UBI PETRUS

Ubi Petrus, ibi Ecclesia: "Dove c'è Pietro, lì c'è la Chiesa" (Sant'Ambrogio, Explanatio Psalmi XL,30,5)

19 gennaio 2018

QUANDO LA BATTERIA DELLA FEDE SI SCARICA

GIOVANI SENZA FILTRI
Francesco: «Per non perdere la connessione con Gesù usa la password:Cosa farebbe Cristo al mio posto?”»



di Antonino Legname

Incontrando i giovani cileni, nel Santuario Nazionale di Maipù, il 17 gennaio 2018, Papa Francesco ha chiesto loro di coltivare i sogni di libertà, di gioia e di un futuro migliore. Ma bisogna «sognare in grande - ha detto il Vescovo di Roma - non solo quando siete un po’ brilli, no, sempre sognate in grande». E ancora una volta, Francesco chiede ai giovani di non adagiarsi rassegnati sui divani della vita, ma di lasciarsi interpellare dalle tante sfide dell'esistenza. Ovviamente i sogni devono essere realizzati con i piedi per terra, e si inizia - ha detto il Papa - con i piedi sulla terra della patria». Ma bisogna stare attenti a non cadere nei facili nazionalismi; il Vescovo di Roma mette in guardia da questo rischio e dice ai giovani che devono essere «patrioti - non nazionalisti». I giovani hanno la forza e l'entusiasmo di spingere la storia in avanti, in modo tale che nessuno dica: «tutto è sempre stato così: “Perché dobbiamo cambiare, se è sempre stato così, se si è sempre fatto così?”». Questo modo di pensare è corruzione - ha detto il Papa - ed è ciò che frena i sogni e le aspirazioni dei giovani. E allora non si deve abbassare la guardia e si deve guardare sempre avanti. Il desiderio del Papa è che tutta la Chiesa - specialmente nel prossimo Sinodo - si metta in ascolto sincero dei giovani, senza filtri. E senza peli sulla lingua, Francesco non esita a confidare: «io ho paura dei filtri, perché a volte le opinioni dei giovani per arrivare a Roma devono passare attraverso varie connessioni e queste proposte possono arrivare molto filtrate, non dalle compagnie aeree, ma da quelli che le trascrivono». Per questo il Papa vuole mettersi direttamente in ascolto dei giovani e lo farà in modo particolare la prossima Domenica delle Palme, quando a Roma verranno da tutto il mondo le delegazioni di giovani per aiutare la Chiesa ad avere un «volto giovane». La Chiesa non è la «Santa Nonna», ma è la «Santa Madre», con un volto sempre giovane e naturale, senza bisogno che venga «truccato con creme» per apparire più giovanile. «La Chiesa - ha detto Francesco ai giovani - ha bisogno che voi diventiate maggiorenni, spiritualmente maggiorenni». I giovani, con le loro domande e con le loro inquietudini devono «scuoterci e aiutarci ad essere più vicini a Gesù!». Senza questa vicinanza a Gesù si rischia di perdere tanto tempo, nell'elaborare piani pastorali, e tante ore per la preparazione di attività ecclesiali. Papa Francesco si è poi soffermato sulla necessità di trovare il collegamento e di usare la password per connettersi con il Signore. E ha raccontato un aneddoto: un giorno, parlando con un giovane gli ha chiesto che cosa potesse metterlo di cattivo umore. Quel giovane gli rispose: “Quando al cellulare si scarica la batteria o quando perdo il segnale internet”. Francesco gli ha domandato: “Perché?”. E il giovane gli ha risposto: “Padre, è semplice, mi perdo tutto quello che succede, resto fuori dal mondo, come appeso. In quei momenti, vado di corsa a cercare un caricabatterie o una rete wi-fi e la password per riconnettermi”. Questa risposta del giovane ha dato a Francesco lo spunto per parlare della fede, che conosce diverse tappe: lo slancio iniziale e poi i momenti in cui ci si sente scarichi dentro, senza entusiasmo e senza connessione con Gesù. La batteria della fede si scarica. E allora «ci prende il cattivo umore, diventiamo sfiduciati, tristi, senza forza, e incominciamo a vedere tutto negativo … il cuore inizia a perdere forza, a restare anch’esso senza carica». Il Vescovo di Roma vuole far capire ai giovani che «senza la connessione con Gesù, senza questa connessione finiamo per annegare le nostre idee, annegare i nostri sogni, annegare la nostra fede» e si vive male e con malumore. Per non perdere la connessione bisogna imparare a stare dentro il campo magnetico di Gesù. È Lui «quel fuoco che infiamma chi gli si avvicina». E in conclusione, Francesco ha fatto ripetere tante volte ai giovani, come un'antifona, per non dimenticare, la password che ci apre la connessione con Gesù: “Cosa farebbe Cristo al mio posto?”, a scuola, all’università, per strada, a casa, cogli amici, al lavoro; davanti a quelli che fanno i bulliʼ». Il Papa ha chiesto ai giovani di memorizzare questa password e di usarla spesso per non dimenticarla. E anche in mezzo al deserto della vita ci sarà sempre la «connessione» - ha assicurato Francesco - e nella Chiesa e nella Comunità, anche se non sono perfette, sarà sempre disponibile il «caricabatterie» per alimentare la fede in Gesù. 


