendimento che il titolo di “servo” – questo è il senso del ministero – offuschi sempre più quello di “eminenza”». Francesco mette in evidenza che «nel mondo d’oggi abbiamo bisogno di far corrispondere alla crescita delle innovazioni scientifiche e tecnologiche una sempre maggiore equità e inclusione sociale. Mentre scopriamo nuovi pianeti lontani, dobbiamo riscoprire i bisogni del fratello e della sorella che ci orbitano attorno. Solo l’educazione alla fraternità e a una solidarietà concreta può superare la “cultura dello scarto”». Il mondo d’oggi ha estremo ed urgente bisogno di speranza e «per noi cristiani il futuro ha un nome e questo nome è speranza». Papa Francesco spiega: «Avere speranza non significa essere ottimisti ingenui che ignorano il dramma del male dell’umanità. La speranza è la virtù di un cuore che non si chiude nel buio, non si ferma al passato, non vivacchia nel presente, ma sa vedere lucidamente il domani». Non c’è dubbio che l’incontro con gli altri è «un’occasione concreta per incontrare Cristo stesso. L’evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile per contagio di gioia e di speranza. Dove c’è davvero il Vangelo, non la sua ostentazione, non la sua strumentalizzazione, ma la sua presenza concreta, c’è sempre rivoluzione. Una rivoluzione nella tenerezza».

Francesco delinea i tratti della tenerezza cristiana: «è l’amore che si fa vicino e concreto. È usare gli occhi per vedere l’altro, usare le orecchie per sentire l’altro, per ascoltare il grido dei piccoli, dei poveri, di chi teme il futuro; ascoltare anche il grido silenzioso della nostra casa comune, della terra contaminata e malata. E dopo il guardare, dopo l’ascoltare, non c’è il parlare. C’è il fare. Bisogna essere umili, lasciare spazio al Signore, non alle nostre finte sicurezze. Non è debolezza la tenerezza: è vera forza. È la strada che hanno percorso gli uomini e le donne più forti e coraggiosi. Percorriamola, lottiamo con tenerezza e con coraggio. Percorretela, lottate con tenerezza e con coraggio». E come a volersi congedare, Francesco conclude: «Io sono solo un passo … Il vento dello Spirito non ha smesso di soffiare. Fate buon viaggio, fratelli e sorelle».


25 aprile 2025

IL PAPA DELLA GENTE RAGGIUNGE LA CASA DEL PADRE

L'UMANESIMO EVANGELICO DI FRANCESCO

SULLA ROTTA TRACCIATA DAL CONCILIO


di Antonino Legname

Il 21 aprile 2025 alle ore 07:35 Papa Francesco ha lasciato questa abitazione terrena per raggiungere la Casa del Padre. Con questa breve nota desidero salutare con grande commozione e gratitudine Francesco per tutto il bene che ha saputo seminare nella Chiesa e nel mondo in questi 12 anni di Pontificato. La sua umanità, fatta di semplicità nei gesti e nelle parole, mi ha accompagnato nel mio ministero pastorale in tutto questo tempo. Il suo Magistero, impregnato di umanesimo, radicato nel Vangelo ed ispirato al Concilio Vaticano II, è stato "integrale", perché ha cercato di tessere legami sempre più stretti e profondi tra gli esseri umani, perché "fratelli tutti". Un tema importante del suo pontificato è stato quello dell'ecologia integrale; diceva che, quando maltrattiamo la natura, maltrattiamo anche gli esseri umani e la prospettiva deve essere quella di aver cura del creato e di promuovere una vera ecologia del cuore capace di armonizzare la dimensione umana con quella spirituale nel rispetto delle differenze riconciliate. Francesco ha cercato di promuovere ancora di più un umanesimo "popolare", perché l'annuncio del Vangelo è dovere di tutto il popolo di Dio; in tale prospettiva si colloca la sua "teologia del popolo". La dimensione sinodale della Chiesa è un cantiere ancora aperto nel quale bisogna continuare a lavorare molto e con convinzione, anche per debellare la piaga del clericalismo. In tantissime occasioni, Francesco ha esortato i Pastori della Chiesa ad essere più vicini alla gente, ad avere l'odore delle pecore e a non lasciarsi anestetizzare dallo spirito mondano. Con l'umanesimo "solidale" il Santo Padre ci ha voluto insegnare a non vedere nell'altro un nemico, un concorrente o un numero, ma un fratello da amare; questo deve spingerci a dialogare sempre con tutti nel rispetto e a chinarci con tenerezza, comprensione e compassione davanti al fratello bisogno e fragile. Da qui la necessità di una "Chiesa in uscita" capace di raggiungere le periferie geografiche ed esistenziali. Il suo umanesimo è stato anche "inclusivo" e ci ha ricordato che nella Chiesa c'è posto per tutti: "non abbiamo il diritto di escludere gli altri, né tantomeno di giudicarli e di chiudere loro le porte. Anche alla radice delle piccoli o grandi guerre - dice Francesco - c'è sempre la volontà dell'esclusione". Pertanto, occorre imparare a spalancare le braccia, come Gesù sulla croce, per accogliere tutti, perché Dio si può incontrare ovunque e per la sua misericordia nessuno è legato irrimediabilmente al proprio passato di peccato. E mi piace sottolineare che l'umanesimo di Papa Francesco è anche "gioioso": il tema della gioia ricorre spesso nei suoi discorsi e Lui per primo aveva il senso dell'umorismo e ringraziava il Signore per non avergli tolto il buon umore, perché - come diceva - "una sequela triste è una triste sequela". Bisogna servire Dio con la gioia del cuore. Papa Francesco ci lascia un ricco patrimonio di insegnamenti carichi di umanità evangelica; i suoi numerosi gesti di vicinanza e di accoglienza continueranno ad illuminare il mio cammino umano e il mio ministero sacerdotale. 

