DAL «PENSIERO DEBOLE» AL «PENSIERO UMILE»
Vattimo: «Io credo di più come una vecchina che
biascica il rosario che come un teologo che sa tutto. La mia è una religiosità
da tre Ave Maria la sera. E recito anche l'Angelus e i Salmi»
di Antonino Legname
Papa Francesco, qualche giorno fa, ha telefonato a Gianni Vattimo, per ringraziarlo del libro "Essere e dintorni", che ha ricevuto in dono dal filosofo italiano. Vattimo, il padre del cosiddetto «pensiero debole», racconta con «commozione ed emozione» la chiamata di Francesco: «Il Papa è pur sempre il Papa, e poiché sono un credente e credo soprattutto nella Chiesa, è chiaro che aver parlato con lui mi ha profondamente colpito». E aggiunge: «Questo Papa mi toglie la “vergogna” di dichiararmi cattolico». Vattimo ha un passato di militanza comunista e di impegno a favore del “Coordinamento omosessuale” in Italia. Ma non ha mai rinnegato le sue origini cattoliche, quando militava come dirigente nell’azione cattolica e andava a predicare il Vangelo nelle campagne. Nel primo volume del mio libro la «Teopsia di Francesco», cerco di fare emergere alcuni aspetti della religiosità semplice, ma profonda - anche se a volte bizzarra e stravangate - di Gianni Vattimo, per il quale – come lui stesso scrive - la fede è: “la speranza che Cristo sia riuscito a sconfiggere la morte cominciando a sconfiggere il peccato […]. Io spero di non morire del tutto […]. Io credo di più come una vecchina che biascica il rosario che come un teologo che sa tutto. La mia è una religiosità da tre Ave Maria la sera […]. E recito anche l'Angelus […]. Quando recito i Salmi sento soprattutto il risuonare di tutta la storia dei martiri, dei santi, dei virtuosi, anche di Domenico Savio. E questo mi commuove profondamente. Sulla Sindone leggo i pellegrinaggi, la gente che ci è andata. È questa la storia della Chiesa […]. Per questo sono cristiano. Ammiro questa tradizione. Credo troppo alla Chiesa come comunità per essere protestante: non mi autorizzerei mai a fare un libero esame della Scrittura. Io mi sento dentro alla comunità che mi ha trasmesso il messaggio di Cristo e rispetto a questa mi sento responsabile”. […].
Gianni Vattimo, nella sua autobiografia a quattro
mani, Non essere Dio, pubblicata nel 2006, in occasione dei
suoi settant'anni, scrive: “l'ultima tappa della mia storia - non improvvisa,
ovviamente - quella più scandalosa è che io ... ridivento cristiano”. Quella di
Vattimo non è una «folgorazione sulla via di Damasco», ma è un ritorno al
cristianesimo, non alla Chiesa cattolica, verso la quale Vattimo continua ad
essere molto critico. Nei suoi libri più recenti il filosofo scrive sulle sue
origini religiose, sulla madre che da bambino lo ha consacrato a Don Bosco,
racconta di essere stato chierichetto, di aver militato nell'Azione Cattolica
fino a ricoprire la carica di dirigente; nella sua adolescenza si confessava di
frequente; al liceo organizzava incontri sull'Umanesimo integrale di Maritain;
andava a fare prediche nelle parrocchie di campagna; seguiva gli esercizi spirituali,
recitava il rosario. E come lui stesso riferisce, all'epoca provava disprezzo
per i credenti poco zelanti e tiepidi. Tutto questo fino all'Università. Poi
iniziò una lunga militanza di laicismo irreligioso. In uno scritto pubblicato
con il titolo Credere di credere. È possibile essere cristiani nonostante la
Chiesa?, il filosofo dà una svolta decisiva, non solo al suo pensiero
filosofico, ma a tutta la sua vita. Che cosa ha scatenato il ripensamento del
filosofo? Forse i tanti funerali di persone care a cui ha dovuto assistere in
questi ultimi anni? - come lui stesso riferisce. La paura della morte spinge
fino al punto di entrare nel rischioso paradosso della fede? “Non mi vergogno a dire che c'entra
l'esperienza della morte di persone care - ammette Vattimo - con cui avevo
pensato di percorrere un tratto di strada molto più lungo, in qualche caso
