Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL, 30, 5)

lunedì 30 ottobre 2017

Francesco: «PER CAPIRE "AMORIS LAETITIA" BISOGNA LEGGERLA DA CIMA A FONDO».

FARE TEOLOGIA IN GINOCCHIO
Francesco: «Su Amoris laetitia sento molti commenti - rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati»



Antonino Legname

In diverse occasioni Papa Francesco ha detto che non si può fare vera teologia a tavolino, in maniera astratta, senza tener conto della realtà. I teologi devono dialogare sempre con la vita reale della gente, altrimenti rischiano di costruire una teologia ideale e disincarnata. La Civiltà Cattolica nel Quaderno 4015 (pp. 3-10), ha riportato l'incontro privato di Papa Francesco con i Gesuiti della Colombia, che si è svolto a Cartagena de Indias il 10 settembre 2017. In quell'occasione il Pontefice ha ricordato tra l'altro che «la teologia di Gesù era la cosa più reale di tutte, partiva dalla realtà e si innalzava fino al Padre. Partiva da un semino, da una parabola, da un fatto … e li spiegava». Senza giri di parole, Francesco ha tracciato un breve profilo del buon teologo: «oltre a studiare», deve essere un tipo sveglio che sa cogliere la realtà e sa «riflettere in ginocchio». E sulla capacità di pregare si qualifica il lavoro del teologo «Un uomo che non prega, una donna che non prega, non può essere teologo o teologa» - ha detto Bergoglio ai suoi confratelli gesuiti. A che serve conoscere a memoria tutte le verità dogmatiche contenute nel volume del Denzinger, quando non si riesce ad esprimere la propria personale esperienza di Dio? Come fai a spiegare i misteri della fede senza che tu ne abbia fatto l'esperienza per grazia di Dio. Francesco coglie l'occasione di questo incontro con i Gesuiti della Colombia per dire: «sento molti commenti – rispettabili, perché detti da figli di Dio, ma sbagliati – sull’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia», e dà un consiglio assai utile: «bisogna leggerla da cima a fondo. A cominciare dal primo capitolo, per continuare col secondo e così via … e riflettere. E leggere che cosa si è detto nel Sinodo». E a chi continua a seminare la zizzania del dubbio sulla cattolicità della morale del documento pontificio post-sinodale, Papa Francesco ribadisce con chiarezza: «la morale dell’Amoris laetitia è tomista, quella del grande Tommaso … Questo voglio dirlo perché aiutiate le persone che credono che la morale sia pura casistica. Aiutatele a rendersi conto che il grande Tommaso possiede una grandissima ricchezza, capace ancora oggi di ispirarci. Ma in ginocchio, sempre in ginocchio». Il Papa, inoltre, chiede ai Pastori di superare la vecchia concezione di stampo liberale e illuminista di fare evangelizzazione «per» il popolo, «verso» il popolo, ma «senza» il popolo. No, - ha detto Francesco - l'evangelizzazione deve essere fatta «con il popolo». La realtà del santo popolo fedele di Dio non è ideologica, ma è viva; e in questa vitalità del popolo si manifesta la grazia di Dio.

mercoledì 18 ottobre 2017

LA NOSTRA SPERANZA DAVANTI ALLA MORTE

PER VINCERE LA PAURA DELLA MORTE
Papa Francesco: “Siamo tutti piccoli e indifesi davanti al mistero della morte”



