IL
LINCIAGGIO QUOTIDIANO
Francesco:
«Notizie false, calunnie che riscaldano il popolo e chiedono la giustizia. È un
linciaggio, un vero linciaggio»
di Antonino Legname
«Pensiamo alla nostra lingua: tante volte noi, con
i nostri commenti, iniziamo un linciaggio del genere. E nelle nostre
istituzioni cristiane, abbiamo visto tanti linciaggi quotidiani che sono nati
dal chiacchiericcio» - ha detto Papa Francesco nella Meditazione della Messa a
Santa Marta, il 28 aprile 2020. Il Pontefice prende lo spunto dalla lapidazione
del primo martire cristiano, Stefano, il quale ebbe un giudizio sommario ed
ingiusto, costruito con le false testimonianze, che ebbe come epilogo la
condanna a morte con l’accusa di bestemmia; così era stato anche per Gesù.
Purtroppo, da sempre nella storia ci sono stati i processi popolari che hanno
influenzato e a volte determinato il giudizio definitivo dei giudici: «notizie
false, calunnie che riscaldano il popolo e chiedono la giustizia. È un linciaggio,
un vero linciaggio». Francesco fa notare che per il giudice a volte non è
sempre facile andare contro l’opinione pubblica che fa pressioni affinché venga
ratificato quello che già il popolo ha deciso. Dice il Papa: «il giudice deve
essere molto, molto coraggioso per andare contro un giudizio “così popolare”,
fatto apposta, preparato». Quello che fece Pilato, quando vide la reazione del
popolo e se ne lavò le mani pur vedendo chiaramente che Gesù era innocente.
Questo è un modo scorretto di fare giurisprudenza - lamenta Francesco – che si
utilizza anche oggi in alcuni Paesi, «quando si vuole fare un colpo di Stato o
“far fuori” qualche politico perché non vada alle elezioni, si fa questo:
notizie false, calunnie, poi si affida ad un giudice di quelli ai quali piace
creare giurisprudenza con questo positivismo “situazionalista” che è alla moda,
e poi condanna. È un linciaggio sociale». Parole chiare e forti che Francesco
usa per condannare questo modo populista di fare giustizia, di condannare
innocenti che sono stati giudicati colpevoli dall’opinione pubblica popolare.
E’ quello che è successo ad Asia Bibi, accusata e condannata per blasfemia: «dieci
anni in carcere perché è stata giudicata da una calunnia e da un popolo che ne
vuole la morte». Francesco constata amaramente che davanti alla «valanga di
notizie false che creano opinione, tante volte non si può fare nulla, non si
può fare nulla». E con pena Francesco ripensa alla Shoah: «è stata creata
l’opinione contro un popolo e poi era normale dire: “Sì, sì, vanno uccisi,
vanno uccisi”. Un modo di procedere per “far fuori” la gente che è molesta, che
disturba». Ancora una volta il Vescovo di Roma torna a condannare la brutta
abitudine del «chiacchiericcio» che si configura come «linciaggio quotidiano»
sulle persone per «creare una cattiva fama sulla gente, scartarla e condannarla».
E per essere ancora più concreti Francesco fa l’esempio di chi sparla di
qualcuno e dice: «“Ma no, questa persona è una persona giusta!” – “No, no, si
dice che…”, e con quel “si dice che” si crea un’opinione per farla
finita con una persona». Purtroppo, questa amara realtà delle chiacchiere per
fare opinione e per distruggere la buona fama delle persone può essere presente
anche a livello ecclesiale all’interno delle nostre comunità. «La verità –
conclude il Papa – non tollera le pressioni». La meditazione del Papa ci porta
a considerare con più attenzione anche il modo di fare giustizia nella Chiesa:
un processo giusto richiede sempre il contraddittorio tra le parti in causa per
garantire, a chi viene accusato, il sacrosanto diritto naturale alla difesa, al
fine di evitare sentenze approssimative e ingiuste.