persone che mi ero sempre immaginato presenti accanto a me quando mi fosse
toccato di andarmene […]. Forse al di là di questi incidenti, ciò che rimette
in gioco, ad un certo punto della vita, la questione della religione ha a che
fare con la fisiologia della maturazione e dell'invecchiamento”. È lo stesso
Vattimo a confidare: “Sono sopravvissuto alle persone più care, alla mia
famiglia. Per la prima volta sono solo. E sono diventato un esperto di un
genere letterario molto particolare, i necrologi”. E confida: “Vado al cimitero
tutte le domeniche - qui al Monumentale - dove ci sono, una sopra l’altra, le
lapidi di Gianpiero e Sergio, e un loculo vuoto che mi aspetta. Mi sento in
pace”. È comprensibile la riflessione di Gianni Vattimo di fronte
all'ignoto, ma non bisogna credere in Dio per paura della morte - direbbe
Sinjavskij - non si deve credere in Dio «perché non si sa mai» come andrà a
finire, “non perché qualcuno ci costringe, non per un principio umanistico e
non per salvare l'anima o per essere originali”. E allora, perché dobbiamo
credere in Dio? Robert Spaemann risponde: “Bisogna credere per il semplice
motivo che Dio esiste”. Vattimo passa dal pensiero debole al lamento quasi
nostalgico.“Ho nei confronti della tradizione cristiana un complessivo
atteggiamento amichevole, fatto di riconoscenza, rispetto, ammirazione. Non mi
lascio scandalizzare dalle Crociate o dall'Inquisizione […] - scrive il
filosofo - Ho simpatia per la storia della santità cristiana, per i martiri, le
vergini, i confessori di cui parla, spesso in termini leggendari, il breviario
romano. Non è affatto una tradizione di cui senta il bisogno di liberarmi, come
non sento il bisogno di liberarmi delle tracce, che spero consistenti, della
mia educazione cristiana e cattolica. Dalla quale ho imparato a organizzarmi la
vita, a fare l'esame di coscienza”. Anche la preghiera segna il cammino
esistenziale di Vattimo: “Dunque quando prego - giacché lo faccio nella maniera
più tradizionale, soprattutto recitando i salmi e altre preghiere del breviario
romano - sono consapevole di non agire solo sulla base di una persuasione
filosofica, ma di andare invece un passo più in là”. Egli non nega la
dimensione consolatoria del cristianesimo: “Non rifiuto certo la consolazione.
Lo Spirito Santo che Gesù manda nella Pentecoste […] è anche autentico spirito
di consolazione. La salvezza che cerco [...] non è, dunque, una salvezza che
dipenda solo da me, che dimentichi il bisogno della grazia come dono che viene
da un altro”. E la questione della fede si ripropone con tutta la sua forza
nella vita di Vattimo: “Vero che sono arrivato a un punto della mia vita in cui
sembra ovvio, prevedibile, anche un po' banale, che uno si riproponga la
questione della fede. Riproporre: perché almeno per me, si tratta appunto di un
ritorno di una tematica […] a cui sono stato legato nel passato”. Vattimo non fa mistero della sua vita affettiva
e di relazione: “Mi sono innamorato di un cubista ventenne. Lo faccio per
questa inedita libertà […] non per gusto della provocazione o per esibizionismo
[…]. Mi rimproverano: «Ma perché lo fai?». Oppure: «Chi te lo fa fare, potresti
essere un guru e ti sputtani così». Io sorrido: lo faccio perché mi sento
libero: perché sono libero. Ed è una cosa che mi tengo cara. Finalmente. Senza
paure, senza mediazioni, senza ricatti possibili, senza creare dolore a mia
madre, a Gianpiero […]. Senza chiese. Senza partiti. Ah, che bello”. Gianni
Vattimo, intervistato in occasione del suo 80° compleanno, ha dichiarato: “Oggi la mia dimensione esistenziale è il
lamento”. E spiega: “Il senso della vecchiaia è la presa d’atto che c’è come un
bivio, a un certo punto le tue storie personali coincidono sempre meno con la
storia esterna”. E a chi gli domanda in merito al suo ritorno al cristianesimo,
egli risponde: “In verità io non mi sono mai accorto di essermene allontanato.
E perché sono sempre rimasto cristiano?
