Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL, 30, 5)

giovedì 22 dicembre 2016

GLI AUGURI DI PAPA FRANCESCO 

PER UN NATALE CRISTIANO

Telefonata del Santo Padre al programma televisivo “Unomattina”  22 dicembre 2016

 

 

 

Conduttore:
Pronto, Santità …
Papa Francesco:
Buongiorno!
Conduttore:
Buongiorno, grazie!
Papa Francesco:
Mi hanno detto che oggi per voi di “Unomattina” è una data importante: compite 30 anni di trasmissione…
Conduttore:
E’ vero…
Papa Francesco:
Volevo complimentarmi con voi, con gli autori del programma, i conduttori, i giornalisti, i registi, i tecnici, gli impiegati… insomma, con tutti coloro che cooperano alla realizzazione di questa trasmissione molto popolare. So che oggi sono presenti anche i Direttori di Tg1 e di Rai1: un saluto a loro e buon lavoro!
Conduttore:
Grazie, Santità. Noi – Francesca e io – vogliamo anche farLe gli auguri insieme a tutti i nostri giornalisti, direttori, tecnici per il Suo compleanno, per i Suoi 80 anni. E allora abbiamo preparato una piccola sorpresa per Lei, Santità. Eccola…
Papa Francesco:
Vediamo cosa sia la piccola sorpresa…
(parte un montaggio su Papa Francesco)
[…]
Conduttore:
Santità, è ancora al telefono con noi?
Papa Francesco:
Sì, sì, e vi ringrazio della sorpresa.
Conduttore:
Noi vogliamo ringraziare Lei, e dato che tra pochi giorni è Natale, vorremmo sapere se…
Conduttore:
…intanto farLe gli auguri di Natale: Buon Natale, Santità!
Conduttore:
… se Le andasse di lasciare un messaggio a quanti ci seguono da casa: tra loro ci sono anche molti anziani, molte persone ammalate…
Papa Francesco:
Sì. Io vi auguro un Natale cristiano, come è stato il primo, quando Dio ha voluto capovolgere i valori del mondo, si è fatto piccolo in una stalla, con i piccoli, con i poveri, con gli emarginati… La piccolezza. In questo mondo dove si adora tanto il dio denaro, che il Natale ci aiuti a guardare la piccolezza di questo Dio che ha capovolto i valori mondani.
Vi auguro un Santo Natale, e felice: un santo e felice Natale. Un abbraccio a tutti.
Conduttori:
Grazie, Santità. Buon Natale.
Papa Francesco:
Buon Natale!

mercoledì 21 dicembre 2016

Vaticano
(a cura Redazione "Il sismografo")
(Luis Badilla - ©copyright) Gravissime le parole del cardinale statunitense Raymond Leo Burke, patrono del Sovrano Militare Ordine di Malta, che ha dichiarato al website "Lifesitenews" di avere il proposito - se il Papa non risponde ai 'dubia" contenuti nella lettera di 4 porporati (lui stesso, Walter Brandmüller, Joachim Meisner e Carlo Caffarra) - di procedere dopo il Natale a fare una "correzione formale" di alcuni passaggi del magistero pontificio nell'Esortazione apostolica "Amoris laetitia". Quanto a lui attribuito dal sito statunitense pro-life, e sino a questo momento non smentito, appare di una gravità inaudita, inedita e tristemente lesiva dell'unità della Chiesa.
Come fanno notare alcuni commenti, oltre al fatto che non si capisce a quale solidità canonica e dottrinale questa famigerata "correzione formale" attingerebbe, nonostante continui ad affermare che si tratti "di un antico istituto della Chiesa" (sic), non è neanche chiaro cosa pensano gli altri tre firmatari della lettera consegnata a giornalisti amici affinché fosse divulgata e di altri due porporati che secondo le loro dichiarazioni condividono i "dubia": il tedesco Paul Cordes e l'italiano Renato Raffaele Martino.
Su queste interpretazioni e polemiche, spesso gonfiate ad arte nei siti e social dei cattolici tradizionalisti, alla domanda di Andrea Tornielli "come vive tutto questo il Papa?", mons. Angelo Becciu, Sostituto della Segretaria di stato, ha risposto così: "Il Papa è un uomo molto sereno, non gli manca mai il buonumore, ma è chiaro che ogni fonte di divisione è per lui motivo di preoccupazione e di dolore. Io non entro nel merito delle polemiche, ma voglio solo ribadire i principi che mi sono sempre stati insegnati dalla sana tradizione della Chiesa: come umile collaboratore del Papa, sento il dovere di dirgli lealmente il mio pensiero quando è in fase di elaborazione una decisione. Una volta che è stata presa, io obbedisco totalmente al Santo Padre. L’unità della Chiesa, per la quale Gesù ha sudato sangue e ha dato la vita, viene prima delle mie idee, pur belle che siano. Quelle vissute in disubbidienza hanno rovinato la Chiesa". Speriamo che il cardinale Burke non solo abbia letto queste considerazioni ma soprattutto abbia riflettuto sulla strada che sembra essere deciso a intraprendere.
Noi, cattolici qualunque, possiamo solo pregare per il porporato e lo facciamo con grande affetto e partecipazione.


Vaticano
Comprare un paio di scarpe, quando l’umiltà di un Papa ci invita alla speranza
(a cura Redazione "Il sismografo")
(Damiano Serpi ©copyright)  Chi di noi non esce abitualmente di casa per comprare ciò che gli serve ? Non c’è cosa che facciamo con più disinvoltura. Per il Santo Padre è più complicato. Ci sono ragioni di sicurezza, di opportunità e di ordine pubblico che devono essere vagliate e che nessuno di noi si pone nel vivere quotidiano. Ma a quanti di noi piacerebbe ancora di più poter mandare qualcun altro al supermercato, in farmacia o dal giornalaio al posto nostro? Diciamolo chiaramente, ci piacerebbe tanto. Questo il Santo Padre potrebbe farlo con più facilità e, con tutta sicurezza.
Invece Papa Francesco mostra la sua umiltà e, mettendo un po’ di patema d’animo a chi si occupa quotidianamente con professionalità e accuratezza della sua sicurezza, anche stavolta è voluto andare di persona in una farmacia romana per acquistare un paio di scarpe ortopediche. Lo avrà fatto per evadere un po’ dalle stanze vaticane? Lo avrà fatto per poter avere quel contatto con la gente che tanto gli fa bene? 
Lo avrà fatto per assaporare quella libertà di movimento che il suo ruolo gli impedisce di avere e di cui lo stesso Papa Francesco ha più volte confessato pubblicamente di patire la mancanza? Di certo qualcuno non tarderà a trovare in questo gesto qualcosa da criticare. I mal pensanti fanno parte del vivere quotidiano e Papa Francesco tiene conto anche le loro osservazioni. 
Personalmente mi piace pensare anche a qualcos’altro. Mi piace pensare che con questo gesto il Papa abbia voluto regalare a tutti noi, in questo preciso momento, una testimonianza di coraggio, di speranza, di fiducia. Mentre tutte le tv del mondo raccontano di cristiani impauriti dopo l’attentato di Berlino, l’uccisione dell’ambasciatore russo in Turchia e la strage nella Chiesa Copta di Il Cairo, il Papa esce tranquillamente e compie uno dei gesti più semplici e umili che tutti noi facciamo ogni giorno. Si reca ad acquistare di persona ciò di cui ha bisogno. Proprio lui, il Santo Padre, ci offre questa testimonianza vera, concreta, diretta. Non ha paura, esce, va incontro al mondo che esiste al di fuori della sua residenza super protetta. Incontra, si ferma e dialoga umilmente con chi trova nel suo percorso. 
Abbiamo davvero bisogno di testimonianza e di esempi e questo, voluto o no che sia stato, lo è davvero.

mercoledì 23 novembre 2016

L'ABORTO E' UN PECCATO GRAVE, UN DELITTO CONTRO LA VITA (Cfr. Codice di Diritto Canonico, Can. 1398)

mercoledì 23 novembre 2016

Vaticano
Aborto, mons. Fisichella: “Abortite tanto il Papa vi perdona ? idiozie dei giornali”
TV2000
“Non c’entra niente la scomunica che viene tolta. Non c’entra nulla dire ‘abortite perché il Papa vi perdona’, queste sono veramente delle idiozie che rimangono tali sia nei titoli che nei contenuti”. Così il Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, Mons. Rino Fisichella, in un’intervista a ‘Bel Tempo si spera’ su Tv2000 è tornato a parlare di aborto stigmatizzando alcuni titoli comparsi sui giornali. “Voglio dire una cosa nei confronti dei giornalisti – ha aggiunto mons. Fisichella - due giorni fa in Sala Stampa ne ho sentite di tutti i colori. C’è da parte di qualcuno la tentazione di leggere in fretta e quando si legge in fretta non si capisce. C’è la tentazione di trovare subito qualche cosa.
E di tanti contenuti l’occhio è caduto solo sull’aborto. C’è poi la volontà di qualcuno di voler denigrare e trovare quello che non c’è”. Il Presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, ha inoltre voluto precisare che “il Papa ha detto chiaramente e lo ha scritto: il peccato di aborto e uno dei peccati più gravi che esistano, perché si pone fine a una vita innocente. Questo peccato rimane tale e nel momento in cui si compie questo peccato, non solo da parte della donna, che porta il peso più grande di tutto questo, ma da parte di tutta una categoria che partecipa al peccato d’aborto, nel momento in cui si compie dunque, c’è la scomunica e si è fuori dalla comunione dalla Chiesa perché il peccato è gravissimo”. “Ma il Papa – ha sottolineato mons. Fisichella - pur dicendo questo dice con altrettanta forza che non esiste un peccato che Dio non possa perdonare quando si ritrova con un cuore pentito. Il Papa dice che non deve esserci nessun ostacolo, nessun limite. Prima infatti solo il vescovo poteva assolvere il peccato di aborto”. “E’ una prassi che si è modificata – ha concluso mons. Fisichella - la prassi con la quale ora il Papa dice: desidero che chi porta dentro di sé questo grande dolore ed è pentito, non abbia a trovare ostacoli ma qualsiasi sacerdote può accogliere, perdonare e aiutare a camminare per una vita nuova”.

