UBI PETRUS

Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL,30,5)

4 febbraio 2018

SANT'AGATA, CATANIA E I SUOI DEVOTI

IL POPOLO INSEGNA COME SI AMA AGATA
Papa Francesco: «Se perdiamo il contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità»


di Antonino Legname

C'è una vera e propria identificazione tra Catania e Sant'Agata. Dire Catania è dire Sant'Agata e viceversa. La religiosità del popolo catanese, in un certo senso, si identifica con la Santa Patrona Agata, Vergine e Martire. Possiamo dire che la «pietà» e la «spiritualità popolare» dei catanesi siano un modo legittimo di vivere la fede!? Papa Francesco sostiene che la «pastorale popolare» sia, non solo la chiave ermeneutica per comprendere meglio l'azione del Popolo di Dio che prega ed opera, ma anche un antidoto potente ed efficace contro la «pastorale clericale»; il «clericalismo», ancora molto diffuso nelle Comunità ecclesiali, può essere superato dalla «religione del popolo», cioè dalla «pietà popolare», che se ben orientata, purificata ed evangelizzata produce frutti abbondanti di bene e manifesta una vera e genuina presenza dello Spirito Santo, il quale “non è solo «proprietà» della gerarchia ecclesiale”. Se oggi la Chiesa vuole frenare l'avanzamento del secolarismo deve promuovere e sostenere la pietà popolare che è un vero e proprio canale di trasmissione della fede. La fede del popolo di Dio è una fede semplice ed essenziale. Tanti devoti di Sant'Agata, forse, non conoscono bene tutti i particolari della storia di Sant'Agata; ma per questo ci pensano i teologi e gli storici della Chiesa; loro ti spiegheranno chi è e cosa ha fatto Agata. Ma, se tu vuoi sapere come si ama Agata, devi andare in mezzo al popolo di Dio che te lo insegnerà meglio e bene. Pertanto, occorre ascoltare di più la saggezza del Popolo dei devoti, imparando a valorizzare la pietà popolare della nostra gente che possiede la capacità di comprendere il Vangelo. La chiave per entrare nel cuore dell'umanesimo cristiano popolare è la vicinanza alla gente; «se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio - ha detto Papa Francesco - perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte».
S.E. Mons. Salvatore Gristina con la reliquia del velo di S.Agata

Francesco esorta i Pastori della Chiesa «ad ascoltare il Popolo di Dio»; e il modo più giusto è quello di «scalzarsi» dei pregiudizi e dei razionalismi, e di non lasciarsi incasellare dagli schemi funzionali; e, inoltre, bisogna imparare a conoscere in che modo «lo Spirito agisce nel cuore di tanti uomini e donne che con grande vigore non smettono di lottare per rendere credibile il Vangelo». Per sottolineare il legame forte che deve esserci tra il Pastore e il suo Gregge, il Papa racconta che un giorno un Vescovo si trovava nella metro all'ora di punta: “c’era talmente tanta gente che non sapeva più dove mettere la mano per reggersi. Spinto 
a destra e a sinistra, si appoggiava alle persone per non cadere. E così ha pensato che, oltre la preghiera, quello che fa stare in piedi un vescovo, è la sua gente”. Il Popolo di Dio possiede quel «fiuto» per individuare e percorrere le strade nuove che lo Spirito Santo apre nel cammino ecclesiale. Bisogna mettersi in ascolto umile e fiducioso della nostra gente ed è cosa buona riconoscere e valorizzare sempre di più la pietà popolare del popolo, perché ogni battezzato ha ricevuto il dono di comprendere il Vangelo e può contribuire ad arricchire il «deposito della fede». In questo senso, i Pastori della Chiesa ricevono dai fedeli laici nuovi impulsi pastorali e linfa per il nutrimento della fede, e per questo motivo non devono sottovalutare o mortificare la religiosità popolare declassandola a superstizione o a semplice folclore. Ovviamente, ci sono ancora molti aspetti della festa che devono essere attenzionati e purificati; non possiamo negare, però, che in questi decenni, le autorità religiose e civili della nostra città hanno fatto e continuano a fare tanti sforzi per migliorare questa grande manifestazione di fede e di devozione popolare. Se vogliamo che la festa di Sant'Agata diventi la «festa del Popolo di Dio» occorre mettere in pratica con più determinazione l'esortazione di Papa Francesco: “sia tutto il popolo di Dio ad annunciare il Vangelo, popolo e pastori, intendo … Popolo e Pastori insieme». La festa di Sant'Agata è l'abbraccio di amore e di devozione del popolo di Dio alla sua santa Patrona.
E allora, gridiamo tutti con vera fede: "Cittadini, devoti tutti, Viva sant'Agata!"