17 gennaio 2018

LA COSCIENZA DI ESSERE POPOLO DI DIO

NO AL CLERICALISMO
Papa Francesco: «La Chiesa non è e non sarà mai un’élite di consacrati, sacerdoti o vescovi».


di Antonino Legname

 «La paternità del vescovo con i suoi sacerdoti, col suo presbiterio! Una paternità che non è né paternalismo né abuso di autorità». Con queste parole, Papa Francesco si è rivolto ai Vescovi del Cile, in occasione del suo Viaggio Apostolico, il 16 gennaio 2018. Il Vescovo di Roma riassume il suo incontro con i Vescovi cileni con questa frase: «la coscienza di essere popolo, di essere Popolo di Dio». Non bisogna mai dimenticare che apparteniamo ad un Popolo e che nessuno deve sentirsi orfano; la Chiesa - ha ricordato il Papa -  non è e non sarà mai un’élite di consacrati, sacerdoti o vescovi. Non possiamo sostenere la nostra vita, la nostra vocazione o ministero senza questa coscienza di essere Popolo». Nessuno deve sentirsi padrone del Popolo fedele di Dio, ma occorre avere la consapevolezza di essere servitori. Soprattutto, per non frenare il dinamismo missionario, è necessario eliminare la caricatura della vocazione ricevuta, che è il «clericalismo» nella Chiesa. Mai si deve dimenticare che tutta la Chiesa è chiamata alla missione e non soltanto il prete o il vescovo. E a chi ancora non l'avesse capito, il Papa ribadisce chiaramente che «i laici non sono i nostri servi, né i nostri impiegati. Non devono ripetere come “pappagalli” quello che diciamo». Il Papa focalizza l'attenzione sulla formazione dei futuri pastori della Chiesa, i quali devono evitare ogni forma di clericalismo, e confida la sua preoccupazione: «che siano pastori al servizio del Popolo di Dio; come dev’essere un pastore, con la dottrina, con la disciplina, con i Sacramenti, con la vicinanza, con le opere di carità, ma che abbiano questa coscienza di Popolo». A volte si rischia di vivere disincarnati, dentro «mondi o stati ideali»; i futuri sacerdoti devono avere la consapevolezza di vivere in un mondo secolarizzato, e la loro futura missione, se vuole essere fruttuosa, non può fare a meno dell'impulso e del sostegno del laicato. È quanto mai necessario imparare a lavorare gomito a gomito con i laici e non bisogna lasciarsi tentare dal «clericalismo» e dai «mondi ideali che entrano solo nei nostri schemi ma che non toccano la vita di nessuno». Francesco ha esortato i Vescovi a «chiedere allo Spirito Santo il dono di sognare … e di lavorare per una opzione missionaria e profetica che sia capace di trasformare tutto, affinché le abitudini, gli stili, gli orari, il linguaggio ed ogni struttura ecclesiale diventino strumenti adatti per l’evangelizzazione». Per raggiungere questa finalità non si deve essere preoccupati di affermare l'«autoconservazione ecclesiastica».

14 gennaio 2018

PAPA FRANCESCO: «PER CHIUDERE LE FRONTIERE HANNO DOVUTO CHIUDERE IL CUORE»