lunedì 21 novembre 2016

"MISERICORDIA ET MISERA"
LA LETTERA APOSTOLICA 
DI PAPA FRANCESCO
a quanti leggeranno questa Lettera Apostolica
misericordia e pace

Misericordia et misera sono le due parole che sant’Agostino utilizza per raccontare l’incontro tra Gesù e l’adultera (cfr Gv 8,1-11). Non poteva trovare espressione più bella e coerente di questa per far comprendere il mistero dell’amore di Dio quando viene incontro al peccatore: «Rimasero soltanto loro due: la misera e la misericordia».[1] Quanta pietà e giustizia divina in questo racconto! Il suo insegnamento viene a illuminare la conclusione del Giubileo Straordinario della Misericordia, mentre indica il cammino che siamo chiamati a percorrere nel futuro.
1. Questa pagina del Vangelo può a buon diritto essere assunta come icona di quanto abbiamo celebrato nell’Anno Santo, un tempo ricco di misericordia, la quale chiede di essere ancora celebrata e vissuta nelle nostre comunità. La misericordia, infatti, non può essere una parentesi nella vita della Chiesa, ma costituisce la sua stessa esistenza, che rende manifesta e tangibile la verità profonda del Vangelo. Tutto si rivela nella misericordia; tutto si risolve nell’amore misericordioso del Padre.
Una donna e Gesù si sono incontrati. Lei, adultera e, secondo la Legge, giudicata passibile di lapidazione; Lui, che con la sua predicazione e il dono totale di sé, che lo porterà alla croce, ha riportato la legge mosaica al suo genuino intento originario. Al centro non c’è la legge e la giustizia legale, ma l’amore di Dio, che sa leggere nel cuore di ogni persona, per comprenderne il desiderio più nascosto, e che deve avere il primato su tutto. In questo racconto evangelico, tuttavia, non si incontrano il peccato e il giudizio in astratto, ma una peccatrice e il Salvatore. Gesù ha guardato negli occhi quella donna e ha letto nel suo cuore: vi ha trovato il desiderio di essere capita, perdonata e liberata. La miseria del peccato è stata rivestita dalla misericordia dell’amore. Nessun giudizio da parte di Gesù che non fosse segnato dalla pietà e dalla compassione per la condizione della peccatrice. A chi voleva giudicarla e condannarla a morte, Gesù risponde con un lungo silenzio, che vuole lasciar emergere la voce di Dio nelle coscienze, sia della donna sia dei suoi accusatori. I quali lasciano cadere le pietre dalle mani e se ne vanno ad uno ad uno (cfr Gv 8,9). E dopo quel silenzio, Gesù dice: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata? … Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più» (vv. 10-11). In questo modo la aiuta a guardare al futuro con speranza e ad essere pronta a rimettere in moto la sua vita; d’ora in avanti, se lo vorrà, potrà “camminare nella carità” (cfr Ef 5,2). Una volta che si è rivestiti della misericordia, anche se permane la condizione di debolezza per il peccato, essa è sovrastata dall’amore che permette di guardare oltre e vivere diversamente.
2. Gesù d’altronde lo aveva insegnato con chiarezza quando, invitato a pranzo da un fariseo, gli si era avvicinata una donna conosciuta da tutti come una peccatrice (cfr Lc 7,36-50). Lei aveva cosparso di profumo i piedi di Gesù, li aveva bagnati con le sue lacrime e asciugati con i suoi capelli (cfr v. 37-38). Alla reazione scandalizzata del fariseo, Gesù rispose: «Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco» (v. 47).
Il perdono è il segno più visibile dell’amore del Padre, che Gesù ha voluto rivelare in tutta la sua vita. Non c’è pagina del Vangelo che possa essere sottratta a questo imperativo dell’amore che giunge fino al perdono. Perfino nel momento ultimo della sua esistenza terrena, mentre viene inchiodato sulla croce, Gesù ha parole di perdono: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).
Niente di quanto un peccatore pentito pone dinanzi alla misericordia di Dio può rimanere senza l’abbraccio del suo perdono. È per questo motivo che nessuno di noi può porre condizioni alla misericordia; essa rimane sempre un atto di gratuità del Padre celeste, un amore incondizionato e immeritato. Non possiamo, pertanto, correre il rischio di opporci alla piena libertà dell’amore con cui Dio entra nella vita di ogni persona.
La misericordia è questa azione concreta dell’amore che, perdonando, trasforma e cambia la vita. È così che si manifesta il suo mistero divino. Dio è misericordioso (cfr Es 34,6), la sua misericordia dura in eterno (cfr Sal 136), di generazione in generazione abbraccia ogni persona che confida in Lui e la trasforma, donandole la sua stessa vita.
3. Quanta gioia è stata suscitata nel cuore di queste due donne, l’adultera e la peccatrice! Il perdono le ha fatte sentire finalmente libere e felici come mai prima. Le lacrime della vergogna e del dolore si sono trasformate nel sorriso di chi sa di essere amata. La misericordia suscita gioia, perché il cuore si apre alla speranza di una vita nuova. La gioia del perdono è indicibile, ma traspare in noi ogni volta che ne facciamo esperienza. All’origine di essa c’è l’amore con cui Dio ci viene incontro, spezzando il cerchio di egoismo che ci avvolge, per renderci a nostra volta strumenti di misericordia.
Come sono significative anche per noi le parole antiche che guidavano i primi cristiani: «Rivestiti di gioia che è sempre gradita a Dio e gli è accetta. In essa si diletta. Ogni uomo gioioso opera bene, pensa bene e disprezza la tristezza [...] Vivranno in Dio quanti allontanano la tristezza e si rivestono di ogni gioia».[2] Fare esperienza della misericordia dona gioia. Non lasciamocela portar via dalle varie afflizioni e preoccupazioni. Possa rimanere ben radicata nel nostro cuore e farci guardare sempre con serenità alla vita quotidiana.
In una cultura spesso dominata dalla tecnica, sembrano moltiplicarsi le forme di tristezza e solitudine in cui cadono le persone, e anche tanti giovani. Il futuro infatti sembra essere ostaggio dell’incertezza che non consente di avere stabilità. È così che sorgono spesso sentimenti di malinconia, tristezza e noia, che lentamente possono portare alla disperazione. C’è bisogno di testimoni di speranza e di gioia vera, per scacciare le chimere che promettono una facile felicità con paradisi artificiali. Il vuoto profondo di tanti può essere riempito dalla speranza che portiamo nel cuore e dalla gioia che ne deriva. C’è tanto bisogno di riconoscere la gioia che si rivela nel cuore toccato dalla misericordia. Facciamo tesoro, pertanto, delle parole dell’Apostolo: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4; cfr 1 Ts 5,16).
4. Abbiamo celebrato un Anno intenso, durante il quale ci è stata donata con abbondanza la grazia della misericordia. Come un vento impetuoso e salutare, la bontà e la misericordia del Signore si sono riversate sul mondo intero. E davanti a questo sguardo amoroso di Dio che in maniera così prolungata si è rivolto su ognuno di noi, non si può rimanere indifferenti, perché esso cambia la vita.
Sentiamo il bisogno, anzitutto, di ringraziare il Signore e dirgli: «Sei stato buono, Signore, con la tua terra […]. Hai perdonato la colpa del tuo popolo» (Sal 85,2-3). È proprio così: Dio ha calpestato le nostre colpe e gettato in fondo al mare i nostri peccati (cfr Mi 7,19); non li ricorda più, se li è buttati alle spalle (cfr Is 38,17); come è distante l’oriente dall’occidente così i nostri peccati sono distanti da lui (cfr Sal 103,12).
In questo Anno Santo la Chiesa ha saputo mettersi in ascolto e ha sperimentato con grande intensità la presenza e vicinanza del Padre, che con l’opera dello Spirito Santo le ha reso più evidente il dono e il mandato di Gesù Cristo riguardo al perdono. È stata realmente una nuova visita del Signore in mezzo a noi. Abbiamo percepito il suo soffio vitale riversarsi sulla Chiesa e, ancora una volta, le sue parole hanno indicato la missione: «Ricevete lo Spirito Santo: a coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23).
5. Adesso, concluso questo Giubileo, è tempo di guardare avanti e di comprendere come continuare con fedeltà, gioia ed entusiasmo a sperimentare la ricchezza della misericordia divina. Le nostre comunità potranno rimanere vive e dinamiche nell’opera di nuova evangelizzazione nella misura in cui la “conversione pastorale” che siamo chiamati a vivere[3] sarà plasmata quotidianamente dalla forza rinnovatrice della misericordia. Non limitiamo la sua azione; non rattristiamo lo Spirito che indica sempre nuovi sentieri da percorrere per portare a tutti il Vangelo che salva.