1 febbraio 2018

LA PEDAGOGIA DELLA BUONA MORTE

PER VIVERE BENE CONTA I TUOI GIORNI
Papa Francesco: «Io non sono il padrone del tempo;c’è un fatto: io morirò!»


di Antonino Legname
 
Dobbiamo imparare a contare i nostri giorni per giungere alla sapienza del cuore - ci insegna la Bibbia (cfr Salmo 89,12). Ci aiuta a vivere bene il saper guardare la vita dal letto della morte. Nella Meditazione della Messa a Santa Marta, il 1° febbraio 2018, Papa Francesco ci ricorda che «noi non siamo né eterni né effimeri: siamo uomini e donne in cammino nel tempo, tempo che incomincia e tempo che finisce». Il Pontefice propone tre idee: «la morte è un fatto, la morte è un’eredità e la morte è una memoria». Se c'è una certezza nella vita è il fatto che bisogna morire. La morte è un evento universale che prima o poi coinvolge tutti gli esseri viventi. Siamo in cammino verso la meta che si chiama morte. Da questa consapevolezza scaturisce l'esigenza di capire qualcosa in più di questo mistero; e la Chiesa da sempre aiuta gli uomini a riflettere per dare un senso alla morte. Francesco ricorda che quando era in seminario gli facevano fare «l'esercizio della buona morte», cioè lo aiutavano a meditare sulla fine della vita e sulla caducità di tutto ciò che è umano e materiale. Il pensiero della morte serve a ridimensionare la nostra volontà di potenza: «io non sono il padrone del tempo - ci ricorda il Papa - c’è un fatto: io morirò. Quando? Dio lo sa». Ma sicuramente «morirò». La certezza di dover morire non deve farci paura, ma deve responsabilizzarci per vivere meglio, con sano realismo e senza illusioni. Francesco riferisce che, quando era bambino, una delle prime cose che ha imparato a leggere, grazie a sua nonna, era un cartello che lei aveva sotto lo specchio del comodino, e che diceva: «Pensa che morirai e tu non sai quando». In altre parole, come si dice in latino: «mors certa, hora incerta». Pensando alla morte è cosa buona domandarsi: «quale eredità lascerò?». Papa Francesco dice che l'eredità più bella è quella della testimonianza della vita. Anche se sei stato un grande peccatore, ma sei un «grande pentito», puoi essere santo. In qualche occasione il Vescovo di Roma ha detto che non c'è Santo che non abbia un passato di peccato e non c'è peccatore che non abbia un futuro di santità. Nessuno, infatti, è irrimediabilmente legato al proprio passato di peccato. Infine, Francesco annota che non servono gli elogi funebri e i panegirici davanti al morto: «È vero che se noi andiamo ad una veglia funebre, il morto sempre era santo», tanto che - dice Francesco con una battuta - «ci sono due posti per canonizzare la gente: piazza San Pietro e le veglie funebri, perché sempre è un santo e perché non ti minaccia più». Il Papa ha concluso esortando tutti a prepararsi bene alla morte, proprio perché nessuno di noi resterà sulla terra come una «reliquia».


31 gennaio 2018

PER NUTRIRSI ALLA MENSA DELLA PAROLA DI DIO

È POSSIBILE ASCOLTARE DIO «IN DIRETTA»!