Perché ero heideggeriano. Heidegger,
anche dopo i Quaderni neri, mi serve per pensare che la verità non è quella delle
scienze, ma è quella della tradizione, della storia dell’Essere, del dialogo […]
e questo è cristianesimo, è il Pensiero debole”. Per Vattimo, in ultima
analisi, il suo cristianesimo e il suo credere in Dio sono solo degli eventi
culturali legati alla tradizione letteraria della Bibbia? Alla domanda del
giornalista: «ma essere cristiano per lei vuol dire davvero credere in Dio? Il
Dio della Chiesa romana cattolica apostolica [...]? ». Vattimo risponde: “Ma
per carità! Mi piacerebbe anche, ma non succede. Il Dio in cui credo è il Dio della
Bibbia, ma non in quanto sia uno che ha scritto la Bibbia: in quanto è il
personaggio letterario della Bibbia. Insomma, Dio non esiste al di fuori di
queste parole: il Verbo si fa carne, d’accordo, però prima il Verbo è solo
Verbo, solo chiacchiere. A cosa sono legato io nel mio cristianesimo? Piuttosto
a quello che diceva Croce: non posso non dirmi cristiano. Se tento di dirmi
senza essere cristiano, non mi dico nemmeno, perché non ho le parole. Come
immaginare la storia della letteratura italiana senza Dante”. Per Vattimo
la Bibbia è solo una raccolta di libri mitologici: “posso solo credere a una
storia che mi viene raccontata e che essendo raccontata è mito, è storia. La
mitologia cristiana è quella nella quale sono cresciuto: ho delle buone ragioni
per abbandonarla? Quando Heidegger dice che il linguaggio è la casa dell’Essere
dice un po’ questo: cioè, io eredito una visione del mondo, vivo dentro
un’epoca storica, perché il linguaggio è la lingua storica che parlo e che mi
supporta mentre faccio esperienza del mondo”. Il «pensiero unico» di cui parla Papa Francesco non si identifica
con il «pensiero debole» della filosofia di Vattimo, per il quale il «pensiero
debole» “non è solo una filosofia, ma è anche un’interpretazione del
cristianesimo - l’incarnazione, la kénosis,
Dio che si fa uomo e quindi abbandona la sua sacralità”. Con una certa
forzatura Vattimo ritiene che il termine «debole» abbia a che vedere con la debolezza kenotica
del Dio che, incurante della sua condizione divina, si è abbassato fino al
punto da assumere la condizione umana. Il cristianesimo, se non vuole
deragliare dalla sua naturale identità, non deve costruire un pensiero forte
per contrastare altri pensieri forti, come per esempio quello dell'Islam.
Papa
Francesco ha richiamato l'attenzione sui rischi di una certa “globalizzazione
dell’uniformità egemonica” nella società e nella cultura di oggi. Ed ha
spiegato che il “pensiero unico è frutto della mondanità […]. Lo spirito della
mondanità anche oggi ci porta a questa voglia di essere progressisti, al
pensiero unico”. Pertanto, tra il «pensiero forte» e il «pensiero debole», che
allontanano da Dio, si colloca il «pensiero umile», il solo capace di
avvicinare a Dio, che bussa alla porta degli umili. È un'illusione voler
affermare l'uomo negando Dio. È anche vero, però, che nel corso della storia
del pensiero umano la religione ha creato immagini così deformate di Dio
(antropomorfiche, mitologiche, superstiziose) da suscitare legittime proteste
di rifiuto. Questi pregiudizi metodologici e linguistici sono stati messi sotto
accusa anche dalla Chiesa; nel documento conciliare Gaudium et Spes al n. 19 si legge: «Alcuni negano
esplicitamente Dio (ateismo); altri ritengono che l’uomo non possa dir nulla di
lui (agnosticismo); altri poi prendono in esame il problema relativo a Dio con un
metodo tale per cui questo sembra privo di senso (positivismo, scientismo).
Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o
pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure
al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta». Chi ha
fede nel Dio di Gesù di Nazaret deve essere, nel mondo di oggi, portatore e
soprattutto testimone, con il suo comportamento, di quei valori che il più
delle volte non coincidono con l'opinione e il modo di vivere della
maggioranza. “I cristiani sono, dunque, uomini e donne «controcorrente» - ha
detto il Papa - Il mondo è segnato dal
peccato, che si manifesta in varie forme di egoismo e di ingiustizia, chi segue
Cristo cammina in direzione contraria. Non per spirito polemico, ma per fedeltà
alla logica del Regno di Dio, che è una logica di speranza, e si traduce
nello stile di vita basato sulle indicazioni di Gesù”. Non bisogna avere paura
di andare contro-corrente e di essere anticonformisti.
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Il filosofo Gianni Vattimo |
Francesco ci ricorda che
“siamo chiamati a non lasciarci assorbire dalla visione di questo mondo, ma ad
essere sempre più consapevoli della necessità e della fatica per noi cristiani
di camminare contro-corrente e in salita”. Sappiamo bene che oggi ci vuole
tanto coraggio per non conformarsi al «pensiero unico» che vuole annullare la
presenza di Dio nella nostra società per sostituirlo con altri idoli,
soprattutto con la deificazione dell'«io».