Sono certo che il nuovo Successore dell'Apostolo Pietro saprà considerare e valorizzare il Magistero di Papa Francesco nella continuità innovativa e sulla rotta del Concilio Vaticano II, nella consapevolezza che il soffio vivificante dello Spirito Santo spinge la Chiesa sempre in avanti, anche in mezzo alle tempeste e alle contraddizioni della storia. Riposa in pace, Francesco,  prega per noi, per la Chiesa e per il mondo intero! Maria Santissima, con la sua tenerezza di Madre, ti accompagni tra le braccia misericordiose di Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo.



10 giugno 2022

Udienza di Papa Francesco ai Vescovi e ai sacerdoti delle Chiese di Sicilia

 

TRA FRATTURE E GIUNTURE

Francesco: "La Sicilia non è un'isola felice: grandi virtù e crudeli efferatezze"


Udienza di Papa Francesco ai Vescovi e ai sacerdoti delle Chiese di Sicilia, 9 giugno 2022

di Antonino Legname

"Il cambiamento d’epoca nel quale ci troviamo a vivere richiede scelte coraggiose", ha detto Papa Francesco nel suo Discorso ai Vescovi e ai Sacerdoti delle Chiese di Sicilia, ricevuti in Udienza in Vaticano, il 9 giugno 2022. Dopo il saluto di Mons. Antonino Raspanti, Presidente della Conferenza Episcopale Siciliana, il Papa, ringraziando il Presule per le sue parole, ha voluto condividere alcune riflessioni sulle luci e sulle ombre della meravigliosa terra siciliana. Il Pontefice ha individuato alcune delle tante contraddizioni che vive la Sicilia: "accanto a capolavori di straordinaria bellezza artistica si vedono scene di trascuratezza mortificanti. E ugualmente, a fronte di uomini e donne di grande cultura, molti bambini e ragazzi evadono la scuola rimanendo tagliati fuori da una vita umana dignitosa". E' preoccupante il calo delle nascite, un vero e proprio "inverno demografico", a cui si aggiunge lo spopolamento dell'Isola a causa della forte emigrazione di tanti giovani, i quali "aspirano ad andare via per trovare standard di vita più ricchi e comodi, mentre chi rimane si porta dentro sentimenti di frustrazione". Purtroppo, "anche la Chiesa risente della situazione generale con le sue pesantezze e le sue svolte, registrando un calo di vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata". Francesco è ben consapevole delle difficoltà che vivono i giovani d'oggi nel loro rapporto con la Chiesa; nelle parrocchie e nei movimenti ecclesiali non sempre riescono a trovare l'aiuto necessario nella ricerca del senso della vita. La questione giovanile è una grande e difficile sfida per la chiesa, la quale, tra l'altro, deve competere, specialmente a livello di comunicazione, con i grandi spazi digitali dei mass media. Purtroppo, non è raro il caso di quei giovani che si smarriscono e perdono di vista "la strada della giustizia e dell'onestà". Il Vescovo di Roma ha detto di essere rimasto addolorato quando ha avuto tra le mani documenti che mettevano in cattiva luce sacerdoti e persone di chiesa: "come mai si è arrivati a questa strada di ingiustizia e disonestà?" - si domanda il Papa. D'altra parte non deve essere ignorato il "lavoro, tenace e amorevole, di tanti sacerdoti in mezzo alla gente sfiduciata o senza lavoro, in mezzo ai fanciulli o agli anziani sempre più soli". Non bisogna dimenticare - ha ricordato Francesco - che nelle celebrazioni liturgiche, il sacerdote agisce “in persona Christi”. Questa unità piena  e questa identificazione con Cristo "non possiamo limitarla alla celebrazione, bensì occorre viverla pienamente in ogni istante della vita". E ancora una volta il Papa ritorna su quella terribile malattia, definita "lebbra", che è il "carrierismo" ecclesiale: "la nostra, cari sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che può servire pure per fare carriera, ma una missione", ed esorta: "per favore, state attenti al carrierismo: è una strada sbagliata che alla fine delude ... E ti lascia solo, perduto". Per superare la frammentazione e la divisione a livello ecclesiale, il Pontefice ha voluto riproporre il grande valore dell’unità, che deve essere rafforzato con il "metodo della sinodalità". Tutta la Chiesa è chiamata a fare "esercizi di sinodalità". In che modo? Anzitutto imparando a "camminare insieme", sempre pronti e disponibili ad accogliere le "sorprese di Dio" nella nostra vita e in quella delle nostre comunità cristiane. Tale cammino richiede l'esercizio umile e sincero dell'ascolto e della crescita della fraternità a tutti i livelli. A volte il cammino comunitario di fraternità viene ostacolato dai sentimenti negativi dell'invidia e della gelosia. Anche in questa occasione, il Papa denuncia la brutta e distruttiva abitudine del "chiacchiericcio", che è come la "peste che distrugge la Chiesa, distrugge le comunità, distrugge l’appartenenza, distrugge la personalità". E dopo aver rivolto un pensiero alla Madre celeste, Maria "donna della tenerezza e della consolazione, della pazienza e della compassione", Papa Francesco ha voluto concludere il suo Discorso manifestando una seria preoccupazione: "Mi domando: la riforma che il Concilio ha avviato, come va, fra voi?". Il Vescovo di Roma ha esortato i preti a non fare prediche lunghe e a volte noiose, "in cui si parla di tutto e di niente", e la gente si stanca, si annoia ed esce dalla chiesa senza portare un pensiero, un'immagine o un sentimento che faccia da sfondo durante tutta la settimana. Anche sul modo di celebrare la liturgia, il Papa ha ammonito quei sacerdoti che ancora oggi, dopo sessant'anni dal Concilio, amano celebrare con paramenti merlettati e con le "bonete", cioè, le berrette: "Sì, a volte portare qualche merletto della nonna va, ma a volte. È per fare un omaggio alla nonna ...  ma è meglio celebrare la madre, la santa madre Chiesa, e come la madre Chiesa vuole essere celebrata". Questi richiami del Papa alla sobrietà e alla essenzialità anche nella liturgia potrebbero sembrare - come Lui stesso dice - discorsi da "prima Comunione", ma il Vescovo di Roma sa bene che dietro certi atteggiamenti e modi di vestire si potrebbe nascondere una visione nostalgica di chiesa pre-conciliare.
 