Papa Francesco: «Il percorso che fa la Parola di Dio: dalle orecchie al cuore e alle mani».



di Antonino Legname

Quando durante la Messa ci mettiamo in ascolto delle Letture Bibliche, è Dio stesso che ci parla: «è un’esperienza che avviene “in diretta” e non per sentito dire» - ha spiegato Papa Francesco durante la Catechesi del Mercoledì 31 gennaio 2018. Il Pontefice ha richiamato l'attenzione sulla necessità della concentrazione e del silenzio quando viene proclamata la Parola di Dio, per evitare distrazioni e commenti inutili, parlando con il vicino di banco: “Guarda quello …, guarda quella …, guarda il cappello che ha portato quella: è ridicolo …”. Il Pontefice annota: «se tu fai delle chiacchiere con la gente non ascolti la Parola di Dio». Invece, occorre ascoltare in silenzio, e aprire il cuore a Dio che ci parla e non divagare con la mente pensando ad altre cose o parlando di altre cose. Noi crediamo che Dio, «tramite la persona che legge», ci interpella e si aspetta che gli si apra il cuore con fede. Francesco ammette che «alcune volte forse non capiamo bene perché ci sono alcune letture un po’ difficili. Ma Dio ci parla lo stesso in un altro modo» - ci assicura. Attingere ai tesori della Bibbia, significa accostarsi alla «“mensa” che il Signore imbandisce per alimentare con il pane della sua Parola la nostra vita spirituale» e la comunione fraterna. Francesco avverte che bisogna evitare alcuni abusi durante la Liturgia della Parola. Per esempio, è proibito omettere alcune letture per sostituirle con testi che non sono biblici. Il Papa ammonisce chi, durante la Liturgia della Parola, «se c’è una notizia, legge il giornale, perché è la notizia del giorno». Con tono fermo il Vescovo di Roma dice «No!» a questo abuso: «La Parola di Dio è la Parola di Dio! Il giornale lo possiamo leggere dopo. Ma lì si legge la Parola di Dio. È il Signore che ci parla». Per evitare distrazioni durante l'ascolto delle Letture bibliche è bene scegliere «buoni lettori», che sappiano proclamare la Parola e non persone improvvisate che quando leggono non fanno capire nulla. E infine, il Pontefice ha voluto ricordare l'ammonimento di San Giacomo: «Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). Infatti, non basta udire la Parola con gli orecchi, ma occorre accoglierla nel cuore e poi farla passare alle mani, affinché diventi operosa e porti frutto in abbondanza di opere buone: «Questo è il percorso che fa la Parola di Dio: dalle orecchie al cuore e alle mani».




28 gennaio 2018

IL TERRORISMO DELLE CHIACCHIERE!

LE «ZIZZANIERE»
Papa Francesco: «Se si trovasse una persona che mai, mai, mai avesse parlato male dell’altro la si potrebbe canonizzare subito»