di Antonino Legname

«La morte mette a nudo la nostra vita. Ci fa scoprire che i nostri atti di orgoglio, di ira e di odio erano vanità: pura vanità. Ci accorgiamo con rammarico di non aver amato abbastanza e di non aver cercato ciò che era essenziale». Nella Catechesi dell'Udienza Generale di Mercoledì 18 settembre 2017, Papa Francesco ha voluto «mettere a confronto la speranza cristiana con la realtà della morte, una realtà che la nostra civiltà moderna tende sempre più a cancellare». Da che mondo è mondo l'uomo ha sempre cercato di dare delle risposte, più o meno convincenti, alle inquietanti domande esistenziali, anche per tentare di trovare un senso all'esperienza naturale della morte, che coinvolge, prima o poi, tutti gli esseri viventi. Nelle varie civiltà la paura della morte è stata esorcizzata in tanti modi, ma il mistero rimane. «Civiltà prima della nostra - ha ricordato il Papa - hanno avuto il coraggio di guardarla in faccia». Studiando la storia delle civiltà antiche abbiamo imparato che «i primi segni di civilizzazione umana sono transitati proprio attraverso questo enigma. Potremmo dire che l’uomo è nato con il culto dei morti». Ma come prepararsi alla morte? Il Pontefice evidenzia che, purtroppo, “quando la morte arriva, per chi ci sta vicino o per noi stessi, ci troviamo impreparati, privi anche di un “alfabeto” adatto per abbozzare parole di senso intorno al suo mistero». È troppo evidente la caducità e la precarietà della vita su questa terra. I giorni, i mesi e gli anni scorrono inesorabilmente, sono come un soffio. Papa Francesco ricorda il salmo 90 che recita: «Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio» (v. 12)». 


Contare i giorni che passano, cioè cominciare a fare il conto alla rovescia, non significa vivere nell'angoscia e nella paura l'attesa della nostra futura morte, ma ci aiuta a vivere con più responsabilità ogni istante della nostra vita e a relativizzare tante cose umane e materiali che spesso consideriamo come degli assoluti. Ricordiamoci che «passa la scena di questo mondo». La fede è una grande luce che illumina il mistero della morte. «Abbi fede», continua a dire Gesù a coloro che sono provati dalla sofferenza o dalla morte delle persone care. «Piangi», ma non perdere la speranza! Dai Vangeli sappiamo che Gesù, di fronte alla morte dell'amico Lazzaro, «scoppiò in pianto». Ma la sua presenza riaccese la fiamma della speranza nel cuore di coloro che piangevano per la morte della persona cara: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi tu questo?» (Gv 11,25-26). 



Queste parole di Gesù, cariche di speranza, risuonano ancora oggi per «ognuno di noi, ogni volta che la morte viene a strappare il tessuto della vita e degli affetti. Tutta la nostra esistenza si gioca qui, tra il versante della fede e il precipizio della paura”. E quando ci sentiamo grandi e confidiamo troppo nella sicurezza dei beni materiali, che sono a nostra disposizione, il Pontefice, ci ricorda che siamo tutti piccoli e indifesi davanti al mistero della morte». Quando le cose effimere di questo mondo vengono viste dal letto della morte ci appaiono relativizzate. E quando non riusciamo a vivere con sereno distacco dalle cose umane il nostro pellegrinaggio terreno, chiudiamo gli occhi - consiglia Francesco - e pensiamo al momento della nostra morte: «ognuno si immagini quel momento che avverrà, quando Gesù ci prenderà per mano e ci dirà: “Vieni, vieni con me, alzati”. Lì finirà la speranza e sarà la realtà, la realtà della vita».

sabato 7 ottobre 2017

IL PRETE DEVE RISVEGLIARE IL DESIDERIO DI DIO NEL CUORE DELL'UOMO

LA BOTTEGA DEL «VASAIO»
Francesco: «Il popolo è capace di gesti sorprendenti di attenzione e di tenerezza verso i suoi preti»