NO AI FONDAMENTALISMI
Francesco, con un pizzico di amara ironia, ha detto: «Noi cattolici abbiamo "l'onore"  di avere fondamentalisti tra i battezzati»


di Antonino Legname

La Rivista dei Gesuiti, «La Civiltà Cattolica», nel n. 4020, pp. 519-528, ha pubblicato la conversazione privata che il 29 novembre 2017 Papa Francesco ha avuto con i Gesuiti del Myanmar e del Bangladesh. Anzitutto il Pontefice ha richiamato l'importanza delle radici nella vita dell'uomo, perché, specialmente i giovani «se non hanno radici, vanno dove tira il vento» e non hanno futuro. Francesco ha parlato della missionarietà, che «non passa dal proselitismo», e che, invece, deve essere capace di inculturare il Vangelo; e ha spiegato che non bisogna considerare l'inculturazione come una moda, ma come «l'essenza stessa del Verbo venuto nella carne, che ha assunto la nostra cultura, la nostra lingua, la nostra carne, la nostra vita, ed è morto». In sintesi:  «L'inculturazione è farmi carico della cultura del popolo al quale sono inviato».  Anche in questa occasione Francesco ha esortato i pastori della Chiesa a guardare sempre avanti facendo tesoro dell'ispirazione del passato e sapendo affrontare le sfide del nostro tempo collocandosi «nei crocevia della storia». Il Papa chiede di valorizzare ancora di più l'apporto del Popolo di Dio, che «ci insegna virtù eroiche». Francesco insiste: «Noi pastori dobbiamo imparare dal popolo». Il pastore deve conoscere l'odore delle pecore e le pecore devono percepire che noi «emaniamo l'odore di Dio». Il Papa ha richiamato anche il rischio delle ricchezze e della vanità nella vita dei pastori. Un tema che sta molto a cuore a Francesco è quello dei migranti e dei rifugiati, costretti spesso a vivere nei centri di accoglienza che sembrano «veri campi di concentramento, carceri». E con dolore e preoccupazione il Pontefice ha denunciato la politica di chiusura delle frontiere, adottata da alcuni Paesi europei: «la cosa più dolorosa - ha evidenziato Francesco - è che per prendere questa decisione hanno dovuto chiudere il cuore».
Il Vescovo di Roma ha esortato a rendere pubbliche quelle tragedie umane che si preferisce, invece, «silenziare» per non farle arrivare nei «salotti delle nostre grandi città». E con evidente commozione il Papa ha raccontato che, durante la sua visita a Lesbo, ha incontrato un uomo, di circa trent'anni e con tre figli, che gli ha confidato: «Sono musulmano. Mia moglie era cristiana. Ci amavamo molto. Un giorno sono entrati i terroristi. Hanno visto la sua croce. Le hanno detto di togliersela. Lei ha detto di no ed è stata sgozzata davanti a me. Continuo ad amare mia moglie e i miei figli». Francesco ha poi parlato del «discernimento spirituale», criterio così importante nella formazione e nella scelta dei futuri pastori della Chiesa. Un pastore che non è capace di discernere, cioè di «riconoscere che cosa viene da Dio e che cosa viene dal cattivo spirito» non sarà un buon pastore. E Francesco ha portato l'esempio di san Pedro Claver, il quale era capace di fare discernimento e aveva capito che Dio lo voleva in mezzo agli schiavi neri, sui quali «alcuni stimati teologi discutevano se avessero o non avessero l'anima». E sul fatto che Dio a qualunque costo vuole la salvezza dei suoi figli, anche di quelli che sembrano irrecuperabili, Papa Francesco non esita a dire che «Dio è furbo» e sa come vincere l'opera del diavolo che vuole trascinare le anime dalla sua parte. Il Pontefice ha detto che, di fronte alle grandi questioni esistenziali, di fronte alla sofferenza degli innocenti, è meglio non dare risposte intellettuali, perché non servono: «Io non sono un anti-intellettuale - tiene a precisare Francesco - Bisogna studiare molto, ma la risposa intellettuale … di fronte a una madre che ha perduto il figlio, a un uomo che ha perduto la moglie, a un bambino, a un malato … in questo caso non serve». E allora cosa bisogna fare? Il Papa consiglia: «soltanto lo sguardo, il sorriso, stringere la mano, il braccio, fare una carezza … e forse a quel punto il Signore ti ispirerà una parola». Quanta saggezza in queste parole del Vescovo di Roma, che ci spingono ad avvicinarci a chi soffre e a stare vicino a chi si pone tante questioni esistenziali. Il Vescovo di Roma risponde ad una domanda sul fondamentalismo religioso: «di fondamentalismi ce ne sono dappertutto. E noi cattolici - ha detto Francesco con un pizzico di amara ironia - abbiamo "l'onore"  di avere fondamentalisti tra i battezzati», e spiega: «gli atteggiamenti fondamentalisti prendono diverse forme, ma hanno il fondo comune di sottolineare molto l'essenziale, negando l'esistenziale».  