di Antonino Legname
(dal libro La Teopsia di Francesco, vol. I, pp. 599-605 )*

Bisogna imparare a «dire la verità», sempre con carità, e mai «dire una cosa che non è vera». In realtà, ha fatto notare il Papa, “quante volte nelle nostre comunità si dicono cose di un’altra persona che non sono vere: sono calunnie. Oppure, se sono vere, comunque si toglie la fama di quella persona” […]. Papa Francesco lamenta la brutta abitudine delle chiacchiere: “Io penso alle nostre comunità: quante volte, questo peccato, di «togliersi la pelle l’uno all’altro», di sparlare, di credersi superiore all’altro e parlare male di nascosto! […]. Siamo tutti peccatori. Ma una comunità dove ci sono le chiacchierone e i chiacchieroni, è una comunità che è incapace di dare testimonianza”. E nell'intervista al quotidiano «Avvenire», il 18 novembre 2016, Francesco ha detto che le critiche e le opinioni diverse, “quando non c'è un cattivo spirito, aiutano anche a camminare. Altre volte si vede subito che le critiche prendono qua e là per giustificare una posizione già assunta, non sono oneste, sono fatte con spirito cattivo per fomentare divisione. Si vede subito che certi rigorismi nascono da mancanza, dal voler nascondere dentro un'armatura la propria triste insoddisfazione”. Purtroppo, a volte si preferisce colpire alle spalle senza dare all'altro la possibilità di difendersi. Anche nella Chiesa, non è raro il caso in cui si preferisce dare credito al «sentito dire», senza interpellare la persona interessata! Quello che Papa Francesco non sopporta, fino al punto da chiamarlo «comportamento delinquenziale» è il criticare dietro le spalle. Nell'intervista al quotidiano spagnolo «El País», il 21 gennaio 2017, Francesco risponde che di fronte alle critiche non si sente incompreso, anzi  si sente accompagnato. E ammette: “se qualcuno non è d'accordo, ha diritto a non essere d'accordo perché altrimenti, se mi sentissi male perché qualcuno non è d'accordo, avrei nel mio comportamento un animo da dittatore”. Il Papa ribadisce che alcuni hanno diritto a pensare che il cammino che si sta facendo oggi nella Chiesa possa essere pericoloso e possa dare cattivi risultati, però è bene che “sempre ne parlino apertamente e non tirino le pietre nascondendosi la mano”. Nessuna persona umana ha diritto di agire in questo modo vigliacco: “Tirare la pietra e nascondere la mano non è umano, è un crimine”. Il dialogo onesto e sincero ben venga perché affratella di più, ma mai la calunnia e mai gli insulti. A tal proposito, Francesco condanna senza appello il brutto vezzo degli insulti: “noi siamo abituati a insultare, è come dire «buongiorno». E quello è sulla stessa linea dell’uccisione. Chi insulta il fratello, uccide nel proprio cuore il fratello”. Cosa si guadagna ad insultare? «Nulla», risponde il Papa! “Quante volte abbiamo sentito dire di una persona che ha una lingua di serpente, perché fa sempre quello che ha fatto il serpente con Adamo ed Eva, ha distrutto la pace”. Ma questo, ha messo in guardia il Pontefice, “è un male, questa è una malattia nella nostra Chiesa: seminare la divisione, seminare l’odio, non seminare la pace”. Bergoglio ricorda che nella sua terra “queste persone si chiamano «zizzaniere»: seminano zizzania, dividono e lì le divisioni incominciano con la lingua per invidia, gelosia e anche chiusura” […].Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto”. Sono molto belle le esortazioni di Papa Francesco sulla necessità di mettere a freno la lingua e di non lasciarsi dominare dall'invidia. Quanto male riesce a fare agli altri un cuore malato di invidia e di gelosia […].