In primo luogo siamo chiamati a celebrare la misericordia. Quanta ricchezza è presente nella preghiera della Chiesa quando invoca Dio come Padre misericordioso! Nella liturgia, la misericordia non solo viene ripetutamente evocata, ma realmente ricevuta e vissuta. Dall’inizio alla fine della celebrazione eucaristica, la misericordia ritorna più volte nel dialogo tra l’assemblea orante e il cuore del Padre, che gioisce quando può effondere il suo amore misericordioso. Dopo la richiesta di perdono iniziale con l’invocazione «Signore pietà», veniamo subito rassicurati: «Dio onnipotente abbia misericordia di noi, perdoni i nostri peccati e ci conduca alla vita eterna». È con questa fiducia che la comunità si raduna alla presenza del Signore, particolarmente nel giorno santo della risurrezione. Molte orazioni “collette” intendono richiamare il grande dono della misericordia. Nel periodo della Quaresima, ad esempio, preghiamo dicendo: «Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia».[4] Siamo poi immersi nella grande preghiera eucaristica con il prefazio che proclama: «Nella tua misericordia hai tanto amato gli uomini da mandare il tuo Figlio come Redentore a condividere in tutto, fuorché nel peccato, la nostra condizione umana».[5] La quarta preghiera eucaristica, inoltre, è un inno alla misericordia di Dio: «Nella tua misericordia a tutti sei venuto incontro, perché coloro che ti cercano ti possano trovare». «Di noi tutti abbi misericordia»,[6] è la richiesta impellente che il sacerdote compie nella preghiera eucaristica per implorare la partecipazione alla vita eterna. Dopo il Padre Nostro, il sacerdote prolunga la preghiera invocando la pace e la liberazione dal peccato grazie all’«aiuto della tua misericordia». E prima del segno di pace, scambiato come espressione di fratellanza e di amore reciproco alla luce del perdono ricevuto, egli prega di nuovo: «Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa».[7] Mediante queste parole, con umile fiducia chiediamo il dono dell’unità e della pace per la santa Madre Chiesa. La celebrazione della misericordia divina culmina nel Sacrificio eucaristico, memoriale del mistero pasquale di Cristo, da cui scaturisce la salvezza per ogni essere umano, per la storia e per il mondo intero. Insomma, ogni momento della celebrazione eucaristica fa riferimento alla misericordia di Dio.
In tutta la vita sacramentale la misericordia ci viene donata in abbondanza. Non è affatto senza significato che la Chiesa abbia voluto fare esplicitamente il richiamo alla misericordia nella formula dei due sacramenti chiamati “di guarigione”, cioè la Riconciliazione e l’Unzione dei malati. La formula di assoluzione dice: «Dio, Padre di misericordia, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace»[8] e quella dell’Unzione recita: «Per questa santa Unzione e la sua piissima misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo».[9] Dunque, nella preghiera della Chiesa il riferimento alla misericordia, lungi dall’essere solamente parenetico, è altamente performativo, vale a dire che mentre la invochiamo con fede, ci viene concessa; mentre la confessiamo viva e reale, realmente ci trasforma. È questo un contenuto fondamentale della nostra fede, che dobbiamo conservare in tutta la sua originalità: prima di quella del peccato, abbiamo la rivelazione dell’amore con cui Dio ha creato il mondo e gli esseri umani. L’amore è il primo atto con il quale Dio si fa conoscere e ci viene incontro. Teniamo, pertanto, aperto il cuore alla fiducia di essere amati da Dio. Il suo amore ci precede sempre, ci accompagna e rimane accanto a noi nonostante il nostro peccato.
6. In tale contesto, assume un significato particolare anche l’ascolto della Parola di Dio. Ogni domenica, la Parola di Dio viene proclamata nella comunità cristiana perché il giorno del Signore sia illuminato dalla luce che promana dal mistero pasquale.[10] Nella celebrazione eucaristica sembra di assistere a un vero dialogo tra Dio e il suo popolo. Nella proclamazione delle Letture bibliche, infatti, si ripercorre la storia della nostra salvezza attraverso l’incessante opera di misericordia che viene annunciata. Dio parla ancora oggi con noi come ad amici, si “intrattiene” con noi[11] per donarci la sua compagnia e mostrarci il sentiero della vita. La sua Parola si fa interprete delle nostre richieste e preoccupazioni e risposta feconda perché possiamo sperimentare concretamente la sua vicinanza. Quanta importanza acquista l’omelia, dove «la verità si accompagna alla bellezza e al bene»,[12] per far vibrare il cuore dei credenti dinanzi alla grandezza della misericordia! Raccomando molto la preparazione dell’omelia e la cura della predicazione. Essa sarà tanto più fruttuosa, quanto più il sacerdote avrà sperimentato su di sé la bontà misericordiosa del Signore. Comunicare la certezza che Dio ci ama non è un esercizio retorico, ma condizione di credibilità del proprio sacerdozio. Vivere, quindi, la misericordia è la via maestra per farla diventare un vero annuncio di consolazione e di conversione nella vita pastorale. L’omelia, come pure la catechesi, hanno bisogno di essere sempre sostenute da questo cuore pulsante della vita cristiana.
7. La Bibbia è il grande racconto che narra le meraviglie della misericordia di Dio. Ogni pagina è intrisa dell’amore del Padre che fin dalla creazione ha voluto imprimere nell’universo i segni del suo amore. Lo Spirito Santo, attraverso le parole dei profeti e gli scritti sapienziali, ha plasmato la storia di Israele nel riconoscimento della tenerezza e della vicinanza di Dio, nonostante l’infedeltà del popolo. La vita di Gesù e la sua predicazione segnano in modo determinante la storia della comunità cristiana, che ha compreso la propria missione sulla base del mandato di Cristo di essere strumento permanente della sua misericordia e del suo perdono (cfr Gv 20,23). Attraverso la Sacra Scrittura, mantenuta viva dalla fede della Chiesa, il Signore continua a parlare alla sua Sposa e le indica i sentieri da percorrere, perché il Vangelo della salvezza giunga a tutti. È mio vivo desiderio che la Parola di Dio sia sempre più celebrata, conosciuta e diffusa, perché attraverso di essa si possa comprendere meglio il mistero di amore che promana da quella sorgente di misericordia. Lo ricorda chiaramente l’Apostolo: «Tutta la Scrittura, ispirata da Dio, è anche utile per insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia» (2 Tm 3,16).
Sarebbe opportuno che ogni comunità, in una domenica dell’Anno liturgico, potesse rinnovare l’impegno per la diffusione, la conoscenza e l’approfondimento della Sacra Scrittura: una domenica dedicata interamente alla Parola di Dio, per comprendere l’inesauribile ricchezza che proviene da quel dialogo costante di Dio con il suo popolo. Non mancherà la creatività per arricchire questo momento con iniziative che stimolino i credenti ad essere strumenti vivi di trasmissione della Parola. Certamente, tra queste iniziative vi è la diffusione più ampia della lectio divina, affinché, attraverso la lettura orante del testo sacro, la vita spirituale trovi sostegno e crescita. La lectio divina sui temi della misericordia permetterà di toccare con mano quanta fecondità viene dal testo sacro, letto alla luce dell’intera tradizione spirituale della Chiesa, che sfocia necessariamente in gesti e opere concrete di carità.[13]
8. La celebrazione della misericordia avviene in modo del tutto particolare con il Sacramento della Riconciliazione. È questo il momento in cui sentiamo l’abbraccio del Padre che viene incontro per restituirci la grazia di essere di nuovo suoi figli. Noi siamo peccatori e portiamo con noi il peso della contraddizione tra ciò che vorremmo fare e quanto invece concretamente facciamo (cfr Rm 7,14-21); la grazia, tuttavia, ci precede sempre, e assume il volto della misericordia che si rende efficace nella riconciliazione e nel perdono. Dio fa comprendere il suo immenso amore proprio davanti al nostro essere peccatori. La grazia è più forte, e supera ogni possibile resistenza, perché l’amore tutto vince (cfr 1 Cor 13,7).