12 gennaio 2018

LA TEOPSIA DI STRADA

LA FEDE NON E' DOTTRINA ASTRATTA

Papa Francesco: «Senza l'incontro con il Popolo di Dio, la 

teologia può diventare ideologia»


di Antonino Legname

(dal libro La Teopsia di Francesco, vol I, pp. 118-121)

“Gesù sempre è stato un uomo di strada”. I Vangeli, anche se con sfumature diverse, ci presentano lo stile di Gesù di Nazaret: «sempre in cammino», in mezzo alla gente; “la maggior parte del tempo lo passava per la strada. Questo vuol dire vicinanza alla gente, vicinanza ai problemi. Non si nascondeva”. E quando non era in strada, Gesù si raccoglieva in preghiera. Nell'intervista alla testata spagnola «El País», Papa Francesco ha detto che vuole continuare ad essere «callejero», nel senso che quando può gli piace, durante le udienze o i viaggi, uscire per la strada a salutare la gente: “Non posso fare tutto quello che voglio, ma lo spirito «callejero» c'è”. In un Tweet lanciato il 1° ottobre 2016, Francesco ha scritto: “Dio non si conosce con pensieri alti e tanto studio, ma con la piccolezza di un cuore umile e fiducioso”. Il Vescovo di Roma non vuole creare una nuova teologia, ma sta cercando di fare teologia in modo nuovo per approdare alla Teopsia, cioè alla «visione di Dio», attraverso la contemplazione del Volto incarnato e misericordioso di Gesù di Nazaret, che si rende visibile nel volto dei fratelli più «piccoli». Quella di Papa Francesco è una teologia «nuova» nei modi, nei mezzi e nel linguaggio: la sua non è una teologia astratta, elaborata nei laboratori di scienze religiose, ma concreta, in un certo senso una «teologia callejera», fatta nella strada e per la strada, cioè per la gente; una teologia che non usa solamente lo strumento della ragione, ma soprattutto mette in atto le virtù umane e tra queste, quelle della tenerezza e dell'umiltà; una teologia che non ha come fine di dimostrare apologeticamente l'esistenza di Dio, ma di mostrare il volto amorevole di Dio attraverso gli occhi misericordiosi di Gesù di Nazaret. Si tratta di una «teologia mistica incarnata nella storia» e che si fa storia “partendo dalla periferia, partendo da coloro che sono più lontani”. Ai teologi il Papa ha detto che è importante domandarsi: “a chi stiamo pensando quando facciamo teologia? Quali persone abbiamo davanti? Senza questo incontro con la famiglia, con il Popolo di Dio, la teologia corre il grande rischio di diventare ideologia”. Egli ricorda che “Gesù non è venuto ad insegnare una filosofia, un’ideologia … ma una «via», una strada da percorrere con Lui”. Non si può annunciare Gesù Cristo senza mettersi in movimento, come faceva Paolo, l'Apostolo delle genti, il quale non resta “seduto davanti alla sua scrivania: no. Lui sempre, sempre è in moto. Sempre portando avanti l’annuncio di Gesù Cristo”. In diverse occasioni, Francesco ha detto che il compito dei Pastori della Chiesa è di uscire dal tempio per andare tra la gente. Se non si sta in mezzo alle gente e non si ascolta la vita della gente come si fa ad annunciare il Vangelo? Francesco evidenzia un pericolo: “quanto più ti allontani dalla gente e dai problemi della gente, tanto più ti rifugi in una teologia inquadrata del «si deve e non si deve», che non comunica nulla, che è vuota, astratta […]. A volte con le nostre parole rispondiamo a domande che nessuno si pone”. Commemorando a Bozzolo la bella figura di pastore di don Primo Mazzolari, Papa Francesco ribadisce che il pastore deve essere capace di mettersi davanti al popolo per indicare la strada, altre volte starà semplicemente in mezzo come segno di vicinanza, e in alcune circostanze camminerà dietro al popolo per incoraggiare chi è rimasto indietro. E don Primo scriveva: «Dove vedo che il popolo slitta verso discese pericolose, mi metto dietro; dove occorre salire, m’attacco davanti. Molti non capiscono che è la stessa carità che mi muove nell’uno e nell’altro caso e che nessuno la può far meglio di un prete»”. Il Papa esorta a non fare della fede una “teoria astratta dove i dubbi si moltiplicano. Facciamo piuttosto della fede la nostra vita. Cerchiamo di praticarla nel servizio ai fratelli, specialmente dei più bisognosi”. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che “la nostra fede non è una dottrina astratta o una filosofia, ma è la relazione vitale e piena con una persona: Gesù Cristo”. Questa intima adesione a Cristo è stata l'esperienza dei santi Fondatori di Ordini e di Congregazioni religiose. In occasione del Giubileo della Vita Consacrata il Papa ha evidenziato che, purtroppo, è forte il rischio, anche nelle Comunità religiose, di “cristallizzare i carismi in una dottrina astratta: i carismi dei fondatori - ha detto - non sono da sigillare in bottiglia, non sono pezzi da museo”. Il Vescovo di Roma sottolinea il legame intimo tra Cristo e la Chiesa: “Nessuna manifestazione di Cristo, neanche la più mistica, può mai essere staccata dalla carne e dal sangue della Chiesa, dalla concretezza storica del Corpo di Cristo. Senza la Chiesa, Gesù Cristo finisce per ridursi a un’idea, a una morale, a un sentimento. Senza la Chiesa, il nostro rapporto con Cristo sarebbe in balia della nostra immaginazione, delle nostre interpretazioni, dei nostri umori”. Papa Francesco ha detto che “la Chiesa è il Vangelo, è l'opera di Gesù Cristo. Non è un cammino di idee, uno strumento per affermarle. E nella Chiesa le cose entrano nel tempo, quando il tempo è maturo, quando si soffre”. La Chiesa, popolo di Dio, ha nel mondo la missione di “comunicare agli uomini il disegno misericordioso di Dio”. Non possiamo dimenticare che il Popolo di Dio, costituito da tutti i battezzati,  «dai Vescovi fino agli ultimi Fedeli laici», è «infallibile nel credere» e, possiede un “proprio «fiuto» per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa”. Dobbiamo convincerci che “il sensus fidei del santo popolo fedele di Dio, mai, nella sua unità, mai sbaglia”. Questo sensus fidei del popolo credente è un vero e proprio «luogo teologico». Papa Francesco spiega con convinzione che la parola «popolo» non è una categoria logica, ma è una categoria mistica,  ma non nel senso di «angelicata», come se tutto quello che fa il popolo fosse buono; e allora per evitare equivoci, Francesco preferisce identificare la parola «popolo» con la categoria «mitica» e storica. “Il popolo si fa in un processo, con l’impegno in vista di un obiettivo o un progetto comune. La storia è costruita da questo processo di generazioni che si succedono dentro un popolo. Ci vuole un mito per capire il popolo”. E allora, occorre ascoltare di più la saggezza del Popolo di Dio, imparando a valorizzare la pietà popolare della nostra gente che possiede la capacità di comprendere il Vangelo; questo è il sensus fidei fidelium, cioè il carisma di ogni cristiano di accedere e di arricchire il deposito della fede. Ai Vescovi italiani, il Papa ha ricordato che “il pastore è convertito e confermato dalla fede semplice del popolo santo di Dio, con il quale opera e nel cui cuore vive. Questa appartenenza è il sale della vita del presbitero; fa sì che il suo tratto distintivo sia la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione di ciascuno”. Pertanto, tutti gli organismi di comunione e di partecipazione nella Chiesa devono rimanere connessi col «basso», cioè devono partire dalla gente, dai problemi di ogni giorno. Francesco ha esortato i Vescovi del Messico a “curare specialmente la formazione e la preparazione dei laici, superando ogni forma di clericalismo e coinvolgendoli attivamente nella missione della Chiesa”. Non si tratta di una benevola «delega» che la gerarchia concede ai laici ma di una naturale partecipazione di tutto il Popolo di Dio alla missione salvifica della Chiesa. Non dobbiamo dimenticare che è il popolo ad evangelizzare il popolo, nel senso che tutto il Popolo di Dio, Pastori e Fedeli Laici, è abilitato ad annunciare il Vangelo della gioia, per realizzare così la vocazione missionaria della Chiesa. E anche sul ruolo delle donne nella Chiesa, Francesco ha detto con parole chiare: “per favore, non possono essere ridotte a serve del nostro recalcitrante clericalismo; esse sono, invece, protagoniste nella Chiesa”.
(Antonino Legname, La Teopsia di Francesco. Tra scienza e fede il nuovo umanesimo cristiano, integrale, popolare, solidale, inclusivo e gioioso, 2 volumi, Le Nove Muse Editrice, Catania 2017)