 

 

26 settembre 2020

DAL NAZIONALISMO ALLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

LE GRANDI SFIDE IN TEMPO DI COVID-19 

Francesco: "La crisi attuale ci ha dimostrato che la solidarietà non può essere una parola o una vuota promessa" 

 


di Antonino Legname

 "Attualmente il nostro mondo è colpito dalla pandemia del Covid-19 che ha portato alla perdita di molte vite. Questa crisi sta cambiando la nostra forma di vita, mettendo in questione i nostri sistemi economici, sanitari e sociali, evidenziando la nostra fragilità di creature", ha detto Papa Francesco nel Videomessaggio indirizzato ai partecipanti alla 75.ma Sessione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a New York il 25 settembre 2020. Oggi le sorti dell'umanità si giocano tra la corresponsabilità mondiale e l'individualismo nazionalistico che tende ad emarginare i più poveri, i più vulnerabili e gli abitanti delle periferie esistenziali. Francesco mette in evidenza la destabilizzazione nel mondo del lavoro, e consiglia: "per garantire un lavoro degno occorre cambiare il paradigma economico dominante che cerca solo di ampliare il guadagno delle imprese". Il Pontefice mette in guardia dai pericoli del progresso tecnologico selvaggio e robotizzato, quando non è orientato a creare posti di lavoro e quando non serve a rendere il lavoro più degno, più sicuro, meno pesante e opprimente. Questo richiede con urgenza una struttura etica più forte capace di far superare la "cultura dello scarto" che umilia la dignità umana e nega i diritti umani fondamentali. In altre parole, questa negazione "è un attentato contro l'umanità - ha detto il Papa - E questo è il tempo favorevole per rinnovare l'architettura finanziaria internazionale". Le parole di Francesco si fanno più forti quando denuncia un certo immobilismo della Comunità internazionale: "dobbiamo evitare la tentazione di cadere nel nominalismo dichiarazionista con l'effetto di tranquillizzare le coscienze". Insomma, meno parole e più fatti nella lotta contro i flagelli della povertà. Francesco richiama l'attenzione dei Governi sulla necessità di favorire ancora di più l'ecologia integrale per mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico e dell'inquinamento. Il Pontefice chiede alle autorità civili di prestare particolare attenzione ai bambini e ai loro diritti; e cita la giovane coraggiosa Malala Yousafzai, la quale all'Assemblea Generalre delle Nazioni Unite disse: "un bambino, un maestro, un libro, una penna possono cambiare il mondo". Non bisogna dimenticare che i primi educatori dei bambini sono i gentori. La prima educazione del bambino avviene nella famiglia, la quale, purtroppo, continua ad essere attaccata dal cosiddetto "colonialismo ideologico" che la indebolisce sempre di più, specialmente nei più indifesi e vulnerabili: i bambini e gli anziani. E parlando della donna, il Papa ricorda che ancora oggi ci sono molte donne vittime della schiavitù e di molte forme di violenza. Nel discorso di Francesco non poteva mancare il richiamo al disarmo nucleare: "il nostro mondo ha bisogno che l'ONU sia impegnato sempre di più sul fronte della pace anche diminuendo le sanzioni internazionali, abolendo i paradisi fiscali e condonando il debito ai Paesi più poveri. E riflettendo sulla difficile situazione che il mondo sta vivendo a causa della pandemia, il Pontefice ha rimarcato che "da una crisi non si esce uguali: o usciamo migliori o usciamo peggiori". In questo contesto sociale critico, è nostro dovere "ripensare il futuro della nostra casa comune e del progetto comune". Per questo occorre onestà e coerenza nel dialogo per poter migliorare e favorire il "multilateralismo" e la "cooperazione" tra gli Stati. La crisi di oggi sta facendo emergere con più chiarezza i limiti della nostra autosufficienza e la nostra comune fragilità. "La pandemia ci ha mostrato che non possiamo vivere senza l'altro, o peggio l'uno contro l'altro" - ha concluso Francesco - ricordando che le Nazioni Unite furono create per unire e avvicinare i popoli, per essere ponte di solidarietà tra tutti i Paesi della nostro globo. Questo strumento internazionale, che è l'ONU, deve servire a "trasformare la sfida che affrontiamo in una opportunità per costruire insieme il futuro che vogliamo". L'esperienza dolorosa  e drammatica della pandemia deve spingerci  a ripensare non solo il nostro modo di vivere, ma anche i nostri sistemi economici e sociali. Non possiamo negare, infatti, che in questo nostro mondo globalizzato "si stanno ampliando le distanze tra i poveri e i ricchi, la cui radice è l'ingiusta distribuzione delle risorse della terra".