Nel Sacramento del Perdono Dio mostra la via della conversione a Lui, e invita a sperimentare di nuovo la sua vicinanza. È un perdono che può essere ottenuto iniziando, anzitutto, a vivere la carità. Lo ricorda anche l’apostolo Pietro quando scrive che «L’amore copre una moltitudine di peccati» (1 Pt 4,8). Solo Dio perdona i peccati, ma chiede anche a noi di essere pronti al perdono verso gli altri, così come Lui perdona i nostri: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Quanta tristezza quando rimaniamo chiusi in noi stessi e incapaci di perdonare! Prendono il sopravvento il rancore, la rabbia, la vendetta, rendendo la vita infelice e vanificando l’impegno gioioso per la misericordia.
9. Un’esperienza di grazia che la Chiesa ha vissuto con tanta efficacia nell’Anno giubilare è stato certamente il servizio dei Missionari della Misericordia. La loro azione pastorale ha voluto rendere evidente che Dio non pone alcun confine per quanti lo cercano con cuore pentito, perché a tutti va incontro come un Padre. Ho ricevuto tante testimonianze di gioia per il rinnovato incontro con il Signore nel Sacramento della Confessione. Non perdiamo l’opportunità di vivere la fede anche come esperienza di riconciliazione. «Lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5,20) è l’invito che ancora ai nostri giorni l’Apostolo rivolge per far scoprire ad ogni credente la potenza dell’amore che rende una «creatura nuova» (2 Cor 5,17).
Esprimo la mia gratitudine ad ogni Missionario della Misericordia per questo prezioso servizio offerto per rendere efficace la grazia del perdono. Questo ministero straordinario, tuttavia, non si conclude con la chiusura della Porta Santa. Desidero, infatti, che permanga ancora, fino a nuova disposizione, come segno concreto che la grazia del Giubileo continua ad essere, nelle varie parti del mondo, viva ed efficace. Sarà cura del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione seguire in questo periodo i Missionari della Misericordia, come espressione diretta della mia sollecitudine e vicinanza e trovare le forme più coerenti per l’esercizio di questo prezioso ministero.
10. Ai sacerdoti rinnovo l’invito a prepararsi con grande cura al ministero della Confessione, che è una vera missione sacerdotale. Vi ringrazio sentitamente per il vostro servizio e vi chiedo di essere accoglienti con tutti; testimoni della tenerezza paterna nonostante la gravità del peccato; solleciti nell’aiutare a riflettere sul male commesso; chiari nel presentare i principi morali; disponibili ad accompagnare i fedeli nel percorso penitenziale, mantenendo il loro passo con pazienza; lungimiranti nel discernimento di ogni singolo caso; generosi nel dispensare il perdono di Dio. Come Gesù davanti alla donna adultera scelse di rimanere in silenzio per salvarla dalla condanna a morte, così anche il sacerdote nel confessionale sia magnanimo di cuore, sapendo che ogni penitente lo richiama alla sua stessa condizione personale: peccatore, ma ministro di misericordia.
11. Vorrei che tutti noi meditassimo le parole dell’Apostolo, scritte verso la fine della sua vita, quando a Timoteo confessa di essere stato il primo dei peccatori, «ma appunto per questo ho ottenuto misericordia» (1 Tm 1,16). Le sue parole hanno una forza prorompente per provocare anche noi a riflettere sulla nostra esistenza e per vedere all’opera la misericordia di Dio nel cambiare, convertire e trasformare il nostro cuore: «Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia» (1 Tm 1,12-13).
Ricordiamo con sempre rinnovata passione pastorale, pertanto, le parole dell’Apostolo: «Dio ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18). Noi per primi siamo stati perdonati in vista di questo ministero; resi testimoni in prima persona dell’universalità del perdono. Non c’è legge né precetto che possa impedire a Dio di riabbracciare il figlio che torna da Lui riconoscendo di avere sbagliato, ma deciso a ricominciare da capo. Fermarsi soltanto alla legge equivale a vanificare la fede e la misericordia divina. C’è un valore propedeutico nella legge (cfr Gal 3,24) che ha come fine la carità (cfr 1 Tm 1,5). Tuttavia, il cristiano è chiamato a vivere la novità del Vangelo, «la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù» (Rm 8,2). Anche nei casi più complessi, dove si è tentati di far prevalere una giustizia che deriva solo dalle norme, si deve credere nella forza che scaturisce dalla grazia divina.
Noi confessori abbiamo esperienza di tante conversioni che si manifestano sotto i nostri occhi. Sentiamo, quindi, la responsabilità di gesti e parole che possano giungere nel profondo del cuore del penitente, perché scopra la vicinanza e la tenerezza della Padre che perdona. Non vanifichiamo questi momenti con comportamenti che possano contraddire l’esperienza della misericordia che viene ricercata. Aiutiamo, piuttosto, a illuminare lo spazio della coscienza personale con l’amore infinito di Dio (cfr 1 Gv 3,20).
Il Sacramento della Riconciliazione ha bisogno di ritrovare il suo posto centrale nella vita cristiana; per questo richiede sacerdoti che mettano la loro vita a servizio del «ministero della riconciliazione» (2 Cor 5,18) in modo tale che, mentre a nessuno sinceramente pentito è impedito di accedere all’amore del Padre che attende il suo ritorno, a tutti è offerta la possibilità di sperimentare la forza liberatrice del perdono.
Un’occasione propizia può essere la celebrazione dell’iniziativa 24 ore per il Signore in prossimità della IV domenica di Quaresima, che già trova molto consenso nelle Diocesi e che rimane un richiamo pastorale forte per vivere intensamente il Sacramento della Confessione.
12. In forza di questa esigenza, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto. Quanto avevo concesso limitatamente al periodo giubilare[14] viene ora esteso nel tempo, nonostante qualsiasi cosa in contrario. Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre. Ogni sacerdote, pertanto, si faccia guida, sostegno e conforto nell’accompagnare i penitenti in questo cammino di speciale riconciliazione.
Nell’Anno del Giubileo avevo concesso ai fedeli che per diversi motivi frequentano le chiese officiate dai sacerdoti della Fraternità San Pio X di ricevere validamente e lecitamente l’assoluzione sacramentale dei loro peccati.[15] Per il bene pastorale di questi fedeli, e confidando nella buona volontà dei loro sacerdoti perché si possa recuperare, con l’aiuto di Dio, la piena comunione nella Chiesa Cattolica, stabilisco per mia propria decisione di estendere questa facoltà oltre il periodo giubilare, fino a nuove disposizioni in proposito, perché a nessuno venga mai a mancare il segno sacramentale della riconciliazione attraverso il perdono della Chiesa.
13. La misericordia possiede anche il volto della consolazione. «Consolate, consolate il mio popolo» (Is 40,1) sono le parole accorate che il profeta fa sentire ancora oggi, perché possa giungere a quanti sono nella sofferenza e nel dolore una parola di speranza. Non lasciamoci mai rubare la speranza che proviene dalla fede nel Signore risorto. È vero, spesso siamo messi a dura prova, ma non deve mai venire meno la certezza che il Signore ci ama. La sua misericordia si esprime anche nella vicinanza, nell’affetto e nel sostegno che tanti fratelli e sorelle possono offrire quando sopraggiungono i giorni della tristezza e dell’afflizione. Asciugare le lacrime è un’azione concreta che spezza il cerchio di solitudine in cui spesso veniamo rinchiusi.
Tutti abbiamo bisogno di consolazione perché nessuno è immune dalla sofferenza, dal dolore e dall’incomprensione. Quanto dolore può provocare una parola astiosa, frutto dell’invidia, della gelosia e della rabbia! Quanta sofferenza provoca l’esperienza del tradimento, della violenza e dell’abbandono; quanta amarezza dinanzi alla morte delle persone care! Eppure, mai Dio è lontano quando si vivono questi drammi. Una parola che rincuora, un abbraccio che ti fa sentire compreso, una carezza che fa percepire l’amore, una preghiera che permette di essere più forte... sono tutte espressioni della vicinanza di Dio attraverso la consolazione offerta dai fratelli.
A volte, anche il silenzio potrà essere di grande aiuto; perché a volte non ci sono parole per dare risposta agli interrogativi di chi soffre. Alla mancanza della parola, tuttavia, può supplire la compassione di chi è presente, vicino, ama e tende la mano. Non è vero che il silenzio sia un atto di resa, al contrario, è un momento di forza e di amore. Anche il silenzio appartiene al nostro linguaggio di consolazione perché si trasforma in un’opera concreta di condivisione e partecipazione alla sofferenza del fratello.
