IL PAPA NON È UN “SUPERUOMO”
LA FORZA DELLA CHIESA È L'AMORE
di Antonino Legname
Il Papa non è un "superuomo", ma deve essere "super nell'amore" verso Dio e verso gli uomini. La forza della Chiesa è l'amore che lo Spirito Santo ha riversato nei nostri cuori! Noi crediamo la Chiesa Santa! Ma ogni cristiano potrebbe dire: «la Chiesa è santa anche se ci siamo dentro tutti noi che siamo
peccatori». Ricordo che in una delle prime interviste a Papa Francesco, il 19
agosto 2013, quando gli fu chiesto “Chi è Jorge Mario
Bergoglio? Il Papa rispose: «Non so quale possa essere la
definizione più giusta […] Io sono un peccatore. Questa
è la definizione più giusta. E non è un modo di dire, un genere letterario […]
Sono un peccatore al quale il Signore ha guardato». È vero che tutti siamo peccatori, ma
viviamo dentro una Chiesa Santa perché Cristo la santifica ogni giorno con i Sacramenti,
soprattutto con il suo Sacrificio Eucaristico. Pertanto, la grandezza della
Chiesa è nel riconoscere la sua umana piccolezza. La Chiesa è forza nella
debolezza, un misto di fallimenti umani e di misericordia divina. La Chiesa è
pura e santa in quanto Sposa di Cristo ed è peccatrice nei suoi figli;
riconoscere i peccati dei suoi figli non significa sconfessare la santità e la
purezza della madre, perché la santità della Madre Chiesa è più forte dei
peccati dei suoi figli. Purtroppo, la nostra società è ancora dominata dal mito
del “superuomo” e dalla “volontà di potenza” di nietzschiana memoria. Basta vedere i comportamenti, il linguaggio e gli atteggiamenti di certi uomini di governo nel panorama mondiale. Nel
nostro mondo malato di potere ci sono coloro che si credono “onnipotenti” e non
sarebbero dispiaciuti di poter prendere il posto di Dio. Al contrario, San Paolo
diceva: “mi vanterò ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la
potenza di Cristo […] Infatti quando sono debole, è allora che sono forte” (2
Cor 12, 9-10). Neppure Pietro era un “superuomo” e, nonostante il suo triplice
rinnegamento, Gesù gli affidò le Chiavi del Regno. Perché? “E allora Pietro,
uscito fuori, pianse amaramente” (Lc 22,62). Quello di Pietro è il pianto
dell’uomo che riconosce la propria colpa e si pente. Gesù accolse il sincero
pentimento di Pietro e cancellò quel grave peccato lavato nelle lacrime. Il nuovo Papa non sarà un “superuomo”, non sarà
uno che non ha sbagliato mai o non sbaglierà mai; ma sarà un uomo, preso tra gli
uomini, al quale il Signore ha chiesto un "di più" di amore: “Simone di
Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Il nuovo Papa dovrà essere anzitutto un uomo
dal cuore grande, esperto nelle cose divine e nelle cose umane; un uomo capace di abbracciare tutti con tenerezza e misericordia. Quale grande responsabilità! I Pastori
della Chiesa, specialmente coloro che sono chiamati a compiti e ad uffici assai gravosi, dovrebbero avere la stessa trepidazione e preoccupazione di Sant’Agostino,
che pianse durante la sua ordinazione sacerdotale per le difficoltà e i
pericoli che vedeva in tale ufficio! Agostino era assillato dalla
consapevolezza del grande peso che gli era stato caricato e avvertiva il senso
della sua inadeguatezza di fronte ad una missione così alta. Dovremmo evitare di vedere la Chiesa in senso “puritano”, come se fosse una Chiesa fatta
di santi. Non bisogna offrire al mondo un’immagine distorta e falsata di Chiesa
“pura” nei suoi membri, perché un eccesso di false aspettative condurrebbe inevitabilmente ad un eccesso di forti delusioni. L’allora cardinale Ratzinger scrisse
che «nella Chiesa l’atmosfera diventa angusta e soffocante, se i portatori del
ministero dimenticano che il sacramento non è una spartizione di potere, ma è
invece espropriazione di me stesso in favore di Colui, nella persona del quale
io devo parlare e agire». E papa Albino Luciani, Giovanni Paolo I, metteva in guardia dal pericolo
dell’ambizione perché può degenerare in grave malattia quando «per andare avanti,
calpestiamo gli altri a colpi di ingiustizie e di denigrazioni». Purtroppo, quando
diminuisce la fede nell’aldilà, aumenta l’interesse per l'aldiquà, per gli affari di questo
mondo. Come insegna Sant’Agostino “tutta la storia dell’uomo è una lotta tra
due amori: l’amore di sé stesso spinto fino al disprezzo di Dio e l’amore di
Dio spinto fino al disprezzo di sé”. A proposito della superbia e dell'ambizione che, come virus,
attaccano anche la vita degli ecclesiastici, papa Giovanni Paolo I ebbe a
confidare: «la verità è che cento volte ho fatto i funerali alla mia superbia,
illudendomi di averla messa due metri sottoterra, con tanto di requiescat,
e cento volte l’ho vista tornare su, più vispa di prima: ho sentito che le
critiche mi spiacevano ancora, che le lodi, viceversa, mi piacevano, che mi
preoccupava il giudizio degli altri su di me». Anche papa Francesco considerava
la superbia un peccato ripugnante: «credersi chissà chi. Quando mi è capitato
di essere io a credermi chissà chi ho provato una grande vergogna interiore e
ho chiesto perdono a Dio» e ricordava il consiglio di suo padre: «saluta la
gente mentre sali perché la incontrerai di nuovo quando scendi. Non essere
presuntuoso».