18 settembre 2020

PER UNA PRESENZA CRISTIANA NEI MASS MEDIA

I SEMINATORI DI SPERANZA

Francesco: “Il professionista cristiano dell'informazione deve essere un portavoce di speranza e di fiducia nel futuro”

Papa Francesco incontra i collaboratori del Settimanale "Tertio", 18 settembre 2020 (foto da vatican.va)

di Antonino Legname

Occorre “far sentire la voce della Chiesa e quella degli intellettuali cristiani in uno scenario mediatico sempre più secolarizzato, al fine di arricchirlo con riflessioni costruttive”, ha detto Papa Francesco durante l'udienza ai collaboratori del Settimanale cristiano belga 'Tertio', ricevuti in Vaticano il 18 settembre 2020, in occasione della celebrazione del ventennale della rivista. I mezzi di comunicazione sociale sono una sfida nella Chiesa e per la Chiesa di oggi. Il Papa ha ricordato che “nella società in cui viviamo, l’informazione fa parte integrante del nostro quotidiano”, ma purtroppo, non è sempre di qualità. Al contrario quando l'informazione è di qualità “ci permette di comprendere meglio i problemi e le sfide che il mondo è chiamato ad affrontare, e ispira i comportamenti individuali, familiari e sociali”. C'è urgente bisogno di formare dei professionisti per assicurare “la presenza di media cristiani specializzati nell’informazione di qualità sulla vita della Chiesa nel mondo, capace di contribuire a una formazione delle coscienze”. Ogni giorno siamo martellati da tante notizie brutte che danno all'opinione pubblica una percezione negativa della realtà in cui viviamo. Coloro che, a tutti i livelli, utilizzano i mezzi di comunicazione sociale devono cercare anzitutto di offrire “una visione positiva delle persone e dei fatti, respingendo i pregiudizi”. Bisogna impegnarsi per “favorire una cultura dell’incontro attraverso la quale è possibile conoscere la realtà con uno sguardo fiducioso”. Abbiamo urgente bisogno di seminatori di fiducia e di speranza! Il giornalista cristiano – ha detto Francesco – deve essere un “portavoce di speranza e di fiducia nel futuro”. Se usati bene e per il bene, gli strumenti della comunicazione sociale contribuiscono a far crescere “nelle comunità cristiane un nuovo stile di vita, libero da ogni forma di preconcetto e di esclusione”. Ancora una volta il Papa stigmatizza le “chiacchiere”, come opera diabolica in quanto “chiudono il cuore alla comunità, chiudono l’unità della Chiesa”. E con forza ribadisce che “il grande chiacchierone è il diavolo, che va sempre dicendo cose brutte degli altri, perché lui è il bugiardo che cerca di disunire la Chiesa, di allontanare i fratelli e non fare comunità”. Non bisogna avere paura di entrare nel mondo dei mass media per annunciare il bene nella verità. “La comunicazione è una missione importante per la Chiesa – ha rimarcato Francesco - I cristiani impegnati in questo ambito sono chiamati a mettere in atto in modo molto concreto l’invito del Signore ad andare nel mondo e proclamare il Vangelo”. Il professionista cristiano dell'informazione ha il dovere di testimoniare la verità e di non manipolarla. Nella giungla delle tante voci e dei tantissimi messaggi che circolano nel mondo digitale c'è urgente bisogno di una “narrazione umana” dei fatti che faccia emergere il bello e il vero che abita in noi e “che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo collegati gli uni agli altri”. Papa Francesco chiede agli operatori nel campo della comunicazione sociale di essere “seminatori di speranza in un domani migliore”. E oggi, più che mai, in questa situazione di pandemia, abbiamo bisogno di questa presenza fiduciosa di bravi professionisti della comunicazione che sappiano aiutare le persone, specialmente le più fragili, a non ammalarsi di solitudine e di sconforto. La Chiesa guarda con fiducia il lavoro di coloro che operano nel campo della cultura e della comunicazione e li incoraggia a cercare strade, strategie e linguaggi per comunicare il Vangelo agli uomini del nostro tempo.