14. In un momento particolare come il nostro, che tra tante crisi vede anche quella della famiglia, è importante che giunga una parola di forza consolatrice alle nostre famiglie. Il dono del matrimonio è una grande vocazione a cui, con la grazia di Cristo, corrispondere nell’amore generoso, fedele e paziente. La bellezza della famiglia permane immutata, nonostante tante oscurità e proposte alternative: «La gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa».[16] Il sentiero della vita che porta un uomo e una donna a incontrarsi, amarsi, e davanti a Dio a promettersi fedeltà per sempre, è spesso interrotto da sofferenza, tradimento e solitudine. La gioia per il dono dei figli non è immune dalle preoccupazioni dei genitori riguardo alla loro crescita e formazione, riguardo a un futuro degno di essere vissuto intensamente.
La grazia del Sacramento del Matrimonio non solo fortifica la famiglia perché sia luogo privilegiato in cui vivere la misericordia, ma impegna la comunità cristiana, e tutta l’azione pastorale, a far emergere il grande valore propositivo della famiglia. Questo Anno giubilare, comunque, non può far perdere di vista la complessità dell’attuale realtà familiare. L’esperienza della misericordia ci rende capaci di guardare a tutte le difficoltà umane con l’atteggiamento dell’amore di Dio, che non si stanca di accogliere e di accompagnare.[17]
Non possiamo dimenticare che ognuno porta con sé la ricchezza e il peso della propria storia, che lo contraddistingue da ogni altra persona. La nostra vita, con le sue gioie e i suoi dolori, è qualcosa di unico e irripetibile, che scorre sotto lo sguardo misericordioso di Dio. Ciò richiede, soprattutto da parte del sacerdote, un discernimento spirituale attento, profondo e lungimirante perché chiunque, nessuno escluso, qualunque situazione viva, possa sentirsi concretamente accolto da Dio, partecipare attivamente alla vita della comunità ed essere inserito in quel Popolo di Dio che, instancabilmente, cammina verso la pienezza del regno di Dio, regno di giustizia, di amore, di perdono e di misericordia.
15. Particolare rilevanza riveste il momento della morte. La Chiesa ha sempre vissuto questo passaggio drammatico alla luce della risurrezione di Gesù Cristo, che ha aperto la strada per la certezza della vita futura. Abbiamo una grande sfida da accogliere, soprattutto nella cultura contemporanea che spesso tende a banalizzare la morte fino a farla diventare una semplice finzione, o a nasconderla. La morte invece va affrontata e preparata come passaggio doloroso e ineludibile ma carico di senso: quello dell’estremo atto di amore verso le persone che ci lasciano e verso Dio a cui si va incontro. In tutte le religioni il momento della morte, come quello della nascita, è accompagnato da una presenza religiosa. Noi viviamo l’esperienza delle esequie come preghiera carica di speranza per l’anima del defunto e per dare consolazione a quanti soffrono il distacco dalla persona amata.
Sono convinto che abbiamo bisogno, nell’azione pastorale animata da fede viva, di far toccare con mano quanto i segni liturgici e le nostre preghiere siano espressione della misericordia del Signore. È Lui stesso che offre parole di speranza, perché niente e nessuno potranno mai separare dal suo amore (cfr Rm 8,35). La condivisione di questo momento da parte del sacerdote è un accompagnamento importante, perché permette di vivere la vicinanza alla comunità cristiana nel momento di debolezza, solitudine, incertezza e pianto.
16. Termina il Giubileo e si chiude la Porta Santa. Ma la porta della misericordia del nostro cuore rimane sempre spalancata. Abbiamo imparato che Dio si china su di noi (cfr Os 11,4) perché anche noi possiamo imitarlo nel chinarci sui fratelli. La nostalgia di tanti di ritornare alla casa del Padre, che attende la loro venuta, è suscitata anche da testimoni sinceri e generosi della tenerezza divina. La Porta Santa che abbiamo attraversato in questo Anno giubilare ci ha immesso nella via della carità che siamo chiamati a percorrere ogni giorno con fedeltà e gioia. È la strada della misericordia che permette di incontrare tanti fratelli e sorelle che tendono la mano perché qualcuno la possa afferrare per camminare insieme.
Voler essere vicini a Cristo esige di farsi prossimo verso i fratelli, perché niente è più gradito al Padre se non un segno concreto di misericordia. Per sua stessa natura, la misericordia si rende visibile e tangibile in un’azione concreta e dinamica. Una volta che la si è sperimentata nella sua verità, non si torna più indietro: cresce continuamente e trasforma la vita. È un’autentica nuova creazione che realizza un cuore nuovo, capace di amare in modo pieno, e purifica gli occhi perché riconoscano le necessità più nascoste. Come sono vere le parole con cui la Chiesa prega nella Veglia Pasquale, dopo la lettura del racconto della creazione: «O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti».[18]
La misericordia rinnova e redime, perché è l’incontro di due cuori: quello di Dio che viene incontro a quello dell’uomo. Questo si riscalda e il primo lo risana: il cuore di pietra viene trasformato in cuore di carne (cfr Ez 36,26), capace di amare nonostante il suo peccato. Qui si percepisce di essere davvero una “nuova creatura” (cfr Gal 6,15): sono amato, dunque esisto; sono perdonato, quindi rinasco a vita nuova; sono stato “misericordiato”, quindi divento strumento di misericordia.
17. Durante l’Anno Santo, specialmente nei “venerdì della misericordia”, ho potuto toccare con mano quanto bene è presente nel mondo. Spesso non è conosciuto perché si realizza quotidianamente in maniera discreta e silenziosa. Anche se non fanno notizia, esistono tuttavia tanti segni concreti di bontà e di tenerezza rivolti ai più piccoli e indifesi, ai più soli e abbandonati. Esistono davvero dei protagonisti della carità che non fanno mancare la solidarietà ai più poveri e infelici. Ringraziamo il Signore per questi doni preziosi che invitano a scoprire la gioia del farsi prossimo davanti alla debolezza dell’umanità ferita. Con gratitudine penso ai tanti volontari che ogni giorno dedicano il loro tempo a manifestare la presenza e vicinanza di Dio con la loro dedizione. Il loro servizio è una genuina opera di misericordia, che aiuta tante persone ad avvicinarsi alla Chiesa.
18. È il momento di dare spazio alla fantasia della misericordia per dare vita a tante nuove opere, frutto della grazia. La Chiesa ha bisogno di raccontare oggi quei «molti altri segni» che Gesù ha compiuto e che «non sono stati scritti» (Gv 20,30), affinché siano espressione eloquente della fecondità dell’amore di Cristo e della comunità che vive di Lui. Sono passati più di duemila anni, eppure le opere di misericordia continuano a rendere visibile la bontà di Dio.
Ancora oggi intere popolazioni soffrono la fame e la sete, e quanta preoccupazione suscitano le immagini di bambini che nulla hanno per cibarsi. Masse di persone continuano a migrare da un Paese all’altro in cerca di cibo, lavoro, casa e pace. La malattia, nelle sue varie forme, è un motivo permanente di sofferenza che richiede aiuto, consolazione e sostegno. Le carceri sono luoghi in cui spesso, alla pena restrittiva, si aggiungono disagi a volte gravi, dovuti a condizioni di vita disumane. L’analfabetismo è ancora molto diffuso e impedisce ai bambini e alle bambine di formarsi e li espone a nuove forme di schiavitù. La cultura dell’individualismo esasperato, soprattutto in occidente, porta a smarrire il senso di solidarietà e di responsabilità verso gli altri. Dio stesso rimane oggi uno sconosciuto per molti; ciò rappresenta la più grande povertà e il maggior ostacolo al riconoscimento della dignità inviolabile della vita umana.
Insomma, le opere di misericordia corporale e spirituale costituiscono fino ai nostri giorni la verifica della grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale. Essa infatti spinge a rimboccarsi le maniche per restituire dignità a milioni di persone che sono nostri fratelli e sorelle, chiamati con noi a costruire una «città affidabile».[19]