“Cosa brutta è l'invidia - ha detto - Nel cuore la gelosia o l’invidia cresce come l’erba cattiva: cresce e soffoca l’erba buona […]. L'invidia uccide e non tollera che un altro abbia qualcosa che io non ho […]. Per gelosia si uccide con la lingua … Le chiacchiere uccidono”. Le chiacchiere sono la peste dei rapporti umani e sociali. “La lingua  - ha detto il Papa - è capace di distruggere una famiglia, una comunità, una società; di seminare odio e guerre, invidie”. E con insistenza il Papa condanna il vizio capitale dell'invidia che è veramente una brutta bestia difficile da domare; è una vera e propria patologia del cuore che fa soffrire e rende infelice chi ne viene contagiato. “L'invidia è come il veleno del serpente, perché si cerca di distruggere l'altro”. L'antidoto contro il veleno dell'invidia è il siero della misericordia: “Quanto bisogno abbiamo tutti di essere un po’ più misericordiosi, di non sparlare degli altri, di non giudicare, di non «spiumare» gli altri con le critiche, con le invidie, con le gelosie” […].Il Papa ha riferito che una volta sentì dire in un quartiere: “Io non vado in Chiesa perché guarda questa, va tutte le mattine a messa, fa la comunione e poi va di casa in casa sparlando: per essere cristiano così preferisco non andare, come va questa chiacchierona”. Quanto fango di accuse, di calunnie o di lettere anonime ogni giorno si sparge e si trova sul nostro cammino, spesso all'insaputa dell'interessato, al quale in tanti casi non viene data neppure la possibilità di difendersi. A volte si arriva a «lapidare» il prossimo con le parole della calunnia e della diffamazione. Papa Francesco usa parole forti quando parla della «fraternità sacerdotale» inquinata dalla cattiva abitudine delle chiacchiere […].Il Pontefice ribadisce che le mormorazioni per invidia e per gelosia sono il grande nemico della fratellanza sacerdotale; anche i giudizi negativi verso gli altri fratelli sono un «male di clausura» - ha detto il Papa - nel senso che “più siamo chiusi nei nostri interessi, tanto più critichiamo gli altri”. E cosa fare quando un sacerdote sbaglia e si ammala moralmente? Prego per lui? Cerco di avvicinarmi per dargli una mano, oppure vado subito da un altro per informarlo su quello che ho saputo, amplificando il racconto con tanti particolari e aggiunte fino al punto da sporcare ancora di più il fratello che vive una situazione di malessere? Francesco ammonisce: “Ma se quel poveretto è caduto vittima di Satana, anche tu vuoi schiacciarlo? Queste cose non sono favole: questo accade, questo succede”. Purtroppo, lamenta il Papa, tante brutte abitudini si possono prendere durante il periodo di formazione in Seminario; e allora cosa fare? Francesco consiglia ai superiori dei seminari, ai formatori e ai padri spirituali: “se voi vedete un seminarista bravo, intelligente, che sembra bravo, è bravo ma è un chiacchierone [pettegolo], cacciatelo via. Perché dopo, questa sarà un’ipoteca per la fraternità presbiterale. Se non si corregge, cacciatelo via. Dall’inizio. C’è un detto, non so come si dice in italiano: «Alleva corvi e ti mangeranno gli occhi». Se nel seminario tu allevi «corvi» che «chiacchierano», distruggeranno qualsiasi presbiterio, qualsiasi fraternità nel presbiterio”. È sempre valido il principio che ho imparato da giovane seminarista: «quando devi parlare di qualcuno in sua assenza, o ne parli in bene o non ne parli affatto». In ogni caso è sempre bene - come dice il Papa - “mettere il morso alla lingua!”. Lo stesso Pontefice dà un consiglio: “ogni volta che mi viene in bocca di dire una cosa che è seminare zizzania e divisione e sparlare di un altro bisogna «mordersi la lingua!». E io vi assicuro che se voi fate questo esercizio di mordervi la lingua invece di seminare zizzania, i primi tempi si gonfierà così la lingua, ferita, perché il diavolo ci aiuta a questo perché è il suo lavoro, è il suo mestiere: dividere!”. Alcuni con molto zelo fanno lavorare la lingua per seminare discordia. Infatti, ha rimarcato il Papa, “lo stesso danno che fa una bomba in un paesino, fa la lingua in una famiglia, in un quartiere, in un posto di lavoro. Perché la lingua distrugge, fa la guerra”. Papa Francesco assicura: “se tu sei capace di riuscire a non sparlare di un altro, sei sul buon cammino per diventare santo” e spiega: “per riconoscere santa una persona c’è tutto un processo, c’è bisogno del miracolo, e poi la Chiesa la proclama santa. Ma se si trovasse una persona che mai, mai, mai avesse parlato male dell’altro la si potrebbe canonizzare subito”.

* Antonino Legname, La Teopsia di Francesco. Tra scienza e fede il nuovo umanesimo cristiano integrale, popolare, solidale, inclusivo e gioioso, Le Nove Muse Editrice, Catania 2017, 2 voll.

27 gennaio 2018

COSA CAMBIA NEL «PADRE NOSTRO»