14 settembre 2020

OCCORRE CACCIARE LA MOSCA FASTIDIOSA DEL RANCORE

DIO PERDONA! E IO ...?

Francesco: “Pensa alla fine! Pensa che tu sarai in una bara… e ti porterai l’odio lì? Pensa alla fine, smetti di odiare! Smetti il rancore”.

Angelus del 13 settembre 2020 (foto da vatican.va)

di Antonino Legname

"Quanta sofferenza, quante lacerazioni, quante guerre potrebbero essere evitate, se il perdono e la misericordia fossero lo stile della nostra vita! Anche in famiglia: quante famiglie disunite che non sanno perdonarsi, quanti fratelli e sorelle che hanno questo rancore dentro", ha detto Papa Francesco all'Angelus di domenica 13 settembre 2020 in Piazza San Pietro. Non è facile perdonare chi ci ha fatto del male! Se abbiamo ricevuto un torto, un'offesa, un tradimento da qualcuno l'atteggiamento più istintivo è il rancore, la rabbia, l'antipatia, l'odio e a volte il desiderio di vendetta. Per un cristiano la miglior vendetta è il perdono. Ma umanamente il perdono delle offese ricevute ci appare come una specie di violenza al naturale istinto di risentimento e di reazione negativa. La capacità di perdonare è come una cartina di tornasole per verificare la nostra adesione ai sentimenti di Gesù, il quale non si è limitato a fare una bella lezione sul perdono, non ha fatto teoria sulla necessità di perdonare, ma Lui stesso, per primo, nel momento più estremo della sofferenza, sulla croce, ha avuto parole di perdono per i suoi crocifissori: "Padre, perdona loro" - e quasi scusandoli - "perché non sanno quello che fanno". Il Signore supera la vecchia legge del taglione, "occhio per occhio e dente per dente", e ci rivela che Dio non si stanca mai di perdonare i peccatori! E se Dio perdona sempre e tutto, anche noi dobbiamo perdonare chi ci ha offeso o ci ha fatto del male. Per quale motivo? Se cerchiamo delle risposte umane non riusciremo a trovare ragioni sufficienti che giustifichino il perdono verso coloro che ci fanno del male. La ragione si trova nel Vangelo: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre Vostro celeste". Da parte nostra, dice il Papa, «è necessario applicare l’amore misericordioso in tutte le relazioni umane: tra i coniugi, tra i genitori e i figli, all’interno delle nostre comunità, nella Chiesa e anche nella società e nella politica». Il perdono è l’antidoto più efficace contro l’odio, la violenza, la sete di vendetta. E a chi viene difficile perdonare, il Papa consiglia: «Pensa alla fine! Pensa che tu sarai in una bara… e ti porterai l’odio lì? Pensa alla fine, smetti di odiare! Smetti il rancore». Se vogliamo essere coerenti quando preghiamo il Padre Nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti” anche noi dobbiamo essere disposti a rimetterli ai nostri debitori. Dice Francesco: «Queste parole contengono una verità decisiva. Non possiamo pretendere per noi il perdono di Dio, se non concediamo a nostra volta il perdono al nostro prossimo». In ogni caso, perdonare non serve solo a ristabilire e a mantenere la pace e l'armonia sociale e familiare, ma fa bene alla salute fisica e mentale. Infatti, l’odio, il rancore, il risentimento, la rabbia, il desiderio di vendetta sono delle tossine velenose che come acido corrodono il cuore e la mente di chi li prova e li alimenta. E allora cosa aspettiamo? «Smettila di odiare; caccia via il rancore, quella mosca fastidiosa che torna e torna – ha rimarcato il Papa - Se non ci sforziamo di perdonare e di amare, nemmeno noi verremo perdonati e amati».

 


9 settembre 2020

SOLIDARIETA' UMANA E CRISTIANA IN TEMPO DI CORONAVIRUS

L'ARTE DI AMARE TUTTI, ANCHE I NEMICI

Francesco: “Un virus che non conosce barriere, frontiere o distinzioni culturali e politiche deve essere affrontato con un amore senza barriere, frontiere o distinzioni”.

Udienza Generale del Mercoledì 9 settembre 2020 (foto da vatican.va)