6 gennaio 2018

L'EPIFANIA FESTA DEL DONO

SEGUI LA STELLA
Papa Francesco: «Seguire Gesù non è un educato protocollo da rispettare, ma un esodo da vivere»



di Antonino Legname

Per seguire la stella devi vederla e per vederla devi tenere lo sguardo verso l'alto, verso il cielo. A volte, invece, è più facile tenere lo sguardo fisso a terra, concentrato sulle cose di quaggiù: «bastano la salute, qualche soldo e un po’ di divertimento». Questo significa accontentarsi, vivacchiare, galleggiare lasciandosi trasportare dal vento come un ramo secco. Durante l'Omelia della Messa nella solennità dell'Epifania del Signore, il 6 gennaio 2018, Papa Francesco ha detto che i Magi hanno sognato, hanno desiderato le novità di Dio e per questo si sono messi in cammino, tenendo alto lo sguardo, seguendo la stella. Ma che tipo di stella era quella che i Magi hanno visto e seguito? Non era una stella appariscente e abbagliante. Papa Francesco ci ricorda che «la stella di Gesù non acceca, non stordisce, ma invita gentilmente». La stella del Signore «è mite; ti prende per mano nella vita, ti accompagna. Non promette ricompense materiali, ma garantisce la pace e dona, come ai Magi, una gioia grandissima». Qual è la stella che noi seguiamo nella vita? Purtroppo, il più delle volte preferiamo scegliere e seguire le stelle più abbaglianti, che accecano invece di orientare. Il Pontefice fa alcuni esempi di stelle cadenti, che come meteore brillano un po' ma la loro luce svanisce nel nulla: «il successo, il denaro, la carriera, gli onori, i piaceri ricercati come scopo dell’esistenza». Queste false stelle alla fine portano fuori strada e allontanano da Dio. Per incontrare Gesù bisogna cercarlo e per trovarlo bisogna uscire dalle proprie false sicurezze e dalle comodità; è il cammino avventuroso e rischioso della fede. «Per trovare Gesù - ribadisce Francesco - bisogna lasciare la paura di mettersi in gioco, l’appagamento di sentirsi arrivati, la pigrizia di non chiedere più nulla alla vita». Nessuno mette in dubbio che il cammino della fede non sia una facile passeggiata. C'è chi - come Erode - preferisce restare chiuso nel suo palazzo; «organizza riunioni e manda altri a raccogliere informazioni; ma lui non si muove». Ci sono coloro che preferiscono «disquisire» sulle questioni di fede: pensano di sapere tutto e non si mettono in gioco personalmente per il Signore. Preferiscono parlare, invece di pregare e lamentarsi piuttosto che fare il bene. Se il Vangelo non porta al dono non si realizza l'incontro con il Signore. L'Epifania è la festa del dono gratuito: occorre donare agli altri con disinteresse senza aspettarsi di essere ricambiati. In pratica cosa significa offrire a Gesù un dono gradito? Papa Francesco ci ricorda che quando offriamo ai fratelli più piccoli e più bisognosi qualcosa del nostro tempo, quando accudiamo un malato, quando aiutiamo qualcuno che non ci suscita interesse, quando offriamo il perdono a chi ci ha offeso, diamo a fondo perduto. Questi sono alcuni dei doni gratuiti che non possono mancare nella vita del cristiano. 


PER UN'EDUCAZIONE ECOLOGICA INTEGRALE

NO ALLA «SCHIZOFRENIA» EDUCATIVA
Papa Francesco: «Oggi il patto educativo tra scuola e famiglia è rotto».


di Antonino Legname

«La cultura dell’incontro, l’alleanza tra scuola e famiglia e l’educazione ecologica», sono i tre punti di riflessione e di impegno che Papa Francesco ha proposto ai membri dell'Associazione Italiana Maestri Cattolici, il 5 gennaio 2018. Il Pontefice ha esortato tutti gli insegnanti cristiani, non solo quelli che operano nelle scuole cattoliche, ma anche coloro che insegnano nelle scuole statali «a stimolare negli alunni l’apertura all’altro come volto, come persona, come fratello e sorella da conoscere e rispettare, con la sua storia, i suoi pregi e difetti, ricchezze e limiti». Francesco lancia la scommessa educativa affinché i ragazzi di oggi vengano formati al rispetto e alla tenerezza, superando tutte quelle forme di bullismo, frutto di pregiudizio assai diffuso. Il Pontefice stigmatizza quella mentalità seconda la quale «per valere bisogna essere competitivi, aggressivi, duri verso gli altri, specialmente verso chi è diverso, straniero o chi in qualsiasi modo è visto come ostacolo alla propria affermazione». Purtroppo, questa è l'aria pesante che i nostri ragazzi respirano;  pertanto, è quanto mai urgente bonificare l'ambiente in cui i bambini crescono perché «possano respirare un'aria diversa, più sana, più umana». Per raggiungere questo scopo è indispensabile l’alleanza educativa tra la scuola e la famiglia - ha consigliato il Papa - evidenziando che oggi il patto educativo tra scuola, famiglia e Stato, è rotto. Non serve a nulla essere nostalgici di tempi passati che ormai non sono. I metodi educativi di ieri non si possono applicare nel mutato contesto sociale e culturale di oggi. «Bisogna prendere atto - ha detto il Papa - dei mutamenti che hanno riguardato sia la famiglia sia la scuola, e rinnovare l’impegno per una costruttiva collaborazione». Oggi non è cosi scontata e naturale l'alleanza educativa tra famiglia e scuola. A volte si assiste ad una certa competitività tra insegnanti e genitori, specialmente quando ci si colloca su fronti contrapposti e ci si colpevolizza a vicenda. Purtroppo, lamenta il Papa, oggi manca una «complicità solidale», una sinergia  nell'educazione dei ragazzi. Il Pontefice mette in evidenza la dimensione dell'educazione ecologica per aiutare i ragazzi di oggi a rispettare la nostra «casa comune» che è il creato. Occorre superare quello stile di vita «schizofrenico», quando per esempio ci si prenda cura degli animali in estinzione ma si ignorano i problemi degli anziani; o quando si difende la foresta amazzonica ma vengono trascurati i diritti dei lavoratori ad un giusto salario. «Questa è schizofrenia - ha rimarcato Francesco -  L’ecologia a cui educare dev’essere integrale». 