 di Antonino Legname

«Il rinnovamento della fede e il futuro delle vocazioni è possibile solo se abbiamo preti ben formati». Con queste parole Papa Francesco si è rivolto ai Partecipanti al Convegno Internazionale promosso dalla Congregazione per il Clero, il 7 ottobre 2017. Il Pontefice utilizza l'immagine del «Vasaio», con la «V» maiuscola, per far capire che «è Dio l’artigiano paziente e misericordioso della nostra formazione sacerdotale». Francesco spiega che la formazione dei sacerdoti «non si risolve in qualche aggiornamento culturale o qualche sporadica iniziativa locale». È necessario anzitutto lasciarsi plasmare e trasformare da Dio, e questo sarà possibile solo se «ci distacchiamo dalle nostre comode abitudini, dalle rigidità dei nostri schemi e dalla presunzione di essere già arrivati». Il prete che si ritiene un'opera compiuta e non sente la necessità di lasciarsi «formare dal Signore» rischia di diventare un «prete spento, che si trascina nel ministero per inerzia, senza entusiasmo per il Vangelo né passione per il Popolo di Dio». Francesco esorta i pastori e coloro che si preparano a diventare preti a preferire il silenzio e la preghiera al rumore delle ambizioni umane. Inoltre, ha avvertito il Pontefice, il ministero diventa sterile quando si confida più nelle proprie opere e attività, piuttosto che lasciarsi trasformare dalla creatività del «Vasaio» divino. Il prete e il seminarista - ha consigliato Francesco - devono lasciarsi «guidare da una salutare inquietudine del cuore, così da orientare la propria incompiutezza verso la gioia dell’incontro con Dio e con i fratelli». Il Vescovo di Roma insiste nel dire che per avere sacerdoti ben formati i Vescovi e i formatori devono scendere spesso nella «bottega del Vasaio». Le tante sfide del mondo d'oggi richiedono una formazione all'altezza dei tempi; «la Chiesa ha bisogno di preti capaci di annunciare il Vangelo con entusiasmo e sapienza, di accendere la speranza là dove le ceneri hanno ricoperto le braci della vita, e di generare la fede nei deserti della storia». Ancora una volta il Papa focalizza la necessità di una Chiesa in uscita verso il Popolo di Dio, capace di toccare le tante ferite della gente. «Se al Pastore è affidata una porzione di popolo, è anche vero che al popolo è affidato il sacerdote». È vero che a volte ci sono resistenze e incomprensioni della gente nei confronti dei preti, ma «se camminiamo in mezzo al popolo e ci spendiamo con generosità, ci accorgeremo che esso è capace di gesti sorprendenti di attenzione e di tenerezza verso i suoi preti». Di questo è fermamente convinto Papa Francesco, quando dice anche che «il prete deve stare tra Gesù e la gente» e deve imparare ad evitare due rischi: quello di rifugiarsi in una spiritualità disincarnata e quello di immergersi negli impegni mondani senza Dio. La domanda che deve scavare dentro, quando ci si lascia plasmare dal «Vasaio» è: «Che prete desidero essere?».  Francesco aiuta a dare la risposta, domandando: voglio essere «un “prete da salotto”, uno tranquillo e sistemato, oppure un discepolo missionario a cui arde il cuore per il Maestro e per il Popolo di Dio? Uno che si adagia nel proprio benessere o un discepolo in cammino? Un tiepido che preferisce il quieto vivere o un profeta che risveglia nel cuore dell’uomo il desiderio di Dio?».

giovedì 5 ottobre 2017

UN POPOLO SENZA RADICI È AMMALATO

LA GRAZIA DELLE LACRIME
Francesco: «In cammino per incontrarci con le nostre radici»



di Antonino Legname

Nella Meditazione della Messa a “Santa Marta”, Papa Francesco si è soffermato a riflettere sulla tristezza che provoca la nostalgia, fino alle lacrime. Prendendo lo spunto dalla prima Lettura della Messa del giorno e dal pianto di Neemia, per la situazione del popolo d'Israele esiliato e triste, il Papa ha colto la situazione di nostalgia che oggi vivono i tanti migranti, lontani dalla loro patria e dalle loro radici. Non è possibile vivere senza radici - ha detto Francesco - «un popolo senza radici o che lascia perdere le radici, è un popolo ammalato». La stessa cosa si può dire di «una persona senza radici, che ha dimenticato le proprie radici, è ammalata». Per guarire da questa patologia, i cui sintomi sono la tristezza e la nostalgia, occorre «riscoprire le proprie radici e prendere la forza per andare avanti, la forza per dare frutto». Purtroppo, lamenta il Papa, ci sono coloro che fanno resistenze e preferiscono vivere in esilio, non solo in quello fisico e geografico, ma anche in quello «psicologico», che «fa tanto male, toglie le radici, ci toglie l’appartenenza». Non bisogna avere paura di piangere - ha detto il Papa - perché chi ha paura di piangere, avrà anche la paura di ridere; invece quando si piange di tristezza, dopo si piangerà di gioia, come recita il Salmo 25: “Chi semina nelle lacrime, mieterà con giubilo”. E allora - consiglia - Francesco - chiediamo al Signore la grazia del pianto, di quello che è triste per i peccati e di quello che gioisce, dopo il pentimento, per il perdono ricevuto; e tutti dobbiamo guardare avanti e metterci, «in cammino per incontrarci con le nostre radici».