di Antonino Legname

"La crisi che stiamo vivendo a causa della pandemia colpisce tutti; possiamo uscirne migliori se cerchiamo tutti insieme il bene comune; al contrario, usciremo peggiori", ha detto Papa Francesco durante la Catechesi del Mercoledì 9 settembre 2020 nel cortile di San Damaso del Palazzo Apostolico in Vaticano. Francesco mette in guardia dai rischi che la pandemia da Covid-19 può generare nella nostra società: da una parte coloro che “approfittano della situazione per fomentare divisioni: per cercare vantaggi economici o politici, generando o aumentando conflitti”, dall'altra parte ci sono gli indifferenti alla sofferenza altrui, che il Papa non esista a denominare i “devoti di Ponzio Pilato”, in quanto “se ne lavano le mani”. Non c'è dubbio che l'amore umano diventa autentico e fecondo solo se procede dall'amore incondizionato e preveniente di Dio. Il Vangelo ci insegna a non amare solo quelli che ci amano; l'amore cristiano non può limitarsi ad amare solo i familiari, gli amici o quelli che appartengono allo stesso gruppo, ma deve abbracciare anche coloro che non mi amano, non mi conoscono, che sono stranieri o che mi fanno soffrire o che considero nemici. Questo amore allargato a tutti gli uomini, nostri fratelli, “è il punto più alto della santità” - ha detto il Papa. Nessuno può mettere in dubbio il fatto che umanamente “amare i nemici non è facile … è difficile … è un'arte!”. Veramente il per-dono è un super dono, qualcosa di divino, perché umanamente siamo portati ad avere rancore, rabbia e sentimenti di vendetta nei confronti di chi ci fa del male; ma l'amore vero – ricorda Francesco - “cura, guarisce e fa bene. Tante volte fa più bene una carezza che tanti argomenti, una carezza di perdono e non tanti argomenti per difendersi”. L'amore non può essere intimistico e limitativo, ma aperto ed espansivo. E come dice il Vescovo di Roma: “una delle più alte espressioni di amore è proprio quella sociale e politica, decisiva per lo sviluppo umano e per affrontare ogni tipo di crisi”. Solo così è possibile costruire la civiltà dell'amore che supera la “cultura dell’egoismo, dell’indifferenza, dello scarto”. Francesco elogia quei genitori che sacrificano tutta la loro vita per i figli, specialmente quando i figli sono disabili; quello dei genitori per i figli è un amore a fondo perduto, un amore che dà senza fare i conti di quello che riceve. Francesco esorta a saper dialogare con tutti, amici e nemici, e a tutti i livelli, familiare, amicale, politico, sociale. Solo così si possono costruire ponti per unire tutta la famiglia umana. Bisogna dire basta alle guerre, alle divisioni, alle invidie che fomentano l'odio sociale, familiare e politico. Questa pandemia ci sta mostrando che “il virus non conosce barriere, frontiere o distinzioni culturali e politiche”e, pertanto, deve insegnarci ad essere sempre più solidali tra noi, “senza barriere, frontiere o distinzioni”, perché il bene personale ha delle ricadute sul bene comune e viceversa. Siamo tutti strettamente interconnessi e l'esperienza di questo periodo, segnato dal coronavirus, ci mostra che “la salute, oltre che individuale, è anche un bene pubblico. Una società sana è quella che si prende cura della salute di tutti” - ha rimarcato Francesco - specialmente dei più deboli e dei più vulnerabili. Dobbiamo convincerci che non basta uscire dalla pandemia da coronavirus per salvare il mondo, ma è necessario, anzi indispensabile per la salute della società, uscire dalla “crisi umana e sociale che il virus ha evidenziato e accentuato”. Tutti siamo chiamati a promuovere il bene comune, che per i cristiani diventa una vera e propria missione per “ricevere e diffondere la gloria di Dio”. Ovviamente occorre pensare la carità in grande, altrimenti diventa filantropia e assistenzialismo. La carità deve essere “politica”, nel senso che deve ricercare e realizzare il bene comune. Sappiamo che “la politica spesso non gode di buona fama, e sappiamo il perché” - annota Francesco. Ma non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, come se tutti i politici fossero cattivi; anche se la politica nell'estimazione comune non gode di buona fama “non bisogna rassegnarsi a questa visione negativa, bensì reagire dimostrando con i fatti che è possibile, anzi, doverosa una buona politica”. Qual è la buona politica? Francesco risponde: “E' quella che mette al centro la persona umana e il bene comune. Se voi leggete la storia dell’umanità troverete tanti politici santi che sono andati per questa strada. È possibile nella misura in cui ogni cittadino e, in modo particolare, chi assume impegni e incarichi sociali e politici, radica il proprio agire nei principi etici e lo anima con l’amore sociale e politico”. A questo impegno sociale, che sa creare armonia tra gli uomini e anche con l'ambiente, siamo chiamati tutti. Questa è la grande sfida di oggi “guarire il mondo lavorando tutti insieme per il bene comune, non solo per il proprio bene, ma per il bene comune, di tutti”.

16 maggio 2020

UNA PERICOLOSA "ERMENEUTICA DI VITA"


L’ANTIDOTO CONTRO LO SPIRITO DELLA MONDANITA’
Francesco: «La mondanità è una cultura dell’effimero, dell’apparire, del maquillage, dell’usa e getta»