3 gennaio 2018

IL CORAGGIO DI TOGLIERSI LA MASCHERA


I PECCATI DI OMISSIONE
Papa Francesco: “Il peccato taglia il rapporto con Dio e con i fratelli”



di Antonino Legname

Bisogna trovare “il coraggio di togliere la maschera e aprirsi alla grazia che rinnova il cuore”. Con queste parole, Mercoledì 3 gennaio Papa Francesco ha sviluppato la prima Catechesi del nuovo anno 2018, incentrata sull’Atto penitenziale della Messa. Per potersi disporre a celebrare degnamente il mistero eucaristico occorre riconoscere umilmente davanti a Dio e ai fratelli i propri peccati. Il Pontefice ci ricorda che ci sono peccati in <pensieri, parole, opere e omissioni>. E’ questo quello che diciamo all’inizio della Messa con l’Atto penitenziale: ciascuno confessa in prima persona di aver molto peccato, di aver commesso peccati di omissione per aver tralasciato il bene che avrebbe potuto e dovuto fare. Infatti, per sentirsi bravi non basta dire: <Non ho fatto male a nessuno>. Francesco esorta a non limitarsi a non fare del male al prossimo;  ma <occorre scegliere di fare il bene cogliendo le occasioni per dare buona testimonianza che siamo discepoli di Gesù>. L’atteggiamento giusto per chiedere perdono a Dio e ai fratelli è l’umiltà. Infatti, “che cosa può donare il Signore a chi ha già il cuore pieno di sé, del proprio successo? Nulla – risponde il Papa - perché il presuntuoso è incapace di ricevere perdono, sazio com’è della sua presunta giustizia”. Invece, chi è “consapevole delle proprie miserie e abbassa gli occhi con umiltà, sente posarsi su di sé lo sguardo misericordioso di Dio”. Sappiamo bene, anche per esperienza, che solo quando riconosciamo di aver sbagliato e chiediamo scusa, riceviamo la comprensione e il perdono degli altri. Nel silenzio bisogna imparare ad ascoltare la <voce della coscienza> che ci mette davanti alle nostre colpe e ci rivela la distanza tra i nostri pensieri e quelli di Dio, tra le nostre scelte mondane e quelle del Vangelo. Il peccato ha sempre una dimensione personale e sociale. Da una parte mi separa da Dio e dall’altra taglia il rapporto con il prossimo: nella famiglia, nella società, nella comunità. “Il peccato – ha ribadito Francesco - taglia sempre, separa, divide”. Infine, ha ricordato, con il gesto di battermi il petto non faccio altro che ribadire che io ho peccato per mia colpa e non ho diritto di puntare il dito accusatore verso gli altri: “Costa ammettere di essere colpevoli, ma ci fa bene confessarlo con sincerità”. 