martedì 3 ottobre 2017

«LA CHIESA È DI TUTTI, PARTICOLARMENTE DEI POVERI»



IL GESTO DI SAN PETRONIO
Francesco a pranzo con i poveri: «Siete al centro di questa casa»



 di Antonino Legname

Verrà ricordato come «il gesto di San Petronio». Pranzando con i poveri, i rifugiati, i detenuti dentro la maestosa Basilica di San Petronio a Bologna, il 1° ottobre 2017, Papa Francesco ha voluto esprimere in maniera tangibile la centralità dei poveri nella Chiesa, che è la casa di tutti, specialmente degli esclusi e di chi vive ai margini della società. Non è così facile entrare nella logica del Vangelo che riserva un posto privilegiato agli ultimi. I poveri sono la carne di Cristo e per questo sono anche i privilegiati: «Siete al centro di questa casa. La Chiesa vi vuole al centro - ha ribadito il Pontefice - Non prepara un posto qualsiasi o diverso: al centro e assieme. La Chiesa è di tutti, particolarmente dei poveri. Siamo tutti degli invitati, solo per grazia». Nella stessa giornata, incontrando il clero e i seminaristi nella Cattedrale di San Pietro a Bologna, Francesco ha spiegato perché gli è piaciuto il pranzo con i poveri: «non tanto perché la lasagna fosse molto buona, ma mi è piaciuto perché c’era il popolo di Dio, anche i più poveri, lì, e i pastori erano lì, in mezzo al popolo di Dio». Già nel messaggio per la I Giornata Mondiale dei Poveri, il 13 giugno 2017, Francesco aveva detto che «se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri». Con il gesto di San Petronio, Papa Francesco ha voluto offrire, ancora una volta, la carezza e la vicinanza della Madre Chiesa ai suoi figli meno fortunati. Questa esperienza dovrebbe educare e sensibilizzare di più i cristiani alla condivisione come stile di vita. Come si fa a condividere la mensa del pane celeste senza condividere la mensa del pane terrestre? A chi riesce difficile capire il messaggio eloquente del pranzo con i poveri a San Petronio, l'arcivescovo di Bologna, Mons. Matteo Maria Zuppi, spiega:  «quello che è successo non significa desacralizzare anzi ci aiuta a capire ancora meglio e a sentire ancora più umana l’Eucarestia», che è la massima espressione della carità e della condivisione. Papa Francesco ci ricorda che nella preghiera che ci ha insegnato Gesù si dice: il «nostro» pane quotidiano; è il pane di tutti. 

 

I beni della terra devono essere condivisi e non accumulati. In un'intervista il Pontefice ha detto che, se citasse testualmente alcuni brani delle omelie dei Padri della Chiesa dei primi secoli, su come si devono trattare i poveri, qualcuno lo accuserebbe di marxismo. Forse abbiamo dimenticato le parole forti e sempre attuali del santo vescovo Giovanni Crisostomo: «Se volete onorare il corpo di Cristo, non disdegnatelo quando è nudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità». In tante occasioni, Papa Francesco ha ribadito che «questa attenzione per i poveri è nel Vangelo, ed è nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla». Quando il Papa esorta a vincere la «globalizzazione dell'indifferenza» non lo fa per interessi politici o per fini ideologici, ma per rispondere alla chiamata del Vangelo che spinge tutti gli uomini di buona volontà a costruire un mondo nuovo e solidale dove ci si prende cura l'uno dell'altro.

