Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL, 30, 5)

venerdì 19 aprile 2019

Per una “teologia popolare” degli occhi aperti

LA POP-THEOLOGY  
DI PAPA  FRANCESCO, 
COME TEOPSIA

Staglianò: «I due poderosi volumi di Antonino Legname, La Teopsia di Francesco, il cui sottotitolo - Tra scienza e fede -, sottolinea la necessità irrinunciabile della teologia di mettersi in dialogo sincero e aperto con le tante espressioni culturali del nostro tempo, dominato dalla tecnocrazia».

Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto, annuncia il Vangelo ai giovani con la Pop-Theology

di Antonio Staglianò

La “teologia popolare”, o Pop-Theology, cioè una teologia per il popolo e dal popolo - corrispondendo alle istanze missionarie impresse all’evangelizzazione dall’Evangelii gaudium di papa Francesco – dovrebbe concepirsi come “teologia in uscita”. La categoria linguistica e mitica di «pop», non si riferisce solo alla “musica pop”, ma a ciò per cui la musica, e ogni altro genere di registro artistico, è di diritto linguaggio popolare. Con questa precisazione “inutile” - ma doverosa, per un pregiudizio distorcente secondo cui “pop” e “teologia” non sono termini accostabili- si può riconoscere in Francesco un maestro e un antesignano della pop-Theology. Egli ama dialogare con i giornalisti, più che con i filosofi. I giornalisti restano “comunicatori popolari” e gli articoli dei giornali sono più letti dalla gente che non i saggi dei sociologi. Il primo dialogo con Eugenio Scalfari – sull’amore, sulla verità, sul narcisismo e sul motivo per cui Gesù è morto in Croce, sulla speranza nell’oltre- testimonia quest’attitudine pop-teologica di Francesco[i].
Una documentazione robusta sono i due poderosi volumi di Antonino Legname, La Teopsia di Francesco, il cui sottotitolo – Tra scienza e fede-, sottolinea la necessità irrinunciabile della teologia di mettersi in dialogo sincero e aperto con le tante espressioni culturali del nostro tempo, dominato dalla tecnocrazia. La teologia deve continuamente confrontarsi con le scienze umane, e lasciarsi provocare dalle domande e anche dai silenzi della cultura umanistica[ii]. La sua teopsia parte dal popolo, si arricchisce e cresce grazie alla saggezza e alla religiosità popolare, per poi ritornare purificata al popolo, come in un movimento di sistole e di diastole: una teologia che viene continuamente ossigenata dal sensus fidei fidelium, perché il Popolo di Dio, possiede un proprio «fiuto» per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa. Per questo, Francesco preferisce identificare la parola “popolo” con la categoria “mitica” e storica: «Il popolo si fa in un processo, con l’impegno in vista di un obiettivo o un progetto comune. La storia è costruita da questo processo di generazioni che si succedono dentro un popolo. Ci vuole un mito per capire il popolo»[iii].
Occorre allora ascoltare di più la saggezza del Popolo di Dio che ha la capacità di comprendere il Vangelo. La teologia di Francesco è una pop-Theology, una teologia «dal basso», popolare, cioè del popolo. Sa «scrutare i segni dei tempi», sa dialogare con la cultura moderna, avvicinandosi ai grandi temi della vita e del dolore umano. A chi vorrebbe relegare questa teologia dentro i limiti angusti del pragmatismo pastorale di stampo sociologico, Legname mostra che la teologia del Pontefice è cristocentrica, orientata alla costruzione di un nuovo umanesimo cristiano, popolare, solidale, inclusivo e gioioso. Qui non c’è opposizione tra dottrina e pastorale, tra l’essere maestri e l’essere testimoni. Se Evangelii gaudium afferma «la realtà è più grande dell’idea», intanto esprime una “bella idea” e non intende esaltare il pragmatismo mortificando il “teorico”: non vuole dire che bisogna “fare” senza “pensare”. La fede che non pensa scadrebbe nel “fideismo”, nella superstizione, nel fanatismo religioso: si annulla, si ammala di religiosità illusoria. Da qui, l’invito ai giovani a essere protagonisti della storia e non semplici osservatori, a coltivare grandi «Idee», a «sognare ad occhi aperti», a saper «guardare in avanti», e a coltivare una sana «utopia» che fa vedere la spiga con il frutto, là dove gli altri vedono solo il seme caduto in terra e sotterrato. Stupisce davvero che proprio sotto il pontificato di papa Francesco, la Chiesa italiana abbia dismesso e non solo ingessato il Progetto culturale orientato in senso cristiano. Chi legge, infatti, il suo Magistero si convince facilmente che il vescovo di Roma richiede un rilancio dei «laboratori culturali», dove si impara a dare ragione del Kerigma cristiano e della fede in Gesù di Nazareth. Certo pretende infondere un’anima «pop» all’insegnamento teologico, ma non v’è opposizione tra teologia e pastorale: non si può avere una “Chiesa in uscita”, senza una «teologia in uscita», una teologia aperta e non chiusa nella torre d’avorio dei laboratori di scienze religiose, troppo “accademicista” e “intellettualista”, perché disincarnata e staccata dalla vita del popolo. Francesco è un “pop-teologo” perché è il “papa della gente”: «senza l'incontro con il Popolo di Dio, la teologia può diventare ideologia». Il suo linguaggio semplice, immediato e costellato da tanti aneddoti e metafore, è un linguaggio pop, alla portata di tutti. Non si può però fare Pop-Theology senza mettersi in ginocchio. Così, la teologia si deve fare in ginocchio, deve essere pregata e pensata. Il teologo pensa dopo aver pregato e mentre prega pensa. Una teologia incarnata ed inculturata, che sa annunciare il Vangelo di sempre con i mezzi e i linguaggi nuovi, anche quelli dell’arte, della poesia e della musica, così com’è stato evidenziato durante il recente Sinodo sui Giovani, per una “teologia in uscita”. E’ una teologia incarnata nel vissuto del popolo che riesce a mostrare la bellezza di Dio amore, nel Volto umano e misericordioso di Gesù di Nazareth, che si identifica nel volto piagato e umiliato dei poveri e degli ultimi. Allora Francesco può essere indicato come un teologo “callejero”, cioè di «strada», in cammino sulle strade del mondo per incontrare la gente e per portarla a Cristo: perché «i buoni teologi devono odorare di popolo e di strada». D’altronde questo corrisponde bene a quanto è scritto nel recente Costituzione apostolica sulle Università e Facoltà ecclesiastiche Veritatis gaudium: «c’è bisogno di una vera ermeneutica evangelica per capire meglio la vita, il mondo, gli uomini, non di una sintesi ma di una atmosfera spirituale di ricerca e certezza basata sulle verità di ragione e di fede (n.3). La teologia popolare si fa – secondo Veritatis gaudium- «con la mente aperta e in ginocchio. Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo» (n.4).


[i]Papa Francesco- E. Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti, Einaudi, Torino 2013. Qui Scalfari, per rafforzare la sua tesi, secondo cui la stoffa dell’umano è il narcisismo, da una interpretazione che non può non interessare la teologia: “ama il prossimo tuo come te stesso” – quale comandamento del cristianesimo (!) - confermerebbe il narcisismo universale, ma indicherebbe il tentativo miracoloso (e alla fine fallimentare) di Gesù di fare dell’amore proprio la misura dell’amore per gli altri, volendo così “andare oltre la natura della bestia pensante che il Creatore aveva creato” (Ivi, p. 106).
[ii]A. Legname, La teopsia di Francesco. Tra scienza e fede, Le Nove Muse Editrice, Catania 2017, due volumi di 1218 pagine complessive.
[iii] Ivi, p. 120.

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