Papa Francesco: «Quello che ti induce in tentazione è Satana»

 di Antonino Legname

Già Benedetto XVI, nel suo libro Gesù di Nazaret, aveva scritto: «Dio non ci induce in tentazione […]. La tentazione viene dal diavolo» [pp. 192-193]. Papa Francesco ribadisce: «Quello che ti induce in tentazione è Satana». La sesta invocazione del Padre Nostro: «Non ci indurre in tentazione» non è una buona traduzione in italiano - ha detto Francesco. Centinaia di milioni di cattolici di lingua spagnola sparsi nel mondo, non da oggi, quando pregano il “Padre Nostro“, dicono: no nos dejes caer en tentación, che tradotto in italiano significa: «non lasciarci cadere in tentazione». In altre parole chiediamo aiuto a Dio per non soccombere di fronte alla tentazione. Si invoca il Padre affinché non ci abbandoni nella prova della tentazione. Questa interpretazione, del resto, viene data anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica al paragrafo 2846: «Non lasciarci soccombere alla tentazione». E riprendendo un passo della Lettera di san Giacomo (1,13), aggiunge: «Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male». Nei mesi scorsi, all'inizio dell'Avvento, anche la Chiesa Cattolica di Francia ha cambiato la frase del Padre Nostro: «Non ci indurre in tentazione» è stato tradotto con «Et ne nous laisse pas entrer en tentation», che in italiano si traduce: «Non lasciarci entrare nella tentazione». Nella preghiera, spiega Papa Francesco, Dio che ci induce in tentazione «non è una buona traduzione» e spiega: «sono io a cadere, non è lui che mi butta nella tentazione per poi vedere come sono caduto. Un padre – sottolinea Bergoglio – non fa questo, un padre aiuta ad alzarsi subito». «Quello che ti induce in tentazione – chiarisce il Papa – è Satana, quello è l’ufficio di Satana». In realtà, non dobbiamo dimenticare che già la Conferenza Episcopale Italiana, nella nuova traduzione della Bibbia, ufficializzata nel 2008, aveva modificato questo passaggio del Padre Nostro con la traduzione: «Non abbandonarci alla tentazione», una formula ritenuta più confacente con «l’azione globale di Dio nei confronti dell’uomo». Dunque, non è Dio a tentare, ma Satana attraverso la «mano libera» che il creatore gli concede. Benedetto XVI, nel suo libro "Gesù di Nazaret", ha dato questa interpretazione esegetica della frase in questione: «Con essa diciamo a Dio: So che ho bisogno di prove affinché la mia natura si purifichi. Se tu decidi di sottopormi a queste prove, se – come nel caso di Giobbe – dai un po’ di mano libera al Maligno, allora pensa, per favore, alla misura limitata delle mie forze. Non credermi troppo capace. Non tracciare ampi i confini entro i quali posso essere tentato, e siimi vicino con la tua mano protettrice quando la prova diventa troppo ardua per me» [p. 195]. Comunque, si aspetta il via dei Vescovi italiani per cominciare ad usare, anche nei libri liturgici tradotti nella nostra lingua, la sesta invocazione del Padre Nostro, già contenuta - come ho detto - nella nuova traduzione della Bibbia CEI del 2008: «Non abbandonarci alla tentazione». 


23 gennaio 2018

«LE MUMMIE SPIRITUALI»


APATEISMO RELIGIOSO

Papa Francesco: «La prima forma di indifferenza è quella verso Dio»

Un giorno due giovani fidanzati si presentarono nel mio ufficio parrocchiale perché al più presto volevano convolare a nozze e celebrare il loro matrimonio in chiesa, per desiderio della fidanzata e per fare contenti i loro genitori. Entrambi erano battezzati, ma solo la ragazza era credente e anche praticante, mentre il fidanzato volle mettere subito le cose in chiaro, e mi disse con tono deciso: «Io sono un apateista!». «Cosa sei?» - gli domandai con aria apparentemente smarrita.  E lui: «Sono un apateista, cioè uno che è indifferente alle questioni religiose». E mi spiegò: «io non mi pongo neppure il problema dell'esistenza di Dio, dell'anima e di quello che ci sarà dopo la morte. Queste sono questioni irrilevanti per la mia vita pratica». A quel punto mi vennero in mente le parole del filosofo francese, Denis Diderot, in risposta a Voltaire, che lo accusava di ateismo: «Ciò che conta è non confondere la cicuta con il prezzemolo, ma credere o non credere in Dio non è affatto importante» […]. Gli uomini della nostra società secolarizzata vivono una sorta di ateismo pratico. Se si domandasse, attraverso un sondaggio: «cosa pensi di Dio?», forse tanti risponderebbero di credere in qualcosa, in una «mano divina» che ha dato inizio a tutto l'universo, ma alla fine il problema su Dio non è così importante e coinvolgente per la vita pratica […]. Papa Francesco ammette: “non possiamo negare che il mondo di oggi è in crisi di fede" […]. Dio, purtroppo, continua a restare ai margini degli interessi umani! E tanti uomini oggi vivono praticamente nell'apateismo religioso.  
Il cardinale Ravasi ha detto che viviamo “in un tempo in cui domina l’apateismo, cioè l’indifferenza anche religiosa, la superficialità, la banalità e perfino la volgarità”. Il motto dell'apateista è : I don't know and I don't care: «Io non so e non mi interessa».