Papa Francesco, Meditazione della Messa a Santa Marta, 16 maggio 2020 (foto da Vatican.va)

di Antonino Legname

La mondanità è una vera e propria patologia che può gravemente colpire anche la vita della Chiesa. Di questo è convinto Papa Francesco quando indica l’antidoto più efficace contro questa pericolosa malattia: «la fede in Gesù morto e risorto … Questa è la nostra vittoria». Nella Meditazione della Messa a Santa Marta, il 16 maggio 2020, Francesco ha spiegato con chiarezza cos’è lo «spirito del mondo». Senza mezzi termini il Pontefice ha detto che la mondanità è «capace di odiare, di distruggere Gesù e i suoi discepoli, anzi di corromperli e di corrompere la Chiesa». In occasione della Messa a Santa Marta, il 20 novembre 2015, Papa Francesco aveva detto con amaro realismo che «la Chiesa sempre - sempre! - subirà la tentazione della mondanità e la tentazione di un potere che non è il potere che Gesù Cristo vuole per lei e quando la Chiesa entra in questo processo di degrado, la fine è molto brutta. Molto brutta!”». E allora ci farà bene pensare e riflettere su come si presenta a noi lo «spirito del mondo» in modo da poterci efficacemente e prontamente difendere. Dice il Papa: «la mondanità è una proposta di vita», una vera e propria «cultura». Quale tipo di cultura? Risponde Francesco: «è una cultura dell’effimero, una cultura dell’apparire, del maquillage, una cultura “dell’oggi sì domani no, domani sì e oggi no”. Ha dei valori superficiali». In sintesi, è «una cultura che non conosce fedeltà, perché cambia secondo le circostanze, negozia tutto», è «camaleontica» ed è anche conformista e massificata con l’obiettivo di portare l’umanità al «pensiero unico»»»». In questo mondo globalizzato e massificato c’è un determinato modo di pensare omologato che viene imposto, sotto forma di proposta allettante, attraverso i meccanismi di persuasione occulta. Il 29 novembre 2013, nella Meditazione della Messa a Santa Marta il Papa aveva detto «si fa la pubblicità di questo pensiero e si deve pensare in tal modo. È il pensiero uniforme, il pensiero uguale, il pensiero debole; un pensiero purtroppo così diffuso» […]. Ci propone un pensiero pret-à-porter, secondo i nostri gusti: io penso come mi piace». Ma come si arriva al pensiero unico? «La mondanità - risponde il Papa - ti porta al pensiero unico e all’apostasia. Non sono permesse, non ci sono permesse le differenze […].Tutti fanno così, perché noi no?” (ibid. 16 novembre 2015). Papa Francesco ribadisce: «Questa è la cultura mondana. E Gesù insiste a difenderci da questo e prega perché il Padre ci difenda da questa cultura della mondanità». Potremmo dire: “chi è senza peccato di mondanità scagli la prima pietra”. Tutti, chi più, chi meno, siamo tentati dallo spirito della mondanità e dobbiamo continuamente lottare per uscire vittoriosi e guariti da questa malattia spirituale. Dice il Papa: «è un modo di vivere anche di tanti che si dicono cristiani. Sono cristiani ma sono mondani». E chi si lascia travolgere da questa cultura mondana effimera dell’«usa e getta» è capace di utilizzare gli altri per convenienza, di odiare e anche di uccidere. Così hanno fatto con i martiri che sono stati «uccisi in odio alla fede» e – dice il Papa - «per alcuni l’odio era per un problema teologico». Ma come si può arrivare ad “uccidere” la dignità, la buona fama, la buona fede e a volte anche la vita di una persona per un problema teologico? Quando nella Chiesa si arriva a certi livelli di persecuzione, oggi anche mediatica, significa che si è gravemente malati di «mondanità spirituale», che – come scriveva il padre de Lubac nel suo libro “Le meditazioni sulla Chiesa” - «è il peggiore dei mali che può accadere alla Chiesa». E non è una esagerazione! Anche perché la mondanità spirituale conduce passo dopo passo alla corruzione che è una vera e propria «lebbra» nel corpo della Chiesa. Nella Meditazione del 7 novembre 2014 a Casa Santa Marta, Papa Francesco aveva detto che, purtroppo, a tutti i livelli ci sono «cristiani mondani, cristiani di nome, con due o tre cose di cristiano, ma niente di più. Sono cristiani pagani. Hanno il nome cristiano, ma la vita pagana; pagani con due pennellate di vernice di cristianesimo: così appaiono come cristiani, ma sono pagani». Parole forti che Papa Francesco rivolge a tutti i cristiani per aiutarli a fare un sincero esame di coscienza: «Avrò qualcosa della mondanità dentro di me? Qualcosa del paganesimo? Mi piace vantarmi? Mi piacciono i soldi? Mi piace l’orgoglio, la superbia? Dove ho le mie radici, cioè di dove sono cittadino? Nel cielo o sulla terra? Nel mondo o nello spirito mondano?» (ibid.). In effetti, chi vive nello spirito del mondo non sopporta e non tollera «lo scandalo della Croce». E, come ci assicura il Papa: «l’unica medicina contro lo spirito della mondanità è Cristo morto e risorto per noi, scandalo e stoltezza (cfr 1Cor 1,23)». Ed è questa fede, convinta e testimoniata, che sa dialogare con tutti senza fanatismo e proselitismo, che ci porta alla vittoria sullo spirito del mondo.