IL NUOVO LIBRO IN DUE VOLUMI DI MONS. LEGNAME

LA TEOPSIA DI FRANCESCO
TRA SCIENZA E FEDE 
il nuovo umanesimo cristiano 
integrale, popolare, solidale, inclusivo e gioioso


Presentazione di S.E. Mons. Salvatore Gristina, Arcivescovo di Catania e Presidente della Conferenza Episcopale Siciliana

S.E. Mons. Salvatore Gristina
Il nuovo libro di Mons. Antonino Legname, La Teopsia di Francesco», che fa seguito ai due volumi «Francesco, il traghettatore di Dio» e «Salviamo la famiglia», è un testo di teologia “incarnata” nel Popolo, e ci offre la concezione teologica del Papa, sullo sfondo del rapporto dialettico tra scienza e fede. Per Papa Francesco la Teologia non è uno studio speculativo e astratto su Dio, ma è una Teopsia, cioè un «vedere Dio» per adorarlo nel Volto misericordioso di Gesù di Nazaret. È la «teologia degli occhi aperti», quella che si fa in ginocchio ed è piegata sull'umanità sofferente nel corpo e nello spirito. L'Autore mette bene in evidenza che la scelta di Papa Francesco, «una Chiesa povera, per e con i poveri», è, anzitutto, una categoria teologica che ha risvolti culturali, sociologici, politici ed economici. Quando il Papa parla dei poveri, parla di Cristo, perché il volto dolente dei poveri si identifica con quello sofferente del Crocifisso.
          La Teopsia di Francesco è profondamente trinitaria e cristologica, incentrata sui sentimenti e lo stile di Gesù di Nazaret. Da qui si sviluppa il «nuovo umanesimo cristiano», che colloca l'uomo al vertice del creato. Dalla dignità di essere ad immagine e somiglianza di Dio e dalla posizione privilegiata nel cosmo, scaturisce la responsabilità di ogni essere umano di fronte alla natura. Questa consapevolezza richiede una vera «conversione ecologica». In realtà «non ci può essere un'autentica ecologia senza un'adeguata antropologia». Nel libro affiora con chiarezza l'approccio positivo che il Vescovo di Roma ha nei confronti delle scienze umane e della ricerca scientifica, che aiutano a comprendere sempre meglio l'uomo e le leggi della natura; dall'altra parte, però, si rende necessaria la collaborazione della scienza con la fede per la costruzione di un umanesimo che sappia trascendere il mondo materiale, in quanto ogni uomo è stato dotato di quella capacità di entrare in relazione con Dio. L'Autore mette anche in evidenza la particolare attenzione di Papa Francesco verso tutte quelle espressioni e manifestazioni della «religiosità popolare» che, se purificate ed evangelizzate, producono tanto bene. Inoltre, nel libro viene focalizzata la sollecitudine pastorale del Vescovo di Roma nel promuovere, con rispetto e senza proselitismo, il dialogo non solo con le Chiese cristiane e con le altre Tradizioni Religiose, ma anche con i lontani da Dio e dalla Chiesa.
          Mons. Legname ha saputo comporre, in maniera originale, e a volte volutamente provocatoria, un dialogo virtuale tra Francesco e il pensiero di alcuni autori e scienziati, credenti e non credenti, di ieri e di oggi. Non sfugge all'Autore l'insistenza e la determinazione di Francesco nel promuovere la cultura della solidarietà, orientata a costruire ponti di accoglienza e non muri di divisione e di esclusione, che impediscono lo sviluppo integrale di un umanesimo più giusto e più solidale, e frenano il processo di pace. L'Autore, in questi due volumi, con un lavoro certosino di ricerca - come si può vedere anche dal ricco apparato delle note e dalle numerose citazioni bibliografiche - ha intessuto un mosaico letterario sulla Teopsia di Francesco, per mostrare il volto del nuovo umanesimo cristiano, che si qualifica come: integrale, popolare, solidale, inclusivo e gioioso. E per la costruzione di una antropologia umana, aperta al trascendente, alimentata dalla cultura dell'incontro e orientata alla salvaguardia del creato, è quanto mai necessario l'abbraccio comprensivo, collaborativo e rispettoso tra la scienza e la religione.
          Esprimendo vivo compiacimento ed apprezzamento per questo nuovo servizio culturale e sacerdotale da parte di un degno presbitero della Chiesa di Catania, formulo l'augurio che la lettura del libro possa aiutare tanti a conoscere ancora meglio e ad apprezzare sempre di più il sicuro, chiaro e lungimirante Magistero di Papa Francesco, e possa contribuire ad aprire nuovi orizzonti e a dare risposte convincenti a quanti ancora hanno dubbi e perplessità sul valore e sull'utilità dell'umanesimo cristiano nella società di oggi.
          E vorrei, infine, esprimere profonda e sentita riconoscenza per il cordiale gesto del carissimo Mons. Legname di dedicarmi questa sua opera in occasione del XXV della mia ordinazione episcopale.


Catania, 3 ottobre 2017
    + Salvatore Gristina


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