domenica 1 ottobre 2017

I GIOVANI DEVONO COLTIVARE «UNA SANA E UMANA UTOPIA»

I CANTIERI DELLA SPERANZA
Francesco: «Sogno un’Europa “universitaria e madre”»



di Antonino Legname

«Quanto sarebbe bello che le aule delle università fossero cantieri di speranza, officine dove si lavora a un futuro migliore, dove si impara a essere responsabili di sé e del mondo!» - ha detto Papa Francesco il 1° ottobre 2017, nel suo Discorso agli Studenti e al Mondo Accademico di Bologna. Il Pontefice ha spiegato che la parola universitas <contiene l’idea del tutto e quella della comunità> ed ha ricordato che l'università, per sua natura, ha un carattere universale, deve aiutare gli studenti a non aver paura dell'inclusione e a «sognare in grande»; i giovani non devono accontentarsi di «piccoli sogni». Bisogna imparare a coltivare con coraggio una «sana e umana utopia» che faccia sognare l'avvento di un «nuovo umanesimo europeo». Francesco ha ricordato che i giovani devono «sognare ad occhi aperti» spinti da due ideali: uno “verticale”, nella consapevolezza che «non si può vivere davvero senza elevare l’animo alla conoscenza, senza il desiderio di puntare verso l’alto; e l’altro “orizzontale”: la ricerca va fatta insieme, stimolando e condividendo buoni interessi comuni». Il Vescovo di Roma ha dato ai giovani una chiave per riuscire negli studi: «la ricerca del bene». Senza l'amore, i tesori della conoscenza e i diritti degli uomini e dei popoli mancherebbero di quell'ingrediente importante che dà sapore a tutto. Il Papa cita San Domenico, il quale, ad uno scolaro che gli chiedeva dove avesse studiato e imparato così bene la Sacra Scrittura, rispose: «Ho studiato nel libro della carità più che in altri; questo libro infatti insegna ogni cosa». Francesco ha proposto tre diritti che occorre promuovere e difendere nella società: il Diritto alla cultura, il diritto alla speranza, il diritto alla pace. Tali diritti oggi non sono così scontati. Viviamo in un mondo dove i modelli culturali che spesso vengono presentati ai giovani sono «condizionati da modelli di vita banali ed effimeri, che spingono a perseguire il successo a basso costo, screditando il sacrificio, inculcando l’idea che lo studio non serve se non dà subito qualcosa di concreto». C'è la tendenza a finalizzare lo studio al profitto economico redditizio ed immediato. Francesco ha detto ai giovani universitari che il loro compito è quello di «rispondere ai ritornelli paralizzanti del consumismo culturale con scelte dinamiche e forti, con la ricerca, la conoscenza e la condivisione». E li ha invitati a lottare «contro una pseudocultura che riduce l’uomo a scarto, la ricerca a interesse e la scienza a tecnica». E in merito al diritto alla speranza, il Papa ha spiegato che questo «è il diritto a non essere invasi quotidianamente dalla retorica della paura e dell’odio». Purtroppo, al giorno d'oggi siamo sommersi dal dilagante e inquietante fenomeno delle false notizie o delle frasi impregnate di populismo, che mortificano il diritto alla speranza. C'è un limite a tutto - ha detto il Papa - ci deve essere un «limite ragionevole alla cronaca nera, perché anche la “cronaca bianca”, spesso taciuta, abbia voce». E infine, c'è anche il diritto alla pace, «come diritto di tutti a comporre i conflitti senza violenza». Francesco ha ribadito con forza «mai più la guerra, mai più contro gli altri, mai più senza gli altri!». È molto bella e ricca di speranza la conclusione di Francesco: «Sogno un’Europa “universitaria e madre” che, memore della sua cultura, infonda speranza ai figli e sia strumento di pace per il mondo».

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