9 maggio 2020

IL RISCHIO DEI POTERI TEMPORALI


LA CHIESA TRA CONSOLAZIONI E PERSECUZIONI

Francesco: «Il sentimento amaro dell’invidia è lo strumento del diavolo per distruggere l’annuncio evangelico»
 
Papa Francesco, Meditazione della Messa a Santa Marta, 9 maggio 2020 (foto da vatican.va)

di Antonino Legname

Da sempre, fin dalle origini, c’è «il lavoro dello Spirito per costruire la Chiesa, per armonizzare la Chiesa, e il lavoro del cattivo spirito per distruggerla», ha detto Papa Francesco nella Meditazione della Messa a Santa Marta, il 9 maggio 2020. Chi si lascia guidare dallo spirito del male non esita a fare «ricorso ai poteri temporali per fermare la Chiesa, per distruggere la Chiesa». Nella prima comunità cristiana, raccontata dagli Atti degli Apostoli, emerge con chiarezza anche il conflitto tra «la Parola di Dio che convoca, che cresce, e dall’altra parte la persecuzione» - ha sottolineato il Pontefice. Da una parte «lo Spirito Santo che fa l’armonia della Chiesa, e dall’altra il cattivo spirito che distrugge». Francesco ci ricorda che, in ogni caso, «il bilancio è sempre positivo alla lunga!»; e aggiunge: «ma quanta fatica, quanto dolore, quanto martirio!». Proprio così: lo spirito del male è sempre in agguato per creare divisioni, per seminare la zizzania della gelosia, per mettere gli uni contro gli altri. Papa Francesco ribadisce che lo strumento di cui il diavolo si serve per la sua opera di distruzione della Chiesa è l’invidia. Veramente l'invidia è un pericoloso virus molto contagioso. Chi è l’invidioso? E’ colui che non sa gioire dei successi e della felicità degli altri, anzi gode delle disgrazie altrui. Durante l’Angelus del 29 giugno 2019, il Papa ha paragonato l’amaro sentimento dell’invidia all’«aceto nel cuore». Infatti, «gli invidiosi hanno uno sguardo amaro. Tante volte, quando uno trova un invidioso, viene voglia di domandare: ma con che ha fatto colazione oggi, col caffelatte o con l’aceto? Perché l’invidia è amara. Rende amara la vita» e rende acido il cuore. Invece, sarebbe meraviglioso riuscire a pensare con la mente serena che siamo tutti fratelli e «che ci apparteniamo a vicenda, perché condividiamo la stessa fede, lo stesso amore, la stessa speranza, lo stesso Signore» (ibid.). Papa Francesco è convinto che la diversità arricchisce la Chiesa e sarebbe bello se  ognuno di noi potesse dire: “Grazie, Signore, per quella persona diversa da me: è un dono” che arricchisce la Chiesa. Questa è la fratellanza che ci deve portare ad «apprezzare le qualità altrui, a riconoscere i doni degli altri senza malignità e senza invidie» (ibid.). Provoca sofferenza sapere che qualcuno possa avere gelosia di te fino a screditarti davanti agli altri. Il Papa ci ricorda che, nella Chiesa delle origini, i Giudei «quando videro quella moltitudine, furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo» (At 13,45). E ci sono tanti episodi, raccontati negli Atti degli Apostoli, che descrivono la rabbia con la quale alcuni reagivano quando la predicazione e l’opera degli Apostoli toccava i loro interessi materiali e di prestigio. A quel punto si può diventare veramente cattivi e si è disposti ad usare qualunque mezzo, anche la calunnia e la menzogna, per screditare e distruggere chi è di ostacolo al perseguimento di certi interessi. Di fronte al successo degli Apostoli alcuni «si rodevano il fegato di rabbia. E questa rabbia li portava avanti: è la rabbia del diavolo, è la rabbia che distrugge, la rabbia di quel “crocifiggi, crocifiggi!”» - ha rimarcato il Papa. Degli Apostoli dicevano: “Questi sono rivoluzionari, cacciateli via”; e così iniziava la persecuzione: «le donne hanno parlato con le altre e li hanno cacciati via: sono state le “pie donne” della nobiltà ed anche i notabili della città». Francesco condanna questo modo di fare per annientare le persone, specialmente quando ci si avvale dell’appoggio del «potere temporale» per raggiungere un determinato scopo. Ovviamente, non è bene condannare a priori il potere temporale; infatti, precisa il Papa «esso può essere buono: le persone possono essere buone ma il potere come tale è sempre pericoloso. Il potere del mondo contro il potere di Dio muove tutto questo e sempre dietro di questo, a quel potere, ci sono i soldi». La Chiesa da sempre ha dovuto lottare tra ciò che si deve a Dio e quello che si deve a “Cesare”, tra il potere temporale e quello spirituale. Se il potere viene usato per servire, è uno strumento utile, ma se si usa per asservire e dominare gli altri, allora è veramente uno strumento pericoloso e diabolico. Papa Francesco ci ricorda che «la Chiesa va avanti fra le consolazioni di Dio e le persecuzioni del mondo» (cfr Sant’Agostino, De Civitate Dei, XVIII, 51,2) e che bisogna diffidare di una Chiesa che non ha contrarietà; «quando il diavolo è troppo tranquillo» - dice il Papa - è segno che qualcosa non va bene. Nella Chiesa, infatti, non sono mai mancate le difficoltà, le persecuzioni, le tentazioni, le lotte e le gelosie. Anche Gesù ha detto ai suoi Discepoli: «Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi» (Lc 6,26). Il Papa mette in guardia i cristiani: «stiamo attenti con la predica del Vangelo»: evitiamo di «mettere la fiducia nei poteri temporali e nei soldi».

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