19. Tanti segni concreti di misericordia sono stati realizzati durante questo Anno Santo. Comunità, famiglie e singoli credenti hanno riscoperto la gioia della condivisione e la bellezza della solidarietà. Eppure non basta. Il mondo continua a generare nuove forme di povertà spirituale e materiale che attentano alla dignità delle persone. È per questo che la Chiesa dev’essere sempre vigile e pronta per individuare nuove opere di misericordia e attuarle con generosità ed entusiasmo.
Poniamo, dunque, ogni sforzo per dare forme concrete alla carità e al tempo stesso intelligenza alle opere di misericordia. Quest’ultima possiede un’azione inclusiva, per questo tende ad allargarsi a macchia d’olio e non conosce limiti. E in questo senso siamo chiamati a dare volto nuovo alle opere di misericordia che conosciamo da sempre. La misericordia, infatti, eccede; va sempre oltre, è feconda. È come il lievito che fa fermentare la pasta (cfr Mt 13,33) e come un granello di senape che diventa un albero (cfr Lc 13,19).
Pensiamo solo, a titolo esemplificativo, all’opera di misericordia corporale vestire chi è nudo (cfr Mt 25,36.38.43.44). Essa ci riporta ai primordi, al giardino dell’Eden, quando Adamo ed Eva scoprirono di essere nudi e, sentendo avvicinarsi il Signore, ebbero vergogna e si nascosero (cfr Gen 3,7-8). Sappiamo che il Signore li punì; tuttavia, Egli «fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelle e li vestì» (Gen 3,21). La vergogna viene superata e la dignità restituita.
Fissiamo lo sguardo anche su Gesù al Golgota. Il Figlio di Dio sulla croce è nudo; la sua tunica è stata sorteggiata e presa dai soldati (cfr Gv 19,23-24); Lui non ha più nulla. Sulla croce si rivela all’estremo la condivisione di Gesù con quanti hanno perso dignità perché privati del necessario. Come la Chiesa è chiamata ad essere la “tunica di Cristo”[20] per rivestire il suo Signore, così è impegnata a rendersi solidale con i nudi della terra perché riacquistino la dignità di cui sono stati spogliati. «(Ero) nudo e mi avete vestito» (Mt 25,36), pertanto, obbliga a non voltare lo sguardo davanti alle nuove forme di povertà e di emarginazione che impediscono alle persone di vivere dignitosamente.
Non avere il lavoro e non ricevere il giusto salario; non poter avere una casa o una terra dove abitare; essere discriminati per la fede, la razza, lo stato sociale...: queste e molte altre sono condizioni che attentano alla dignità della persona, di fronte alle quali l’azione misericordiosa dei cristiani risponde anzitutto con la vigilanza e la solidarietà. Quante sono oggi le situazioni in cui possiamo restituire dignità alle persone e consentire una vita umana! Pensiamo solo a tanti bambini e bambine che subiscono violenze di vario genere, che rubano loro la gioia della vita. I loro volti tristi e disorientati sono impressi nella mia mente; chiedono il nostro aiuto per essere liberati dalle schiavitù del mondo contemporaneo. Questi bambini sono i giovani di domani; come li stiamo preparando a vivere con dignità e responsabilità? Con quale speranza possono affrontare il loro presente e il loro futuro?
Il carattere sociale della misericordia esige di non rimanere inerti e di scacciare l’indifferenza e l’ipocrisia, perché i piani e i progetti non rimangano lettera morta. Lo Spirito Santo ci aiuti ad essere sempre pronti ad offrire in maniera fattiva e disinteressata il nostro apporto, perché la giustizia e una vita dignitosa non rimangano parole di circostanza, ma siano l’impegno concreto di chi intende testimoniare la presenza del Regno di Dio.
20. Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli. Le opere di misericordia sono “artigianali”: nessuna di esse è uguale all’altra; le nostre mani possono modellarle in mille modi, e anche se unico è Dio che le ispira e unica la “materia” di cui sono fatte, cioè la misericordia stessa, ciascuna acquista una forma diversa.
Le opere di misericordia, infatti, toccano tutta la vita di una persona. E’ per questo che possiamo dar vita a una vera rivoluzione culturale proprio a partire dalla semplicità di gesti che sanno raggiungere il corpo e lo spirito, cioè la vita delle persone. È un impegno che la comunità cristiana può fare proprio, nella consapevolezza che la Parola del Signore sempre la chiama ad uscire dall’indifferenza e dall’individualismo in cui si è tentati di rinchiudersi per condurre un’esistenza comoda e senza problemi. «I poveri li avete sempre con voi» (Gv 12,8), dice Gesù ai suoi discepoli. Non ci sono alibi che possono giustificare un disimpegno quando sappiamo che Lui si è identificato con ognuno di loro.
La cultura della misericordia si forma nella preghiera assidua, nella docile apertura all’azione dello Spirito, nella familiarità con la vita dei santi e nella vicinanza concreta ai poveri. È un invito pressante a non fraintendere dove è determinante impegnarsi. La tentazione di fare la “teoria della misericordia” si supera nella misura in cui questa si fa vita quotidiana di partecipazione e condivisione. D’altronde, non dovremmo mai dimenticare le parole con cui l’apostolo Paolo, raccontando il suo incontro con Pietro, Giacomo e Giovanni, dopo la conversione, mette in risalto un aspetto essenziale della sua missione e di tutta la vita cristiana: «Ci pregarono soltanto di ricordarci dei poveri, ed è quello che mi sono preoccupato di fare» (Gal 2,10). Non possiamo dimenticarci dei poveri: è un invito più che mai attuale che si impone per la sua evidenza evangelica.
21. L’esperienza del Giubileo imprima in noi le parole dell’apostolo Pietro: «Un tempo eravate esclusi dalla misericordia; ora, invece, avete ottenuto misericordia» (1 Pt 2,10). Non teniamo gelosamente solo per noi quanto abbiamo ricevuto; sappiamo condividerlo con i fratelli sofferenti perché siano sostenuti dalla forza della misericordia del Padre. Le nostre comunità si aprano a raggiungere quanti vivono nel loro territorio perché a tutti giunga la carezza di Dio attraverso la testimonianza dei credenti.
Questo è il tempo della misericordia. Ogni giorno del nostro cammino è segnato dalla presenza di Dio che guida i nostri passi con la forza della grazia che lo Spirito infonde nel cuore per plasmarlo e renderlo capace di amare. È il tempo della misericordia per tutti e per ognuno, perché nessuno possa pensare di essere estraneo alla vicinanza di Dio e alla potenza della sua tenerezza. È il tempo della misericordia perché quanti sono deboli e indifesi, lontani e soli possano cogliere la presenza di fratelli e sorelle che li sorreggono nelle necessità. È il tempo della misericordia perché i poveri sentano su di sé lo sguardo rispettoso ma attento di quanti, vinta l’indifferenza, scoprono l’essenziale della vita. È il tempo della misericordia perché ogni peccatore non si stanchi di chiedere perdono e sentire la mano del Padre che sempre accoglie e stringe a sé.
Alla luce del “Giubileo delle persone socialmente escluse”, mentre in tutte le cattedrali e nei santuari del mondo si chiudevano le Porte della Misericordia, ho intuito che, come ulteriore segno concreto di questo Anno Santo straordinario, si debba celebrare in tutta la Chiesa, nella ricorrenza della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario, la Giornata mondiale dei poveri. Sarà la più degna preparazione per vivere la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo, il quale si è identificato con i piccoli e i poveri e ci giudicherà sulle opere di misericordia (cfr Mt 25,31-46). Sarà una Giornata che aiuterà le comunità e ciascun battezzato a riflettere su come la povertà stia al cuore del Vangelo e sul fatto che, fino a quando Lazzaro giace alla porta della nostra casa (cfr Lc 16,19-21), non potrà esserci giustizia né pace sociale. Questa Giornata costituirà anche una genuina forma di nuova evangelizzazione (cfr Mt 11,5), con la quale rinnovare il volto della Chiesa nella sua perenne azione di conversione pastorale per essere testimone della misericordia.
22. Su di noi rimangono sempre rivolti gli occhi misericordiosi della Santa Madre di Dio. Lei è la prima che apre la strada e ci accompagna nella testimonianza dell’amore. La Madre della Misericordia raccoglie tutti sotto la protezione del suo manto, come spesso l’arte l’ha voluta rappresentare. Confidiamo nel suo materno aiuto e seguiamo la sua perenne indicazione a guardare a Gesù, volto raggiante della misericordia di Dio.
Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 novembre,
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo,
dell’Anno del Signore 2016, quarto di pontificato.