[…].  Per gli “apateisti” non ha senso continuare a parlare di esistenze immateriali, perché significa parlare del nulla. Dire che Dio, l'anima umana, gli angeli, sono entità spirituali, significa dire che sono nulla. Provare a pensare che queste «forme del pensiero» siano qualcosa di più del nulla si rischia di precipitare nell'abisso senza fondo dei sogni e dei fantasmi. «Sono troppo impegnato e affaccendato nelle cose che esistono - diceva Thomas Jefferson - per tormentarmi o preoccuparmi di quelle che potrebbero esistere, ma di cui non ho prova alcuna». L'apateismo è la forma peggiore di apatia proprio perché in questo caso la «mancanza di sentimenti» si rivolge a Dio, ritenuto irrilevante per la vita dell'uomo […]. Di fronte a questa posizione di radicale indifferenza e di “mancanza di sentimento” nei confronti di Dio, di primo acchito sembra veramente difficile, ma non impossibile, ogni tipo di dialogo e di argomentazione su questioni religiose o di fede. Purtroppo, esiste anche un «apateismo cristiano», quando si diventa insensibili nei confronti del prossimo. Papa Francesco definisce questi cristiani «mummie spirituali» perché sono fermi e si ostinano a non camminare sulla strada delle Beatitudini e delle Opere di misericordia: “Un cristiano che non cammina, che non fa strada, è un cristiano «non cristiano», per così dire: è un cristiano un po’ paganizzato, sta lì, sta fermo immobile, non va avanti nella vita cristiana, non fa fiorire le beatitudini nella sua vita, non fa le opere di misericordia, è fermo […]; è come fosse una «mummia spirituale», fermi lì: non fanno del male, ma non fanno del bene”. Mi vengono in mente le parole dell'Apocalisse (3,15-16): «Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca». Sono parole dure nei confronti di tutti “quei cristiani che non sono né freddi, né caldi: sono tiepidi. Sono acque tranquille, sempre. Al Signore che li rimprovera, costoro chiedono: «Ma perché mi rimproveri, Signore? Io non sono cattivo». «Magari fossi cattivo! - ha commentato il Papa - Questo è peggio. Sei morto»”. Il Pontefice ha fatto notare che questa può essere la situazione che si ritrova quando “il tepore entra nella Chiesa, in una comunità, in una famiglia cristiana e si sente dire: «No, no, tutto tranquillo, qui tutto bene, siamo credenti, facciamo le cose bene; quando cioè tutto è «inamidato» e «senza consistenza» e «alla prima pioggia si scioglie»”. L'apateismo è una malattia che può contagiare anche coloro che a parole dicono di credere in Dio, ma nei fatti sono tiepidi e “perdono la capacità di contemplazione, la capacità di vedere le grandi e belle cose di Dio”; sono talmente tiepidi e distratti da non accorgersi del passaggio di Dio nella loro vita […]. Nel Messaggio per la Giornata della Pace, il 1° gennaio 2016, Papa Francesco ha scritto: “La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato. È questo uno dei gravi effetti di un umanesimo falso e del materialismo pratico, combinati con un pensiero relativistico e nichilistico”.   (dal libro di Antonino Legname, La Teopsia di Francesco, vol I, pp. 299-304).

ALTRI ARTICOLI