FRANCESCO

 

 
[1] In Joh 33,5.
[2] Il Pastore di Erma, XLII, 1-4.
[3] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 27.
[4] Messale Romano, III Domenica di Quaresima.
[5] Ibid., Prefazio delle domeniche del Tempo Ordinario VII.
[6] Ibid., Preghiera eucaristica II.
[7] Ibid., Riti di comunione.
[8] Rito della Penitenza, n. 46.
[9] Sacramento dell’Unzione e cura pastorale degli infermi, n. 76.
[10] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Sacrosanctum Concilium, 106.
[11] Id., Cost. dogm. Dei Verbum, 2.
[12] Esort. ap. Evangelii gaudium, 142.
[13] Cfr Benedetto XVI, Esort. ap. postsin. Verbum Domini, 86-87.
[15] Cfr ibid.
[16] Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 1.
[17] Cfr ibid., 291-300.
[18] Messale Romano, Veglia Pasquale, Orazione dopo la Prima Lettura.
[19] Lett. enc. Lumen fidei, 50.
[20] Cfr Cipriano, L’unità della Chiesa cattolica, 7.

sabato 19 novembre 2016

CAPPELLA PAPALE
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Basilica Vaticana
Sabato, 19 novembre 2016



Il brano del Vangelo che abbiamo appena ascoltato (cfr Lc 6,27-36), molti lo hanno chiamato “il discorso della pianura”. Dopo l’istituzione dei Dodici, Gesù discese con i suoi discepoli dove una moltitudine lo aspettava per ascoltarlo e per farsi guarire. La chiamata degli Apostoli è accompagnata da questo “mettersi in cammino” verso la pianura, verso l’incontro con una moltitudine che, come dice il testo del Vangelo, era “tormentata” (cfr v. 18). L’elezione, invece di mantenerli in alto sulla montagna, sulla cima, li conduce al cuore della folla, li pone in mezzo ai suoi tormenti, sul piano della loro vita. In questo modo il Signore rivela a loro e a noi che la vera vetta si raggiunge nella pianura, e la pianura ci ricorda che la vetta si trova in uno sguardo e specialmente in una chiamata: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (v. 36).
Un invito accompagnato da quattro imperativi, potremmo dire da quattro esortazioni che il Signore rivolge loro per plasmare la loro vocazione nella concretezza, nella quotidianità dell’esistenza. Sono quattro azioni che daranno forma, daranno carne e renderanno tangibile il cammino del discepolo. Potremmo dire che sono quattro tappe della mistagogia della misericordia: amate, fate il bene, benedite e pregate. Penso che su questi aspetti tutti possiamo concordare e che ci risultino anche ragionevoli. Sono quattro azioni che facilmente realizziamo con i nostri amici, con le persone più o meno vicine, vicine nell’affetto, nei gusti, nelle abitudini.
Il problema sorge quando Gesù ci presenta i destinatari di queste azioni, e in questo è molto chiaro, non usa giri di parole né eufemismi. Amate i vostri nemici, fate il bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male (cfr vv. 27-28).
E queste non sono azioni che vengono spontanee con chi sta davanti a noi come un avversario, come un nemico. Di fronte ad essi, il nostro atteggiamento primario e istintivo è quello di squalificarli, screditarli, maledirli; in molti casi cerchiamo di “demonizzarli”, allo scopo di avere una “santa” giustificazione per toglierceli di torno. Al contrario, riguardo al nemico, a chi ti odia, ti maledice o ti diffama, Gesù ci dice: amalo, fagli del bene, benedicilo e prega per lui.
Ci troviamo di fronte a una delle caratteristiche più proprie del messaggio di Gesù, lì dove si nasconde la sua forza e il suo segreto; da lì proviene la sorgente della nostra gioia, la potenza della nostra missione e l’annuncio della Buona Notizia. Il nemico è qualcuno che devo amare. Nel cuore di Dio non ci sono nemici, Dio ha solo figli. Noi innalziamo muri, costruiamo barriere e classifichiamo le persone. Dio ha figli e non precisamente per toglierseli di torno. L’amore di Dio ha il sapore della fedeltà verso le persone, perché è un amore viscerale, un amore materno/paterno che non le lascia nell’abbandono, anche quando hanno sbagliato. Il Nostro Padre non aspetta ad amare il mondo quando saremo buoni, non aspetta ad amarci quando saremo meno ingiusti o perfetti; ci ama perché ha scelto di amarci, ci ama perché ci ha dato lo statuto di figli. Ci ha amato anche quando eravamo suoi nemici (cfr Rm 5,10). L’amore incondizionato del Padre verso tutti è stato, ed è, vera esigenza di conversione per il nostro povero cuore che tende a giudicare, dividere, opporre e condannare. Sapere che Dio continua ad amare anche chi lo rifiuta è una fonte illimitata di fiducia e stimolo per la missione. Nessuna mano sporca può impedire che Dio ponga in quella mano la Vita che desidera regalarci.
La nostra è un’epoca caratterizzata da forti problematiche e interrogativi su scala mondiale. Ci capita di attraversare un tempo in cui risorgono epidemicamente, nelle nostre società, la polarizzazione e l’esclusione come unico modo possibile per risolvere i conflitti. Vediamo, ad esempio, come rapidamente chi sta accanto a noi non solo possiede lo status di sconosciuto o di immigrante o di rifugiato, ma diventa una minaccia, acquista lo status di nemico. Nemico perché viene da una terra lontana o perché ha altre usanze. Nemico per il colore della sua pelle, per la sua lingua o la sua condizione sociale, nemico perché pensa in maniera diversa e anche perché ha un’altra fede. Nemico per… E, senza che ce ne rendiamo conto, questa logica si installa nel nostro modo di vivere, di agire e di procedere. Quindi, tutto e tutti cominciano ad avere sapore di inimicizia. Poco a poco le differenze si trasformano in sintomi di ostilità, minaccia e violenza. Quante ferite si allargano a causa di questa epidemia di inimicizia e di violenza, che si imprime nella carne di molti che non hanno voce perché il loro grido si è indebolito e ridotto al silenzio a causa di questa patologia dell’indifferenza! Quante situazioni di precarietà e di sofferenza si seminano attraverso questa crescita di inimicizia tra i popoli, tra di noi! Sì, tra di noi, dentro le nostre comunità, i nostri presbiteri, le nostre riunioni. Il virus della polarizzazione e dell’inimicizia permea i nostri modi di pensare, di sentire e di agire. Non siamo immuni da questo e dobbiamo stare attenti perché tale atteggiamento non occupi il nostro cuore, perché andrebbe contro la ricchezza e l’universalità della Chiesa che possiamo toccare con mano in questo Collegio Cardinalizio. Proveniamo da terre lontane, abbiamo usanze, colore della pelle, lingue e condizioni sociali diversi; pensiamo in modo diverso e celebriamo anche la fede con riti diversi. E niente di tutto questo ci rende nemici, al contrario, è una delle nostre più grandi ricchezze.
Cari fratelli, Gesù non cessa di “scendere dal monte”, non cessa di voler inserirci nel crocevia della nostra storia per annunciare il Vangelo della Misericordia. Gesù continua a chiamarci e ad inviarci nella “pianura” dei nostri popoli, continua a invitarci a spendere la nostra vita sostenendo la speranza della nostra gente, come segni di riconciliazione. Come Chiesa, continuiamo ad essere invitati ad aprire i nostri occhi per guardare le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della loro dignità, privati nella loro dignità.
Caro fratello neo Cardinale, il cammino verso il cielo inizia nella pianura, nella quotidianità della vita spezzata e condivisa, di una vita spesa e donata. Nel dono quotidiano e silenzioso di ciò che siamo. La nostra vetta è questa qualità dell’amore; la nostra meta e aspirazione è cercare nella pianura della vita, insieme al Popolo di Dio, di trasformarci in persone capaci di perdono e di riconciliazione.
Caro fratello, oggi ti si chiede di custodire nel tuo cuore e in quello della Chiesa questo invito ad essere misericordioso come il Padre, sapendo che «se c’è qualcosa che deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 49).

mercoledì 16 novembre 2016

PAPA FRANCESCO
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 16 novembre 2016


Sopportare pazientemente le persone moleste
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Dedichiamo la catechesi di oggi a un’opera di misericordia che tutti conosciamo molto bene, ma che forse non mettiamo in pratica come dovremmo: sopportare pazientemente le persone moleste. Siamo tutti molto bravi nell’identificare una presenza che può dare fastidio: succede quando incontriamo qualcuno per la strada, o quando riceviamo una telefonata... Subito pensiamo: “Per quanto tempo dovrò sentire le lamentele, le chiacchiere, le richieste o le vanterie di questa persona?”. Succede anche, a volte, che le persone fastidiose sono quelle più vicine a noi: tra i parenti c’è sempre qualcuno; sul posto di lavoro non mancano; e neppure nel tempo libero ne siamo esenti. Che cosa dobbiamo fare con le persone moleste? Ma anche noi tante volte siamo molesti agli altri. Perché tra le opere di misericordia è stata inserita anche questa? Sopportare pazientemente le persone moleste?
Nella Bibbia vediamo che Dio stesso deve usare misericordia per sopportare le lamentele del suo popolo. Ad esempio nel libro dell’Esodo il popolo risulta davvero insopportabile: prima piange perché è schiavo in Egitto, e Dio lo libera; poi, nel deserto, si lamenta perché non c’è da mangiare (cfr 16,3), e Dio manda le quaglie e la manna (cfr 16,13-16), ma nonostante questo le lamentele non cessano. Mosè faceva da mediatore tra Dio e il popolo, e anche lui qualche volta sarà risultato molesto per il Signore. Ma Dio ha avuto pazienza e così ha insegnato a Mosè e al popolo anche questa dimensione essenziale della fede.
Viene quindi spontanea una prima domanda: facciamo mai l’esame di coscienza per vedere se anche noi, a volte, possiamo risultare molesti agli altri? È facile puntare il dito contro i difetti e le mancanze altrui, ma dobbiamo imparare a metterci nei panni degli altri.
Guardiamo soprattutto a Gesù: quanta pazienza ha dovuto avere nei tre anni della sua vita pubblica! Una volta, mentre era in cammino con i discepoli, fu fermato dalla madre di Giacomo e Giovanni, la quale gli disse: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno» (Mt 20,21). La mamma faceva la lobby per i suoi figli, ma era la mamma … Anche da quella situazione Gesù prende spunto per dare un insegnamento fondamentale: il suo non è un regno di potere, non è un regno di gloria come quelli terreni, ma di servizio e donazione agli altri. Gesù insegna ad andare sempre all’essenziale e a guardare più lontano per assumere con responsabilità la propria missione. Potremmo vedere qui il richiamo ad altre due opere di misericordia spirituale: quella di ammonire i peccatori e quella di insegnare agli ignoranti. Pensiamo al grande impegno che si può mettere quando aiutiamo le persone a crescere nella fede e nella vita. Penso, ad esempio, ai catechisti – tra i quali ci sono tante mamme e tante religiose – che dedicano tempo per insegnare ai ragazzi gli elementi basilari della fede. Quanta fatica, soprattutto quando i ragazzi preferirebbero giocare piuttosto che ascoltare il catechismo!
Accompagnare nella ricerca dell’essenziale è bello e importante, perché ci fa condividere la gioia di gustare il senso della vita. Spesso ci capita di incontrare persone che si soffermano su cose superficiali, effimere e banali; a volte perché non hanno incontrato qualcuno che le stimolasse a cercare qualcos’altro, ad apprezzare i veri tesori. Insegnare a guardare all’essenziale è un aiuto determinante, specialmente in un tempo come il nostro che sembra aver perso l’orientamento e inseguire soddisfazioni di corto respiro. Insegnare a scoprire che cosa il Signore vuole da noi e come possiamo corrispondervi significa mettere sulla strada per crescere nella propria vocazione, la strada della vera gioia. Così le parole di Gesù alla madre di Giacomo e Giovanni, e poi a tutto il gruppo dei discepoli, indicano la via per evitare di cadere nell’invidia, nell’ambizione, nell’adulazione, tentazioni che sono sempre in agguato anche tra noi cristiani. L’esigenza di consigliare, ammonire e insegnare non ci deve far sentire superiori agli altri, ma ci obbliga anzitutto a rientrare in noi stessi per verificare se siamo coerenti con quanto chiediamo agli altri. Non dimentichiamo le parole di Gesù: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Lc 6,41). Lo Spirito Santo ci aiuti ad essere pazienti nel sopportare e umili e semplici nel consigliare.

venerdì 11 novembre 2016

PAPA FRANCESCO VISITA  7 FAMIGLIE DI SACERDOTI SPOSATI

Oggi pomeriggio il Papa si è recato alla periferia di Roma per incontrare sette famiglie di sacerdoti che, dopo aver lasciato il ministero sacerdotale, si sono sposati. E' stato un grande gesto di tenerezza e di affetto di Francesco nei confronti di tutti quei preti che, per vari motivi, hanno deciso di lasciare il sacerdozio. Da quello che si è appreso quattro di loro sono della diocesi di Roma, uno di Madrid, uno dell'America Latina e uno della Sicilia. Con questo incontro, il Papa, ha concluso gli appuntamenti dei cosiddetti <Venerdì della misericordia> voluti in questo Anno Giubilare  La Sala Stampa della Santa Sede ha comunicato che: «i bambini si sono raccolti intorno al Pontefice per abbracciarlo, mentre i genitori non hanno trattenuto la commozione». La visita «del Santo Padre è stata fortemente apprezzata da tutti i presenti che hanno sentito non il giudizio del Papa sulla loro scelta, ma la sua vicinanza e l’affetto della sua presenza». Il Santo Padre «ha ascoltato le loro storie e ha seguito con attenzione le considerazioni che venivano fatte circa gli sviluppi dei procedimenti giuridici dei singoli casi. La sua parola paterna ha rassicurato tutti sulla sua amicizia e sulla certezza del suo interessamento personale». In questo modo, «ancora una volta, Francesco ha inteso dare un segno di misericordia a chi vive una situazione di disagio spirituale e materiale, evidenziando l’esigenza che nessuno si senta privato dell’amore e della solidarietà dei pastori»  (a cura di Antonino Legname).


giovedì 10 novembre 2016

NELL'OMELIA DELLA MESSA NELLA CAPPELLA DELLA CASA "SANTA MARTA", IL 10 NOVEMBRE 2016, PAPA FRANCESCO HA SPIEGATO CHE LA RIVELAZIONE DI DIO SI E' CONCLUSA IN GESU' CRISTO E CI METTE IN GUARDIA DA TANTE COSE STRANE CHE SI CERCANO NELLA <RELIGIONE DELLO SPETTACOLO>:

Infatti «il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione e nessuno dirà “eccolo qui” oppure “eccolo là”». No, il regno di Dio «è in mezzo a voi: non è una religione dello spettacolo» per cui «sempre stiamo cercando cose nuove, rivelazioni, messaggi».
«Dio ha parlato in Gesù Cristo: questa è l’ultima parola di Dio» ha affermato il Papa. Il resto è «come i fuochi d’artificio che ti illuminano per un momento e poi cosa rimane? Niente, non c’è crescita, non c’è luce, non c’è niente: un istante». Però, ha riconosciuto Francesco, «tante volte siamo stati tentati da questa religione dello spettacolo di cercare cose strane alla rivelazione, alla mitezza del regno di Dio che è in mezzo a noi e cresce». E questa religione dello spettacolo «non è speranza: è la voglia di avere qualcosa in mano». Ma «la nostra salvezza — ha spiegato — si misura in speranza, la speranza che ha l’uomo che semina il grano o la donna che prepara il pane, mescolando lievito e farina: la speranza che cresca». Invece «questa luminosità artificiale è tutta in un istante e poi svanisce, come i fuochi d’artificio: non servono per illuminare una casa, è uno spettacolo».

martedì 8 novembre 2016

PAPA FRANCESCO
MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
DOMUS SANCTAE MARTHAE
Servi liberi
Martedì, 8 novembre 2016

(da: www.osservatoreromano.va)
Servo ma libero, figlio e non schiavo: è questo l’aspetto dell’identità del cristiano approfondito da Papa Francesco nell’omelia della messa celebrata a Santa Marta nella mattina di martedì 8 novembre.
Punto di partenza della riflessione è stato il brano del Vangelo di Luca (17, 7-10) nel quale Gesù afferma: «Siamo servi inutili». Ma cosa significa questa espressione?
Per aiutare la comprensione, il Pontefice ha attinto da un altro elemento della liturgia quotidiana, la preghiera della colletta, nella quale, ha ricordato, «abbiamo pregato chiedendo tre grazie», ovvero: «Allontana, Signore, ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te, perché nella serenità del corpo e dello spirito possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio». Un’orazione nella quale sono riassunti i passi necessari per raggiungere la giusta dimensione del servizio, che è quella di essere «servi inutili».
Innanzitutto, ha detto il Papa, «la prima cosa che abbiamo chiesto è che il Signore allontani gli ostacoli, per servirlo bene, per servirlo liberamente, come figli». Dei tanti ostacoli che un cristiano può trovare sul suo cammino e che «impediscono di diventare servi», se ne possono ricordare almeno due. Uno è, sicuramente, «la voglia di potere». Una difficoltà comune, che si incontra facilmente nella vita quotidiana: quante volte, ha esemplificato Francesco, «forse a casa nostra» c’è chi dice: «Qui comando io!», o quante volte, anche «senza dirlo», abbiamo fatto sentire agli altri questa nostra «voglia di potere»? Invece Gesù «ci ha insegnato che colui che comanda diventi come colui che serve» e che «se uno vuole essere il primo, sia il servitore di tutti». Gesù, cioè, «capovolge i valori della mondanità, del mondo».
Ecco perché la voglia di potere «non è la strada per diventare un servo del Signore, anzi: è un ostacolo, uno di questi ostacoli che abbiamo pregato il Signore di allontanare da noi».
C’è poi un altro ostacolo, che si può riscontrare «anche nella vita della Chiesa», ed è «la slealtà». Lo incontriamo «quando qualcuno vuol servire il Signore ma anche serve altre cose che non sono il Signore». Eppure, ha ricordato il Pontefice, Gesù «ci ha detto che nessun servo può avere due padroni: o serve Dio o serve il denaro». E la slealtà, ha sottolineato, «non è lo stesso di essere peccatore». Infatti «tutti siamo peccatori, e ci pentiamo di questo», ma essere sleali è «come fare il doppio gioco». E questo «è un ostacolo». Quindi, «quello che ha voglia di potere e quello che è sleale, difficilmente può servire, diventare servo libero del Signore».
Proseguendo lungo il filo della meditazione, il Papa è passato alla seconda parte della colletta. Dopo aver chiesto al Signore di allontanare gli ostacoli, la preghiera prosegue: «... perché — seconda domanda — nella serenità del corpo e dello spirito» possiamo dedicarci al servizio. La seconda parola chiave è, quindi, «serenità», cioè «servire il Signore in pace». Ha infatti spiegato Francesco: «gli ostacoli — sia la voglia di potere, sia la slealtà — tolgono la pace e ti portano a quel prurito del cuore di non essere in pace, sempre ansioso, male... senza pace». Un’insoddisfazione «che ci porta a vivere in quella tensione della vanità mondana, vivere per apparire». Così si vede tanta gente che «vive soltanto per essere in vetrina, per apparire, perché dicano: “Ah, che buono che è...”, per la fama, fama mondana». Ma così «non si può servire il Signore». Ecco dunque che «chiediamo al Signore di togliere gli ostacoli perché nella serenità, sia del corpo sia dello spirito» — e qui passiamo al terzo elemento — possiamo «dedicarci liberamente al suo servizio».
È «libertà» la terza parola chiave. Perché, ha detto il Papa, «il servizio di Dio è libero: noi siamo figli, non schiavi. E servire Dio in pace, con serenità, quando lui stesso ha tolto da noi gli ostacoli che tolgono la pace e la serenità, è servirlo con libertà». Non a caso, ha aggiunto, «quando noi serviamo il Signore con libertà, sentiamo quella pace ancora più profonda». Ed è come risentire la voce del Signore che dice: «Vieni, vieni, vieni, servo buono e fedele!».
Per far questo, però, «abbiamo bisogno della sua grazia: da soli, non possiamo». Ma, ha precisato il Pontefice, non è che quando «noi arriviamo a questo stato di servizio libero, di figli, con il Padre, possiamo dire: “Siamo buoni servitori del Signore». Piuttosto va detto semplicemente «servi inutili». Espressione che vuole indicare «l’inutilità del nostro lavoro: da soli, non possiamo». Perciò, ha spiegato Papa Francesco, dobbiamo soltanto «chiedere e fare spazio» affinché Dio «ci trasformi in servi liberi, in figli, non in schiavi».
Da qui la preghiera conclusiva: «Che il Signore ci aiuti ad aprire il cuore e a lasciare lavorare lo Spirito Santo, perché tolga da noi questi ostacoli, soprattutto la voglia di potere che fa tanto male, e la slealtà, la doppia faccia», e ancora «ci dia questa serenità, questa pace per poterlo servire come figlio libero che alla fine, con tanto amore» dice al Signore: «Padre, grazie, ma tu sai: sono un servo inutile».

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